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Articoli 17/01/2023

di Lorenzo Borselli*
Mafia: i Carabinieri arrestano l’ultimo “capo dei capi”
Finisce finalmente a Palermo la vita libera di Matteo Messina Denaro, pupillo di Totò Rina ed erede di Bernardo Provenzano. E ora?

“La mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio, e avrà anche una fine. Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni.”

Giovanni Falcone, 30 agosto 1991

La storia ci dirà come effettivamente sia andata, come cioè i Carabinieri del ROS abbiano stretto il cerchio con un’eccezionale ed esemplare operazione di polizia, attorno a Matteo Messina denaro, primula rossa dei corleonesi e della mafia tutta, l’uomo più ricercato d’Italia e probabilmente del mondo. Era stato dichiarato latitante nel 1993, poco dopo essere stato sentito come teste nel processo per l’omicidio Accardo, uno dei tanti per i quali ‘U Siccu era stato fino ad allora sentito e l’unico nel quale la sua voce era stata registrata. Da allora niente: ci si è dovuti accontentare delle rielaborazioni dell’unica foto disponibile, invecchiata con un software della Scientifica.
Ogni operazione finalizzata alla sua cattura si era sempre conclusa con un nulla di fatto, complice la fitta rete di insospettabili (e non), costituita da fidati luogotenenti, da appartenenti alla sua cerchia familiare e chissà da chi.
È plausibile che gli inquirenti abbiano battuto per l’ennesima volta tutte le piste, andando per esclusione, pescando finalmente l’asso di briscola e ottenendo il via libera dal procuratore capo di Palermo Maurizio De Lucia e dall’aggiunto Paolo Guido: il suo tentativo di emulare il padre Francesco, morto da latitante, non gli è dunque riuscito.
Duecento uomini di ROS, del GIS e dei reparti territoriali dell’Arma hanno cinto d’assedio l’ospedale privato La Maddalena, dove il boss era ricoverato sotto il falso nome di Andrea Bonafede e quando gli si sono parati davanti lui non ha avuto esitazioni: “sono Matteo Messina Denaro”, ha ammesso, nel tentativo (vano) di non perdere la dignità.
La dignità, certo: andatelo a dire al piccolo Giuseppe Di Matteo, se proprio a qualcuno venisse voglia di idolatrare l’ex latitante che, vogliamo ricordarlo, architettò nel ‘93 il rapimento del figlio dodicenne di Santino, “pentitosi” dopo la strage di Capaci, e che fu tra coloro che ne ordinarono la terribile esecuzione tre anni dopo, nel 1996: strozzato con una corda e sciolto nell’acido.
Le ultime persone che il bambino vide furono i volti di  Enzo Brusca, Vincenzo Chiodo e Giuseppe Monticciolo che lo ammazzavano e l’ultima frase che sentì fu quella rivoltagli proprio da Monticciolo, che gli teneva le gambe: “…mi dispiace, ma tuo padre ha fatto il cornuto…”.

Per chi ama la legalità, la cattura di Matteo Messina Denaro non è solo un colpo durissimo inferto alla mafia, per il quale perfino gli storici più ortodossi non hanno potuto fare a meno di rilevare che alla fine anche la cabala ha giocato un suo simbolico ruolo, destinato a diventare iconico, ma è soprattutto un sollievo: a distanza di nemmeno un anno dalle stragi palermitane di Capaci e di via d’Amelio del 1992, giusto trent’anni fa, “cosa nostra” siciliana sferrava l’attacco al continente, piazzando ordigni in via dei Georgofili a Firenze e in via Palestro a Milano, dopo aver attentato alla vita di Maurizio Costanzo e dopo aver fallito un attentato ai Carabinieri all’Olimpico.
Era il 1993, l’anno in cui anche Salvatore Riina finiva in manette in circostanze che nessun processo ha potuto ad oggi del tutto chiarire e anche le verità scritte sulle sentenze, per quanto rispettabili, non possono comunque soddisfare la tanta gente onesta di questo Paese.

Sessantadue anni da compiere, Matteo Messina Denaro fu pupillo di Riina già in giovanissima età e la lista dei suoi efferati omicidi e di quelli di cui è stato certificato come mandante, è così lunga da far tremare i cuori più impavidi. A tremare, ne siamo certi, saranno ora quelli che con lui hanno trattato nei tre decenni di macchia, come del resto coloro che hanno intessuto la rete che ne aveva finora impedito la sua localizzazione e il suo arresto.
Perché il capo del mandamento di Castelvetrano di segreti ne ha senz’altro parecchi, anche se la sua cattura potrebbe essere indicatrice chiara del fatto che il suo ruolo, in testa a una cupola che negli anni sembra essersi fatta più orizzontale e meno verticistica, sia ormai concluso: segreti che se qualcuno riuscisse a strappargli dalla testa potrebbero restituire all’Italia quelle verità che nessuno finora è riuscito a conoscere. Chi le intuì è stato ammazzato o delegittimato, secondo un preciso e collaudato schema operativo: in primo luogo chi orchestrò le nomine, chi dispose lo smantellamento del Pool Antimafia pensato da Rocco Chinnici e poi tenuto da Antonino Caponnetto, chi custodì l’agenda di Borsellino prelevata dal luogo dello scoppio, chi tradì Falcone (dentro e fuori lo Stato), chi aveva lasciato solo il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e via di seguito, fino ai nomi di coloro che costituirono le file del cosiddetto “secondo livello” delle ultime stragi, di cui i pubblici ministeri Gabriele Chelazzi, scomparso anni fa, Alessandro Crini e Giuseppe Nicolosi sostennero il primo grado nell’aula bunker di Santa Verdiana a Firenze.

Se Messina Denaro aprisse bocca, ne siamo sicuri (così come siamo sicuri che non lo farà), assisteremmo alla riscossa morale di tutti quelli che hanno combattuto e non ce l’hanno fatta e forse potremmo finalmente chiudere quella stagione, sulla linea che Giovanni Falcone profetizzò in una delle sue ultime interviste, rilasciata a Rai Tre pochi mesi prima di saltare in aria proprio per mano di quel gruppo di assassini sanguinari che qualcuno si ostina a chiamare uomini d’onore.
Frase che abbiamo messo in testa a questo pezzo, “incipit” simbolico al nostro commento per la fine del regno di questo indecente e criminale sovrano.

*Ispettore della Polizia di Stato, Responsabile
Nazionale della Comunicazione di ASAPS


Il percorso sanguinario e il fine corsa di Matteo Messina Denaro in un articolo di Lorenzo Borselli, consigliere nazionale ASAPS, Ispettore della Polizia Stradale.

 

 

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Martedì, 17 Gennaio 2023
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