Il
viaggio dei rifiuti di asfalto provenienti da cantieriall’interno
della rete autostradale:trasporto con formulario o no?
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Il fatto Con un processo verbale di accertamento di violazione amministrativa, la Polizia Provinciale contestava al responsabile legale di un’azienda di bitumi e costruzioni una infrazione amministrativa per violazione dell’art. 15 c. 1 del D.L.vo n. 22/97 succ. mod. /art. 52 c. 3 medesima normativa per aver effettuato attività di trasporto rifiuti non pericolosi del tipo "asfalto contenente catrame CER 170301" senza il prescritto formulario di identificazione del rifiuto. Tale contestazione avveniva relativamente a trasporti effettuati dal luogo di produzione "autostrada (…)", all’impianto di messa in riserva ex art. 33 D.L.vo n. 22/97 sito c/o lo svincolo autostradale (…), in un certo arco temporale presumibilmente per un totale di n. 100 trasporti. In sede di opposizione rituale, la Provincia competente disponeva l’archiviazione del processo verbale citato in premessa. Nella motivazione del provvedimento si rileva che "il sito di messa in riserva, ove vengono trasportati i rifiuti che si originano dall’attività di manutenzione del manto autostradale posta in essere dalla (…) S.p.A., si trova presso lo svincolo autostradale di (…) ed è parte integrante dell’area autostradale, in quanto i mezzi vi possono accedere senza uscire dalla stessa; rientra pertanto nella fattispecie di "sito infrastrutturale collegato, all’interno di un’area delimitata (l’area autostradale), con il sito in cui si svolgono le attività dalle quali si originano i rifiuti (il tratto autostradale specifico ove si svolgono i lavori di manutenzione)", così come individuata nell’art. 6 comma 1° lett. i); gli spostamenti dei rifiuti prodotti all’interno dell’area autostradale, non sono pertanto considerabili come veri e propri "trasporti di rifiuti" per i quali necessiterebbe l’accompagnamento del formulario di identificazione, poiché non vi è alcuna uscita del plesso autostradale da parte dei mezzi di trasporto;possono essere invece considerati come semplice raccolta e raggruppamento di rifiuti all’interno del medesimo "cantiere di lavoro", così come recita il predetto art. 6 comma 1° lett. e) laddove definisce "raccolta: l’operazione di prelievo, di cernita e di raggruppamento dei rifiuti per il loro trasporto"; conseguentemente non si ravvisa l’obbligo del formulario di trasporto per la fattispecie considerata; considerato pertanto, per quanto sopra esposto, infondato accertamento di cui al predetto p.v.; visti gli artt. 8 l.r. n. 45/1982 e 18 l. n. 689/1981; dispone l’archiviazione del processo verbale citato in premessa." Il commento Come
è stato sopra esposto, dunque, a seguito del processo verbale di
accertamento effettuato dalla polizia provinciale a carico del responsabile
legale di un’azienda di bitumi e costruzioni a seguito di violazione
dell’art. 15 co. I del D.Lgs. n. 22/97 e succ. modifiche, per aver
effettuato attività di trasporto rifiuti non pericolosi del tipo
asfalto contenente catrame CER 170301, senza il prescritto formulario
di identificazione del rifiuto, relativamente a trasporti effettuati dal
luogo di produzione "autostrada (..) ", all’impianto di
messa in riserva ex art. 33 D.Lgs n. 22/97, l’autorità competente,
a seguito delle memorie difensive presentate dall’interessato, provvedeva
all’archiviazione del procedimento motivando in ordine alla locazione
del sito di messa in riserva. Secondo la motivazione della Provincia,
trattandosi di sito posto nei pressi dello svincolo autostradale, esso
è da considerarsi parte integrante dell’area autostradale,
in quanto i mezzi vi possono accedere senza uscire dalla stessa; pertanto
gli spostamenti dei rifiuti prodotti all’interno dell’area autostradale
non sono considerabili come veri e propri trasporti di rifiuti per i quali
necessiterebbe l’accompagnamento del formulario di identificazione.
