Sul danno da illegittima sospensione della patente
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Con due sentenze, dell’11 gennaio 2002 e del 6 febbraio 2002 (pubblicate su l’Archivio Giuridico della Circolazione e dei Sinistri Stradali, 2002, pag. 394), il Giudice di Pace di Torino ha affrontato un tema a dir poco arduo e spinoso, quello della risarcibilità del pregiudizio subito dal cittadino in conseguenza di un provvedimento illegittimamente emesso nei suoi confronti dalla pubblica autorità, in tema di circolazione stradale. Il giudice, con le pronunce in questione, ha stabilito che chi ha subito un provvedimento di sospensione della patente la cui illegittimità sia stata riconosciuta con sentenza, non ha diritto né al risarcimento del danno derivante dall’ingiusto provvedimento, né al rimborso delle spese sostenute per rientrare in possesso della patente, non essendo la prefettura del luogo della commessa infrazione (diverso da quello di residenza del soggetto) tenuta a restituire il documento entro un termine perentorio. Ancora, lo stesso giudice ha poi affermato che chi è stato illegittimamente colpito da sospensione della patente e da fermo amministrativo del veicolo, se si adopera utilmente per provare ciò che l’organo amministratore era tenuto a conoscere, ha diritto al rimborso delle spese sostenute per le consulenze necessarie per tentare di comporre stragiudizialmente la vicenda, alla restituzione di quelle pagate per la custodia del veicolo indebitamente disposta, ed al risarcimento del danno derivante dalla indisponibilità del veicolo e della patente. Occorre, a questo punto, fare un poco di chiarezza. Il pregiudizio che il cittadino ha subito in questi casi deriva dalla lesione non di un diritto soggettivo, ma di un interesse legittimo. La questione della risarcibilità del danno da lesione di interesse legittimo è stata dibattuta fortemente per decenni, fino a quando la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la ormai "leggendaria" sentenza n. 500 del 1999, ha stabilito il principio della risarcibilità immediata. Nell’occasione, la Corte ha ricordato che "la normativa sulla responsabilità aquiliana ex art. 2043 (neminem ledere) ha la funzione di consentire il risarcimento del danno ingiusto, intendendosi come tale il danno arrecato ’non iure’, il danno cioè inferto in assenza di una causa giustificativa, che si risolve nella lesione di un interesse rilevante per l’ordinamento, a prescindere dalla sua qualificazione formale, ed in particolare senza che assuma rilievo la qualificazione dello stesso in termini di diritto soggettivo". La Corte ha insistito sul tema, dicendo anche che "non è possibile individuare in via preventiva gli interessi meritevoli di tutela". Vi deve quindi essere "risarcimento del danno ingiusto" quando risulta "danneggiato, per effetto della attività illegittima della PA, l’interesse al bene della vita al quale l’interesse si correla". Questa pronuncia ha finalmente sgomberato il campo da bizantinismi e pastoie di chiara origine statolatrica, volte ad assicurare una immotivata dimensione di privilegio all’attività del potere pubblico e a considerare di dignità inferiore le lesioni patite dai cittadini in conseguenza dell’operato illegittimo di una pubblica autorità. E’ stata una pronuncia che si iscrive nel solco tracciato da un’altra "storica" e forse "rivoluzionaria" sentenza, la numero 364 della Corte Costituzionale, con la quale fu affermata la rilevanze dell’errore scusabile di diritto e quindi fu riconosciuta la paritaria e reciproca posizione del cittadino e dello Stato (nel nome di una eliminazione di qualsiasi residuo di "sudditanza"). Sulla base della pronuncia delle Sezioni Unite (a cui, poi, chiaramente, le pronunce successive delle sezioni semplici si sono adeguate), non vi dovrebbe quindi essere alcuna questione sulla risarcibilità integrale del danno che il privato patisce a seguito di una illegittima sospensione della patente. Né vi dovrebbero essere problemi relativi alla necessità di una pregressa e propedeutica statuizione della illegittimità in una sentenza precedente, ricognitiva di tale illegittimità, o in ordine alla selezione e graduazione dei danni variamente conseguiti e così risarcibili (salvo, ovviamente, il principio dell’onere della prova, da temperare, eventualmente, con fattori presuntivi, quali, ad esempio, quelli già invalsi in tema di c.d. "fermo tecnico"). Né pare argomentabile il fatto che la prefettura non fosse tenuta alla restituzione dl documento in un termine perentorio. Non è la prefettura il contraddittore del cittadino, ma ciò che essa rappresenta, cioè lo Stato, per cui tutto quanto dallo Stato proviene e riguarda la sofferta illegittimità, ed altresì concorre ad amplificarne gli effetti (quali carenze normative) va contemplato ai fini del pregiudizio causato. Non si vede, invece, quale composizione stragiudiziale possa mai essere nella disponibilità di una prefettura, la quale opera secondo norme e interessi predeterminati e non trattabili (una diminuzione del periodo di sospensione, da patteggiare? Non sarebbe certo possibile). Piuttosto, ultima notazione, a seguito della pronuncia delle Sezioni Unite, ci si deve chiedere se, in virtù della risarcibilità immediata e della connessione esistente fra giudizio di illegittimità e giudizio di risarcibilità, sia possibile proporre la domanda di risarcimento nello stesso procedimento speciale, instaurato per ottenere l’annullamento amministrativo.
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