Prefazione
Le inchieste del Centauro, ultimamente, hanno sempre suscitato clamore.
La nostra è, ovviamente, solo un’opinione. Per definizione un’opinione
non costituisce la verità assoluta, il Verbo, ma deve essere rispettata
perché nasce ancora dall’esperienza di chi cerca nel tempo libero
una soluzione al problema irrisolto della sicurezza stradale, su cui la
nostra professione - a differenza di molti che portano avanti la nostra
stessa battaglia - è quasi totalmente incentrata. A lungo abbiamo
parlato di autostrade e trafori; in numerose occasioni abbiamo commentato
i tragici fatti avvenuti nel buio delle gallerie. Finché, un giorno,
non ci siamo accorti che quei trafori stavano sotto le nostre montagne
più belle e che la neve immacolata del Monte Bianco, tanto immacolata
non lo era più. Non vogliamo essere integralisti anche dell’ecologia,
ma il problema della sicurezza è sempre più legato alle
scelte che in futuro saranno fatte dai nostri governi: a prima vista una
scelta che riguarda, a puro titolo esemplificativo, il raddoppio di un
traforo, può essere considerata superficialmente come una soluzione
al problema della salvaguardia della vita, ma in realtà la rimanda
a pochi chilometri più avanti. Vi sono molte priorità oggi:
di sicuro la sicurezza stradale è tra queste, ma anche il rispetto
dell’ambiente e la necessità di rispettare la volontà di
chi deve subire alcune scelte, soprattutto se sono stati espressi pareri
contrastanti dagli organismi locali e soprattutto se tali decisioni pregiudicheranno
senza alcun dubbio il futuro di aree votate più al turismo che
all’industrializzazione selvaggia. Per questo nessuno Stato può
cantare da solista, soprattutto se vi è un coro del quale si fa
parte. La prima parte di questo viaggio alpino affronta in maniera generale
il contrasto che vi è tra le nuove scelte di un governo (quello
italiano) rispetto a intendimenti precedentemente manifestati in sede
collettiva, tra tutti i paesi che si affacciano al bacino continentale
delle Alpi. Tali decisioni trovano la ferma opposizione delle forze ambientaliste,
in sintonia spesso con gli enti locali. La seconda parte, di prossima
pubblicazione, analizzerà invece le cause del disastro del Gottardo
e le nuove normative in materia di costruzione di gallerie.
Buon viaggio.
Otto diversi Stati, 83 regioni, 5.800 comuni, 190mila chilometri quadrati
di territorio, di foreste e montagne, di città nelle valli glaciali
e di paesi arroccati sulle montagne in cui si incrociano le vite di 11
milioni e 200mila abitanti. Signore e signori, ecco le Alpi, il cuore
alto d’Europa, la terrazza con vista del Vecchio Continente che un tempo
fu lo spartiacque tra Roma e i Barbari, il massiccio che oggi è
un abbraccio roccioso per la nuova identità culturale in tumultuosa
delineazione e in faticosa unificazione. Dall’Alta Baviera alla Svevia,
dalla Corinzia alla Stiria, da Salisburgo al Tirolo, e poi il Rodano,
la Provenza, la mezzaluna tra la Liguria e il Friuli Venezia Giulia, passando
per Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia, e poi il Trentino e il Veneto,
le puntate in Liechtenstein, al Principato di Monaco, la Svizzera e la
Slovenia. Un vero dedalo di valli e ghiacciai, di tradizioni e folklori,
di economia e strade, che un tempo valicavano i colli e che oggi, in molte
circostanze, ci passano sotto.
La moderna Europa corre sui sentieri dei cavalieri templari, su quel reticolo
viario che un tempo si riuniva alla Via Francigena, verso la Terra Santa
e verso i santuari europei. Ma alla fine non c’è il Santo Graal:
anzi, a volte le strade della comunione europea si incrociano con le fiamme
di un inferno. Lo abbiamo visto in Italia, nel cuore del Monte Bianco,
in Svizzera, nel San Gottardo; ma anche in Austria, nel tunnel dei Tauri,
all’interno del quale, il 27 maggio 1999, morirono 12 persone a seguito
di un incendio divampato un attimo dopo un tamponamento tra mezzi pesanti,
uno dei quali trasportante vernici. La tragedia si rinnova ancora pochi
mesi dopo, in giugno, a Drammen (Norvegia), ove la fiamma libera di una
saldatrice causa l’esplosione della dinamite depositata all’ingresso di
un tunnel in costruzione: due vigili del fuoco muoiono, mentre altri due
non sono mai più ritrovati: oltre alle vittime una ventina di feriti.