Tale interpretazione non può essere condivisa nel contesto della
disciplina generale delineata dal decreto n. 22/97 in quanto si innesta
sul delicatissimo problema del trasporto nei siti extraziendali e pone
di conseguenza una serie di problemi: Le interpretazioni sul deposito temporaneo extraziendale (o extracantiere in particolare) Nel caso in esame la destinazione del viaggio era classificata come "messa in riserva" e quindi come stoccaggio; ma in altri casi similari interpretazioni non condivisibili giungono perfino ad ipotizzare un deposito temporaneo anche in arrivo, portando alla massima elasticizzazione il concetto di "luogo di produzione" esteso dunque a siti della medesima azienda collegati da rapporti strutturali o formali a distanza. Naturalmente anche questa tendenza applicativa a nostro avviso non può essere ritenuta in linea con il decreto n. 22/97. La storia di questa controversa costruzione giuridica è nota e fin dal primo giorno ha determinato equivoci e polemiche. Ma soprattutto è stata utilizzata, e viene a tutt’oggi utilizzata, per mascherare discariche abusive alla luce del sole. Il deposito temporaneo è concetto innovativo stabilito dalla norma al punto m) dell’articolo 6 primo comma. La definizione è stabilita come "raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti" a una serie di condizioni tecniche specifiche che sono indicate in seguito nello stesso punto della stessa norma. Non vi è dubbio che il deposito temporaneo va collocato come eccezione particolare e specifica rispetto alle operazioni di "gestione" in senso stretto (raccolta + trasporto + smaltimento o recupero), nel senso che trattasi di una figura derogatoria che viene di volta in volta estrapolata dal legislatore rispetto a tutto il regime autorizzatorio previsto per la "gestione" dall’art. 28 esonerando l’azienda dagli obblighi autorizzatori. L’art. 28 (che disciplina l’autorizzazione all’esercizio delle operazioni di smaltimento e recupero), dopo aver previsto il regime della prassi amministrativa a carico degli interessati, stabilisce nel comma 5 che le disposizioni dello stesso articolo non si applicano al deposito temporaneo (ecco dunque il carattere di eccezione del relativo concetto) effettuato nel rispetto delle condizioni di cui all’art. 6 comma 1 lettera m), che é soggetto unicamente agli adempimenti dettati con riferimento al registro di carico e scarico di cui all’art. 12 ed al divieto di miscelazione di cui all’art. 9. Ma perché avviene tutto questo? In realtà il deposito temporaneo nella formulazione originaria del decreto 22/97 nasce come un (condivisibile) modesto punto di deroga per agevolare soprattutto le piccole imprese caratterizzate da una modesta produzione di rifiuti e per le quali il ricorso alle operazioni di "gestione" ordinaria significava un pesante stress operativo ed economico. Ed ecco che si studiò un regime di favore per adeguare la realtà alla norme e venne elaborata la prima, vera ipotesi di "deposito temporaneo" che doveva consentire alle piccole aziende, in deroga alla gestione formale, di conservare nella propria area aziendale un quantitativo relativamente modesto di rifiuti corrispondente sostanzialmente al carico di un "viaggio" del trasportatore con ristoro e proporzione economica conseguente. Ma su tale originario deposito temporaneo fu innestato poi, a forza, una seconda ipotesi alternativa con una crisi di rigetto durata mesi (ricordate le polemica sull’ "ovvero" che univa i due ’depositi’?) fino a quando una legge dello Stato fu costretta a chiarire che "ovvero" voleva dire "in alternativa" e non "e" come si ipotizzava… Alla fine l’effetto è sotto gli occhi di tutti. Non abbiamo un deposito temporaneo, ma due depositi temporanei innestati nella stessa norma affatto simili. Ed il secondo è praticamente utilizzato come prassi per mascherare le discariche abusive. Va