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Notizie brevi 04/03/2004

Ciao Emanuele

Ciao Emanuele
Potessimo parlare con lui, chissà quante cose avremmo da dirgli.
In fondo, è come se Emanuele fosse stato il nostro compagno di pattuglia, il maresciallo anziano, esperto. Il maresciallo che ti dice dove tenere le mani durante i controlli, dove guardare durante le ispezioni.
Noi, non ce lo vogliamo immaginare più, quel giorno di un anno fa sul treno. Vediamo semmai Emanuele ad aggeggiare la sua fida Guzzi, in garage, mentre il figlio cresce e sogna la divisa.
Ce lo immaginiamo a controllare dal cielo che suo figlio indossi con onore quell’uniforme che lo ha accompagnato nell’ultimo viaggio, dopo quegli istanti in cui il rumore si cheta e gli odori non si sentono.
Quegli istanti in cui il suo amico Bruno Fortunato tenta disperatamente di porre fine alla gragnola di colpi esplosi a bruciapelo da chi non vuole esser fatto prigioniero, da chi prigionieri non può farne.
Quegli istanti in cui il suo amico Angelo Di Fronzo estrae l’arma veloce e spara verso Mario Galesi e poi salta addosso a Nadia Lioce.
Quel giorno sul treno è uno spartiacque nella guerra al terrore. È un’anta di un armadio che tarda a chiudersi nella storia d’Italia.
Potessimo parlargli finiremmo col ringraziarlo, perché se non fosse stato per lui, per quella intuizione di andare a controllare proprio una coppia di tranquilli, Giancarlo Dantona e Marco Biagi resterebbero senza giustizia.
Ora l’odio non c’entra più.
Perché, come potevano Mario Galesi e Nadia Desdemona Lioce, teoreti della lotta di classe coi mitra, asceti della rivoluzione, strateghi occulti di un disegno eversivo che avrebbe dovuto conoscere una nuova era finita quella attuale del reclutamento, odiare un nemico come Emanuele Petri?
Come ha potuto quell’uomo dagli occhi innocui premere quel dannato grilletto e sparare in pancia a Emanuele, e agire così freddamente da rivolgerla subito dopo a Bruno e poi a Angelo? Come un sicario di un film.
Qualche giorno dopo la morte di Emanuele, un giornale pubblicò alcune lettere della Lioce dal carcere. Lettere di terrorista, certo. Ma anche di tristezza, così ben raccontata, mentre un becchino solitario tumulava il feretro del terrorista assassino dentro la fossa del cimitero di Trespiano, sul primo appennino fiorentino di Monte Morello.
E allora? Non è forse una scia di sangue, questa, che porta solo dolore al dolore?
L’immagine più bella, che ci resta di quella terribile giornata di un anno fa, è la foto di Emanuele, che guarda l’obiettivo. Scagliandosi su Galesi che spara per salvare Bruno e Angelo ha deciso - da maresciallo - di salvare tutti noi.
Potessimo parlargli glielo diremmo. Ci ha salvato davvero, perché quando i suoi occhi si sono chiusi per sempre si è aperta una verità, decifrata dai suoi colleghi su quel palmare che la donna del terrore aveva con sé.
Uno scrigno di informazioni che hanno dato allo Stato, difeso con la vita da Emanuele, le chiavi per chiudere in prigione il nostro terrore.
Ai tre uomini della Polizia di quel treno, diciamo ancora una volta grazie.
 
Giovedì, 04 Marzo 2004
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