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Notizie brevi 09/02/2004

"24 ore senza incidenti,possiamo farcela" SICUREZZA STRADALE INTERVISTA ESCLUSIVA COL VICEPRESIDENTE UE DE PALACIO RISPETTIAMO LE REGOLE Presentata la "Carta per la sicurezza stradale". "I Paesi europei devono fare di tutto per uscire dall’emergenza".

Da"Famiglia Cristiana"

"24 ore senza incidenti,possiamo farcela"

SICUREZZA STRADALE INTERVISTA ESCLUSIVA COL VICEPRESIDENTE UE DE PALACIO

RISPETTIAMO LE REGOLE


Presentata la "Carta per la sicurezza stradale".
"I Paesi europei devono fare di tutto per uscire dall’emergenza".

di Pino Pignatta

Bruxelles

"Ragazzi, stasera chi fa il "Bob"?". L’idea è partita dal Belgio e contagia l’Europa. Il "Bob" è quello che va con gli amici a una festa, al ristorante, in discoteca, e non tocca una goccia di vino, di birra, di whisky. Si sacrifica per il gruppo, resta sobrio per portare a casa tutti sani e salvi, non beve se non cocktail analcolici, che in alcuni locali per lui sono gratis. Poi la sera dopo tocca a un altro. Non c’è neppure bisogno d’insistere: "Stasera si esce, chi fa il Bob?".

In Belgio funziona da anni, trovi sempre un volontario che rispetta le regole, sta lontano dalla bottiglia tutta la sera. Gli incidenti calano e adesso il Bob è diventato uno dei progetti finanziati dalla Commissione europea in materia di sicurezza stradale, già copiato da Olanda, Grecia, Spagna e Gran Bretagna. L’obiettivo è salvare 20.000 vite l’anno entro il 2010, cioè dimezzare il numero dei morti che nell’Unione europea sono 40.000, in media più di cento al giorno.

Ne abbiamo parlato con Loyola de Palacio, 55 anni, spagnola, commissario europeo all’Energia e ai Trasporti, vicepresidente dell’esecutivo guidato da Romano Prodi. Ha lanciato a Bruxelles la campagna 2004 per la "Carta europea della sicurezza", un impegno solenne che può essere sottoscritto da chiunque abbia un’autorità, una capacità di decisione, un potere economico o sociale, un mandato di rappresentanza: Governi, amministrazioni, Comuni, case costruttrici, parlamentari, polizia, associazioni.

Chi firma questa Carta s’impegna ad attuare le misure nei suoi poteri e nella sua responsabilità sociale per accelerare i progressi nel campo della sicurezza sulle strade. "Come ha fatto un Comune tedesco firmatario della Carta", spiega Loyola de Palacio, "che ha inventato la multa da scontare "dietro la lavagna": chiunque è sorpreso dalla Polizia a superare i limiti davanti a una scuola, sarà obbligato per legge a passare una giornata coi ragazzi: per scusarsi e spiegare loro che in auto non si corre, che le regole vanno rispettate, che è una questione di educazione e di cultura".

Lo slogan della Commissione è una responsabilità "condivisa".
Perché?
"Perché se tutta l’Europa comunitaria, intesa come società allargata, decide di ridurre i morti sulle strade, con l’obiettivo di dimezzare il numero delle vittime, traguardo ambizioso ma possibile, allora insieme si può fare meglio, mettendo in comune le esperienze di ogni Paese e prendendo ad esempio le eccellenze, come la Svezia o la Gran Bretagna, che con programmi mirati hanno raggiunto i risultati migliori".

Ma come può essere "condivisa" una responsabilità se ci sono forti differenze nelle legislazioni nazionali?

"Le legislazioni non sono così diverse. Ciò che cambia da un Paese all’altro è l’applicazione effettiva della legge, i controlli. Le sanzioni in alcuni casi sono rigorose, in altri molto blande".

La Commissione insiste parecchio sui controlli...

"Sono indispensabili, ma attengono alla sfera degli Stati membri e delle autorità pubbliche. La questione chiave della sicurezza è un’altra: la reazione della società, il cambiamento di mentalità, il senso di maturità dei cittadini, l’interiorizzazione di comportamenti responsabili, la capacità di modificare il proprio atteggiamento al volante. Perché la riduzione degli incidenti dipende da noi stessi, non è mai una questione di fatalità".

Intende dire che non si muore mai a causa di un destino tragico?

"In percentuali minime. La fatalità non c’entra: il 90 per cento degli incidenti è dovuto alla responsabilità di chi sta al volante, che rischia in proprio o coinvolge altri innocenti, come nel caso della guida in stato di ebbrezza. Prendiamo l’esempio del Belgio: questa iniziativa del "Bob" si è radicata ed è stata condivisa dalla società, soprattutto dai giovani. Un esempio che tutti i Paesi, e i cittadini europei, dovrebbero seguire. Lei pensa che in Italia potrebbe funzionare?".

Non credo, siamo un Paese che indossa la cintura non perché può salvare la vita, ma perché danno la multa. Prima della patente a punti, solo 30 italiani su 100 mettevano la cintura...

"è vero, però in Italia la nuova patente dà i primi frutti, ho visto i dati, c’è una riduzione sensibile degli incidenti...".




Tuttavia abbiamo un ministro che aumenta il limite di velocità a 150. Come concorda questo con le indicazioni della Commissione europea?

"Un limite di velocità europeo ancora non esiste. Ma la velocità su alcuni tratti autostradali non è essenziale; in determinate condizioni da 110 a 130, oppure a 140, non cambia molto. Ciò che è fondamentale, invece, è osservare i limiti dove ci sono. Un esempio: in Germania in alcuni punti non ci sono limiti, si può correre anche ai 200. Ma c’è un rispetto, e un controllo rigoroso, delle velocità relative: se c’è il segnale degli 80, non vanno agli 81; è più probabile ai 79. Gli automobilisti rispettano le regole e la polizia le fa rispettare".