sottolineato che deve trattarsi di un’attività strettamente chiusa, sottinteso anche a livello strutturale/topografico, all’interno del ciclo aziendale ed esattamente del luogo di produzione in senso stretto. Conferma questo principio il concetto di luogo di produzione perché solo presso "il luogo dove sono prodotti" i rifiuti è consentito effettuare il deposito temporaneo. L’art. 6, comma 1, lett. i), definisce luogo di produzione "uno o più stabilimenti o siti infrastrutturali collegati tra loro all’interno di un’area delimitata in cui si svolgono le attività di produzione dalle quali originano i rifiuti". Il deposito temporaneo presuppone, perciò, che il rifiuto non sia mai uscito dall’"area delimitata" entro la quale è svolta l’attività produttiva. è, inoltre, ovvio che il deposito temporaneo può essere effettuato solo dal soggetto che ha prodotto i rifiuti. Dietro lo schermo formale del deposito temporaneo si nascondono spesso discariche abusive o comunque gravi illeciti collaterali. Il deposito temporaneo continua infatti ad essere oggetto di primario interesse da parte della giurisprudenza non solo nazionale ma anche, come testimonia una sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee (Sezione IV - Sentenza del 5 ottobre 1999 - Cause riunite C-175/98 e C-177/98). Tale ripetuto approfondimento del tema conferma che in realtà le questioni inerenti il deposito temporaneo, lecite e fraudolente, rappresentano punto-cardine della normativa in materia di rifiuti giacché il concetto teorico e la pratica applicazione di tale prassi costituiscono da un lato interesse economico ed operativo primario per le aziende e dall’altro fonte di gravi potenziali illeciti. Va sottolineato che la sentenza della Corte Europea pone dei punti fermi di risoluzione interpretativa in ordine ad alcuni aspetti fondamentali della nozione di deposito temporaneo. Chiarisce infatti la sentenza in modo inequivocabile (e con ciò ogni dubbio dovrebbe essere sul punto definitivamente risolto) che il deposito temporaneo va collocato in via sistematica in una fase della strutturazione del decreto n. 22/97 che è precedente a livello formale e sostanziale rispetto alle operazioni di "gestione" in senso stretto (e cioè prima di quella interconnessione operativa caratterizzata da raccolta + trasporto + smaltimento o recupero). Dunque, trattasi di una prassi che viene specificamente ed espressamente estrapolata dal legislatore rispetto a tutto il regime autorizzatorio varato per la successiva gestione e da questa tenuto distinto. La Corte europea, dopo aver ribadito che il deposito temporaneo deve essere eseguito nel luogo in cui i rifiuti sono prodotti (con la conseguenza che un trasporto di fatto è già piena "gestione" e dunque ben lontano dal concetto stretto di deposito temporaneo), sottolinea che collateralmente alla ideazione e santificazione normativa del principio in esame il legislatore europeo deve adottare tutte le attività e misure di vigilanza e prevenzione (aggiungeremmo: anche repressive) per far sì che tale prassi (che la Corte ribadisce essere una modesta deroga eccezionale rispetto alla ordinaria gestione) non si trasformi da fatto squisitamente restrittivo e limitato alle finalità specifiche connesse in un pericoloso mezzo di illegalità utilizzato per celare forme di altre attività di stampo illegale come stoccaggi e discariche abusive. Il deposito temporaneo è un’attività che, ribadisce la Corte europea, "deve interpretarsi in modo restrittivo" e non può essere esteso più di tanto rispetto agli stretti confini genetici che lo caratterizzano nelle sue finalità di fondo. E dunque le prime restrizioni che vanno ribadite e sottolineate sono il fatto che soltanto il produttore può effettuare tale deposito in ordine ai propri rifiuti (un terzo che operasse tale attività sarebbe illecito e non si tratterebbe