E poi ancora in Danimarca, in Spagna e poi negli States, dove la sindrome
hollywoodiana del terrore e del last minute eroico vedeva un represso
Stallone guidare un pugno di scampati al rogo di un tunnel cittadino puntualmente
crollato verso la luce artificiale della metropoli in angoscia.
Oggi questo bacino, attraversato in lungo e in largo dalla rete autostradale
europea, costituisce de facto l’unico percorso commerciale delle merci,
che nonostante la possibilità di essere trasferite su rotaia da
un paese all’altro, continuano a viaggiare a bordo dei pesanti bisonti
della strada, sempre più numerosi e sempre più rapidi, sempre
meno fermi per riposare; secondo la dura legge del commercio e delle compagnie,
che impongono agli autisti la legge del più forte e chi si stanca
muore o uccide, o perde il posto, se osa lamentarsi col caporale di giornata.
Ecco perché cercheremo di capire, in questo nostro viaggio sull’arco
alpino, se convenga davvero, visto che si scaveranno nuove gallerie, cercare
il progresso e l’incremento del prodotto interno lordo nel caricare ancora
altri camion, farli andare sempre più lontani, da un capo all’altro
d’Europa, sempre più veloci, sempre più pericolosi.
Il Centauro, e con lui chi tenta di perseguire la sicurezza stradale,
non poteva esimersi dal porre a se stesso ed al popolo dei suoi lettori,
la questione che da tempo ricorre negli slogan degli ambientalisti o nei
convegni promossi dalle tante associazioni nate in tutela del tetto d’Europa:
si deve per forza investire su infrastrutture stradali in relazione ai
crescenti legami commerciali? O si potrebbe utilizzare il medesimo fondo
cassa per costruire nuove e moderne ferrovie su cui far passare, rapidi
e sicuri, i container pieni zeppi di mercanzia, fino ai centri di smistamento?
La domanda, scontata per gli ambientalisti e per gran parte dei quasi
12 milioni di abitanti dell’area alpina oggi a rischio "asfalto selvaggio",
non è di facile soluzione, tanto più che a seguito delle
ultime tragedie all’interno dei trafori, e soprattutto dal quotidiano
bagno di sangue sulle strade, la nuova Unione Europea guarda con sempre
maggiore interesse alla strada ferrata, all’incremento dei trasporti su
nave tra i paesi del bacino mediterraneo e su chiatta per i paesi, come
Francia e Germania, che dispongono di un’adeguata rete interna navigabile.
Bisogna sapere che nel 1991 venne stipulata da Italia, Austria, Francia,
Germania, Liechtenstein, Principato di Monaco, Slovenia e Svizzera, sotto
l’egida della Comunità Europea, una convenzione: questo accordo
era nato per assicurare una politica globale di protezione e "sviluppo
sostenibile" del territorio alpino, essendo consapevoli tutte le
parti firmatarie che l’intera area orografica alpina è indiscutibilmente
caratterizzata da ecosistemi e paesaggi unici, troppo sensibili ad un
aumento smisurato e sconsiderato di infrastrutture per poter sopportare
un ulteriore impatto ambientale e acustico, fattori questi inevitabili
se commisurati all’incipiente sviluppo sociale ed economico, in continua
e inarrestabile crescita. Una successiva emanazione di quella convenzione
riguarda il cosiddetto protocollo trasporti, firmato dalle parti che avevano
ideato e sottoscritto la convenzione, nel quale tutti i delegati avevano
assunto l’impegno ad astenersi dalla costruzione di nuove strade di grande
comunicazione per il trasporto transalpino: l’impegno potrebbe essere
disatteso dall’Italia, annotata sul Libro Nero della Cipra, una commissione
che si occupa da mezzo secolo di tutelare il bacino alpino. Nel 2002 abbiamo
assistito tutti al braccio di ferro tra Italia e Francia sulla questione
Monte Bianco, che veniva riaperto al traffico mercantile dopo la tragedia;
nello stesso anno fonti ufficiali del Ministero dei Trasporti e della
Regione Piemonte avevano annunciato la propria intenzione di inserire
il progetto dell’autostrada Cuneo-Nizza, con il traforo del Mercantour,
nella "Legge Obiettivo" destinata ad individuare le nuove opere.
Nel pieno del bacino alpino era spiccato anche l’accordo tra Roma e Regione
Veneto per il corridoio Tirreno-Brennero, composto dall’autostrada Parma-Nogarole
Rocca e dall’autostrada Valdastico Nord tra Piovene Rocchette e l’autostrada
del Brennero. |