Quali sono i Paesi più rigorosi?

"Svezia e Regno Unito, che hanno le performance migliori nella riduzione dei morti. Fuori dalla Ue, la Svizzera".

All’Italia che voto diamo?

"La patente a punti funziona".

Per la Commissione la velocità è sempre la prima causa d’incidenti...

"La velocità eccessiva e quella inadeguata rispetto ai limiti segnalati".

Paesi come Svezia e Gran Bretagna che cosa possono insegnare?

"Il controllo maniacale sul rispetto dei limiti e delle regole, che sono più o meno le stesse degli altri Paesi, ma fatte osservare con grande rigore. In Inghilterra, per esempio, c’è un limite di tasso alcolemico più alto che in Italia: 0,7 contro 0,5. Ma gli inglesi quello 0,7 lo fanno rispettare in modo intransigente, non si scappa; se sei fuori sono guai seri, con multe e conseguenze pesanti".

Torniamo al solito punto...

"In alcuni Paesi c’è un rispetto "vero" delle norme, non si bara, non ci sono accomodamenti di alcun genere. E con la severità i risultati arrivano".

Pino Pignatta

 

 

TUTTI I NUMERI DELL’EMERGENZA

Qualche dato per capire che parliamo di un’emergenza. Ogni anno muoiono in Europa più di 8.500 giovani tra i 18 e i 25 anni, 2.000 soltanto nelle stragi del sabato sera, per eccesso di velocità, per le conseguenze dell’abuso di alcol o di stupefacenti, per una generale supervalutazione delle proprie capacità di guida, per il gusto del rischio, per un atteggiamento meno rispettoso delle norme.

Comprese tutte le fasce d’età, nel complesso sono 40.000 morti ogni anno, 1.700.000 feriti, su un totale di 200 milioni di veicoli che si riversano su 4 milioni di chilometri di strade. Un’ecatombe che non risparmia neppure i pedoni, dei quali si parla raramente: più di 6.000 ogni anno, vittime di incidenti stradali.

I costi sociali per l’Europa dei 15 sono altissimi: 160 miliardi di euro, il 2 per cento del Prodotto nazionale lordo dell’intera Unione, che costano ai 375 milioni di utenti della strada europei più di 10 volte il buco finanziario della Parmalat, qualcosa come 426 euro a testa. In altre parole, ogni europeo perde 800.000 vecchie lire ogni anno in conseguenza del milione e 230 mila incidenti che avvengono sulle strade dell’Unione. E sono costi diretti e indiretti: in spese sanitarie, in riabilitazione, in attrezzature ospedaliere, in mezzi e uomini specificamente dedicati alle emergenze, in riduzione dell’aspettativa di vita, in mancanza di produttività e in capacità di generare ricchezza nel Prodotto interno lordo dei singoli Paesi.

è dunque un’emergenza, una priorità, come l’ha definita la Francia, il cui capo di Stato, Jacques Chirac, ha esplicitamente inserito la sicurezza stradale tra i punti cardine del suo mandato presidenziale. Una battaglia di civiltà che richiederebbe l’impegno concreto di tutti i Paesi, la collaborazione tra le polizie, il monitoraggio puntuale degli incidenti, il trasferimento dei dati alle autorità competenti, l’aggiornamento continuo del database della Commissione europea, che permetterebbe, anno dopo anno, di confrontare la situazione di ogni singolo Paese, per capire chi progredisce, dove e come, e chi resta in fondo alla scala della sicurezza.

E invece l’Italia dal 1998 invia a Bruxelles, o invia solo in modo incompleto, i dati sulla propria incidentalità. Spiegano i funzionari della Commissione europea: "La raccolta dei dati sull’incidentalità in Italia è completamente disorganizzata, regna la confusione tra i diversi organi preposti alla raccolta: polizia, carabinieri, vigili, pronto soccorso. E in più avevamo completamente perso il nostro contatto con l’Istat, che soltanto di recente abbiamo recuperato, e solo adesso stanno arrivando i primi riscontri. Ma per la situazione italiana c’è quasi il buio per quanto riguarda 1999, 2000, 2001, 2002".

La Commissione europea, ovviamente, auspica che il suo Programma per la sicurezza stradale incontri l’adesione e la cooperazione di tutti i soggetti interessati. Anche per questo ha lanciato ufficialmente la "Carta europea della sicurezza" in un convegno a Bruxelles al quale ha partecipato anche Famiglia Cristiana. Loyola de Palacio, vicepresidente della Commissione, ha parlato della Carta come di un punto di partenza per arrivare a salvare 20.000 vite entro il 2010. Aderire alla Carta è un impegno solenne: ogni firmatario si rende disponibile ad attuare azioni specifiche. Gli impegni assunti saranno pubblici e il loro rispetto sarà controllato.

Tre le direzioni principali sulle quali agire: incoraggiare gli utenti a un migliore comportamento, sfruttare il progresso tecnico per rendere i veicoli più sicuri, incoraggiare il miglioramento delle infrastrutture stradali. Su tutto domina la necessità di incidere su abitudini radicate in alcune fasce di utenti: guida sotto l’effetto dell’alcol, mancato uso della cintura di sicurezza, velocità eccessiva o inadeguata. Una riduzione di tre chilometri l’ora della velocità media permetterebbe di salvare in Europa da 5.000 a 6.000 vite ogni anno, con un’economia di 20 miliardi di euro.


di Pino Pignatta

Da"Famiglia Cristiana"
Lunedì, 09 Febbraio 2004
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