certamente più di deposito temporaneo ma saremmo già entrati in piena gestione illegale); ancora il luogo di ubicazione topografica deve essere lo stretto perimetro aziendale non in senso lato ma limitato formalmente e sostanzialmente a luogo di produzione inteso in senso appunto restrittivo (e dunque un trasporto che varchi tali stretti confini, seppur da un’area aziendale ad altra area, magari con l’artifizio della sede legale distaccata e/o altro similare) sarebbe antitetico con il principio in questione. Deve trattarsi di un’attività strettamente chiusa, sottinteso anche a livello strutturale/topografico, all’interno del ciclo aziendale. Stabilisce ancora la Corte, e questo è ulteriore punto rilevante, che seppur il deposito temporaneo è fisiologicamente esente dall’obbligo di registrazione o di autorizzazione, è naturalmente soggetto al rispetto dei principi della precauzione e dell’azione preventiva e le autorità nazionali sono esortate a garantire il rispetto di questi obblighi. Il che significa che viene di fatto sollecitata una razionale ed efficace azione di controllo non solo per verificare in senso formale/sostanziale la sussistenza dei requisiti sopra esposti in relazione al deposito in esame, ma anche per evitare che nel rispetto di tale parametri comunque i rifiuti temporaneamente depositati possano provocare danni rilevanti all’ambiente. Anche la Corte di Cassazione è intervenuta su questo specifico e delicato tema. Si veda Cassazione Penale - sentenza del 5/4/01 - ud. Cc. 20/2/01 - n. 13808 - 41854/2000 RG - Pres. Toriello - Rel. Grillo: "Il deposito temporaneo previsto dall’art. 6 del D.L.vo N. 22/97 rappresenta una ipotesi a carattere eccezionale e derogatorio rispetto alle ordinarie attività di "gestione" dei rifiuti previste dalla medesima norma e soggette al regime autorizzatorio delineato dall’art. 28, penalmente sanzionato in caso di violazioni. Per ritenere sussistenti i presupposti in fatto ed in diritto che legittimano tale figura in relazione ad un considerevole quantitativo di rifiuti propri depositati da un’azienda nella propria area, deve sussistere il rigoroso e puntuale rispetto di tutte le condizioni tecniche, quantitative e temporali previste dal citato art. 6 decreto-rifiuti con conseguente doverosa verifica sia nei documenti aziendali che nelle condizioni che danno luogo alla formazione dei rifiuti presso quel sito; in difetto, trattasi di ordinaria attività di gestione di rifiuti svolta in modo illecito e soggette alle sanzioni penali conseguenti (nel caso di specie: discarica abusiva ex art. 51/3° comma decreto 322/97)." (massima redaz.) E la sentenza della Cassazione va ad incidere proprio sul delicatissimo momento operativo e di principio della dimostrazione dei presupposti giuridici del deposito temporaneo. Infatti, nel caso esaminato dalla Corte si è verificato un caso praticamente collaudato e standardizzato: di fronte al cumulo di rifiuti aziendali, ormai è prassi che si ritengano gli stessi automaticamente come "deposito temporaneo" in linea generale , quasi come diritto acquisito, considerando tale figura la regola e la normalità. Ma così non è, ed anzi vige il concetto esattamente opposto. E questo è stato puntualizzato dalla Cassazione. Il deposito temporaneo non è la regola, è l’eccezione. Che va dimostrata. Altrimenti è reato di discarica abusiva. E la dimostrazione deve essere attinente a tutti i punti specifici e particolari che l’art. 6 del decreto 22/97 prevede. In alternativa, ove tali parametri temporali/quantitativi non dovessero essere rispettati, automaticamente si azzera la eccezione di deroga di favore che caratterizza il deposito temporaneo e gli accumuli devono essere letti (legalmente o illecitamente) entro il sistema di gestione in senso stretto. Il deposito temporaneo è una alternativa di esclusione rispetto alle ipotesi di stoccaggio