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Articoli 17/06/2003

Trafori alpini

Una sfida rischiosa per l’ambienteStrada e ferrovia in modo non omogeneo si contendono i traffici del futuro

Trafori alpini
Una sfida rischiosa per l’ambienteStrada e ferrovia in modo non
omogeneo si contendono i traffici del futuro


di Lorenzo Borselli

Prefazione
Le inchieste del Centauro, ultimamente, hanno sempre suscitato clamore. La nostra è, ovviamente, solo un’opinione. Per definizione un’opinione non costituisce la verità assoluta, il Verbo, ma deve essere rispettata perché nasce ancora dall’esperienza di chi cerca nel tempo libero una soluzione al problema irrisolto della sicurezza stradale, su cui la nostra professione - a differenza di molti che portano avanti la nostra stessa battaglia - è quasi totalmente incentrata. A lungo abbiamo parlato di autostrade e trafori; in numerose occasioni abbiamo commentato i tragici fatti avvenuti nel buio delle gallerie. Finché, un giorno, non ci siamo accorti che quei trafori stavano sotto le nostre montagne più belle e che la neve immacolata del Monte Bianco, tanto immacolata non lo era più. Non vogliamo essere integralisti anche dell’ecologia, ma il problema della sicurezza è sempre più legato alle scelte che in futuro saranno fatte dai nostri governi: a prima vista una scelta che riguarda, a puro titolo esemplificativo, il raddoppio di un traforo, può essere considerata superficialmente come una soluzione al problema della salvaguardia della vita, ma in realtà la rimanda a pochi chilometri più avanti. Vi sono molte priorità oggi: di sicuro la sicurezza stradale è tra queste, ma anche il rispetto dell’ambiente e la necessità di rispettare la volontà di chi deve subire alcune scelte, soprattutto se sono stati espressi pareri contrastanti dagli organismi locali e soprattutto se tali decisioni pregiudicheranno senza alcun dubbio il futuro di aree votate più al turismo che all’industrializzazione selvaggia. Per questo nessuno Stato può cantare da solista, soprattutto se vi è un coro del quale si fa parte. La prima parte di questo viaggio alpino affronta in maniera generale il contrasto che vi è tra le nuove scelte di un governo (quello italiano) rispetto a intendimenti precedentemente manifestati in sede collettiva, tra tutti i paesi che si affacciano al bacino continentale delle Alpi. Tali decisioni trovano la ferma opposizione delle forze ambientaliste, in sintonia spesso con gli enti locali. La seconda parte, di prossima pubblicazione, analizzerà invece le cause del disastro del Gottardo e le nuove normative in materia di costruzione di gallerie.
Buon viaggio.