costituite dal "deposito preliminare" o "messa in riserva" (come appare evidente anche dalla formulazione della citata voce D 15 dell’allegato B e voce R 13 dell’allegato C al decreto legislativo 5 febbraio 1997, nonché dalla struttura delineata nell’art. 6. Ove un’azienda decida di ricorrere, invece, a tali due ipotesi di stoccaggio nell’area interna anche di produzione dei rifiuti, può accedere ai connessi e regolari regimi autorizzatori ed attuare regolarmente la prassi conseguente, realizzando così, secondo i casi, un "deposito preliminare" prima dello smaltimento o "messa in riserva" prima del recupero. Chiaramente le due ipotesi, deposito preliminare o stoccaggi (nelle due possibilità) sono alternative. Si argomenta spesso a sostegno dell’ipotesi di sito di deposito temporaneo di fatto extraziendale che tale deposito temporaneo viene effettuato ancora nel ciclo stesso ma topograficamente e fisicamente fuori del recinto aziendale per esigenze tecniche, cosicché il tragitto tra l’ubicazione muraria dell’azienda e il terreno del presunto deposito temporaneo dovrebbe essere interpretato come una sorta di "spostamento interno al ciclo aziendale" e non come un "trasporto in senso stretto" perché l’operazione resterebbe sempre chiusa dentro la nicchia della gestione di produzione aziendale. Oppure si accede ad interpretazioni estensive che misurano il "luogo di produzione" in aree vaste purché "riservate" da titolo unico di proprietà o gestione, fino ai tracciati autostradali. In altre parole, il deposito temporaneo verrebbe semplicemente ubicato in via differita a livello topografico per esigenze tecniche connesse, magari, a mancanza di spazio nell’area aziendale e/o altre esigenze di fatto o tecniche. In realtà il deposito temporaneo deve essere effettuato dentro il luogo di produzione ed i rifiuti non devono uscire fuori dalle mura strette dell’azienda o dai confini stretti del cantiere, giacché ogni altra ipotesi fa cessare automaticamente i presupposti del deposito temporaneo e la fuoriuscita dei rifiuti dal cancello del luogo di produzione è già attività di gestione degli stessi e deve essere considerata a tutti gli effetti di legge trasporto in senso stretto e soggetta ai regimi di rito, tra cui il formulario. La rete autostradale è tutta un "luogo di produzione dei rifiuti"? A nostro avviso i tracciati stradali ordinari ed autostradali, giacché soggetti alle regole (pubbliche) del codice della strada, sono soggetti anche alle regole (pubbliche) della normativa sui rifiuti (trasporto di rifiuti soggetto a formulario anche all’interno del tracciato tra caselli). Altrimenti si dovrebbe argomentare, per coerenza ideologica, che le autostrade sarebbero esentate anche dalle altre norme generali, tra cui le regole del codice della strada e la responsabilità conseguente. Non si intuisce, dunque, perché il veicolo che trasporta i rifiuti (e l’autista) sono soggetti alle regole ordinarie comuni alle strade "ordinarie", ivi incluse le responsabilità civili, penali ed amministrative in caso di incidente, mentre sarebbero esentati dalla normativa sui rifiuti perché "sito infrastrutturale collegato" in un unico "cantiere di lavoro". Un tracciato, dunque, che per il codice della strada è strada in senso stretto, mentre per la normativa sui rifiuti sarebbe "cantiere". Tale concetto, applicato in altre ipotesi ad altre estensive interpretazioni di "sito infrastrutturale collegato", e mutando il "collegamento" con altre dinamiche, sortirebbe l’effetto di legalizzare di fatto trasporti di rifiuti senza formulario da un punto topografico ad uno diverso, magari ipotizzando depositi temporanei in partenza ed in arrivo. Gli effetti sul controllo nazionale del trasporto sui rifiuti sarebbero devastanti.
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Magistrato
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