Otto diversi Stati, 83 regioni, 5.800 comuni, 190mila chilometri quadrati di territorio, di foreste e montagne, di città nelle valli glaciali e di paesi arroccati sulle montagne in cui si incrociano le vite di 11 milioni e 200mila abitanti. Signore e signori, ecco le Alpi, il cuore alto d’Europa, la terrazza con vista del Vecchio Continente che un tempo fu lo spartiacque tra Roma e i Barbari, il massiccio che oggi è un abbraccio roccioso per la nuova identità culturale in tumultuosa delineazione e in faticosa unificazione. Dall’Alta Baviera alla Svevia, dalla Corinzia alla Stiria, da Salisburgo al Tirolo, e poi il Rodano, la Provenza, la mezzaluna tra la Liguria e il Friuli Venezia Giulia, passando per Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia, e poi il Trentino e il Veneto, le puntate in Liechtenstein, al Principato di Monaco, la Svizzera e la Slovenia. Un vero dedalo di valli e ghiacciai, di tradizioni e folklori, di economia e strade, che un tempo valicavano i colli e che oggi, in molte circostanze, ci passano sotto.
La moderna Europa corre sui sentieri dei cavalieri templari, su quel reticolo viario che un tempo si riuniva alla Via Francigena, verso la Terra Santa e verso i santuari europei. Ma alla fine non c’è il Santo Graal: anzi, a volte le strade della comunione europea si incrociano con le fiamme di un inferno. Lo abbiamo visto in Italia, nel cuore del Monte Bianco, in Svizzera, nel San Gottardo; ma anche in Austria, nel tunnel dei Tauri, all’interno del quale, il 27 maggio 1999, morirono 12 persone a seguito di un incendio divampato un attimo dopo un tamponamento tra mezzi pesanti, uno dei quali trasportante vernici. La tragedia si rinnova ancora pochi mesi dopo, in giugno, a Drammen (Norvegia), ove la fiamma libera di una saldatrice causa l’esplosione della dinamite depositata all’ingresso di un tunnel in costruzione: due vigili del fuoco muoiono, mentre altri due non sono mai più ritrovati: oltre alle vittime una ventina di feriti. E poi ancora in Danimarca, in Spagna e poi negli States, dove la sindrome hollywoodiana del terrore e del last minute eroico vedeva un represso Stallone guidare un pugno di scampati al rogo di un tunnel cittadino puntualmente crollato verso la luce artificiale della metropoli in angoscia.
Oggi questo bacino, attraversato in lungo e in largo dalla rete autostradale europea, costituisce de facto l’unico percorso commerciale delle merci, che nonostante la possibilità di essere trasferite su rotaia da un paese all’altro, continuano a viaggiare a bordo dei pesanti bisonti della strada, sempre più numerosi e sempre più rapidi, sempre meno fermi per riposare; secondo la dura legge del commercio e delle compagnie, che impongono agli autisti la legge del più forte e chi si stanca muore o uccide, o perde il posto, se osa lamentarsi col caporale di giornata. Ecco perché cercheremo di capire, in questo nostro viaggio sull’arco alpino, se convenga davvero, visto che si scaveranno nuove gallerie, cercare il progresso e l’incremento del prodotto interno lordo nel caricare ancora altri camion, farli andare sempre più lontani, da un capo all’altro d’Europa, sempre più veloci, sempre più pericolosi.
Il Centauro, e con lui chi tenta di perseguire la sicurezza stradale, non poteva esimersi dal porre a se stesso ed al popolo dei suoi lettori, la questione che da tempo ricorre negli slogan degli ambientalisti o nei convegni promossi dalle tante associazioni nate in tutela del tetto d’Europa: si deve per forza investire su infrastrutture stradali in relazione ai crescenti legami commerciali? O si potrebbe utilizzare il medesimo fondo cassa per costruire nuove e moderne ferrovie su cui far passare, rapidi e sicuri, i container pieni zeppi di mercanzia, fino ai centri di smistamento? La domanda, scontata per gli ambientalisti e per gran parte dei quasi 12 milioni di abitanti dell’area alpina oggi a rischio "asfalto selvaggio", non è di facile soluzione, tanto più che a seguito delle ultime tragedie all’interno dei trafori, e soprattutto dal quotidiano bagno di sangue sulle strade, la nuova Unione Europea guarda con sempre maggiore interesse alla strada ferrata, all’incremento dei trasporti su nave tra i paesi del bacino mediterraneo e su chiatta per i paesi, come Francia e Germania, che dispongono di un’adeguata rete interna navigabile. Bisogna sapere che nel 1991 venne stipulata da Italia, Austria, Francia, Germania, Liechtenstein, Principato di Monaco, Slovenia e Svizzera, sotto l’egida della Comunità Europea, una convenzione: questo accordo era nato per assicurare una politica globale di protezione e "sviluppo sostenibile" del territorio alpino, essendo consapevoli tutte le parti firmatarie che l’intera area orografica alpina è indiscutibilmente caratterizzata da ecosistemi e paesaggi unici, troppo sensibili ad un aumento smisurato e sconsiderato di infrastrutture per poter sopportare un ulteriore impatto ambientale e acustico, fattori questi inevitabili se commisurati all’incipiente sviluppo sociale ed economico, in continua e inarrestabile crescita. Una successiva emanazione di quella convenzione riguarda il cosiddetto protocollo trasporti, firmato dalle parti che avevano ideato e sottoscritto la convenzione, nel quale tutti i delegati avevano assunto l’impegno ad astenersi dalla costruzione di nuove strade di grande comunicazione per il trasporto transalpino: l’impegno potrebbe essere disatteso dall’Italia, annotata sul Libro Nero della Cipra, una commissione che si occupa da mezzo secolo di tutelare il bacino alpino. Nel 2002 abbiamo assistito tutti al braccio di ferro tra Italia e Francia sulla questione Monte Bianco, che veniva riaperto al traffico mercantile dopo la tragedia; nello stesso anno fonti ufficiali del Ministero dei Trasporti e della Regione Piemonte avevano annunciato la propria intenzione di inserire il progetto dell’autostrada Cuneo-Nizza, con il traforo del Mercantour, nella "Legge Obiettivo" destinata ad individuare le nuove opere. Nel pieno del bacino alpino era spiccato anche l’accordo tra Roma e Regione Veneto per il corridoio Tirreno-Brennero, composto dall’autostrada Parma-Nogarole Rocca e dall’autostrada Valdastico Nord tra Piovene Rocchette e l’autostrada del Brennero.



di Lorenzo Borselli

da "Il Centauro" n. 77
Martedì, 17 Giugno 2003
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