A cura dell'avv. Rosa Bertuzzi- Massimo Saltarelli*
FANGHI DA DEPURAZIONE: le regole per l’impiego in agricoltura
I fanghi da depurazione derivanti dal trattamento delle acque reflue prodotti in Italia, secondo i recenti dati Ispra, sono circa 3,5 milioni di tonnellate annue, con un prevedibile aumento legato alla programmazione di nuovi impianti di depurazione già progettati o in attesa di entrare in funzione. La loro composizione riguardo alle sostanze nutrienti (oltre 30% di carbonio, 5% di azoto, 2-3% di fosforo, ecc.) li vede, se pur per una quota modesta, impiegati in agricoltura quali materiale di spandimento sui terreni in alternativa ai concimi chimici. Una ulteriore modesta quota trova impiego nei processi di digestione anaerobica per la produzione di biogas. Anche l’avvio ad incenerimento o pirolisi risulta un possibile reimpiego nella direzione di circolarità economica ma ancora di ridotte dimensioni se si considera che il 53% dei fanghi prodotti viene avviato a smaltimento. Il costante aumento dei quantitativi e le difficoltà di reimpiego evidenziano le criticità a cui i gestori degli impianti di depurazione devono far fronte nel destinare una risorsa che oggi viene bistrattata come se fosse la sostanza ad essere colpevole di qualcosa e non alcuni soggetti della filiera che hanno infranto le regole di esercizio.
Subito da sfatare è la diffusa convinzione che il settore non abbia regole o che la matrice fanghi non sia sottoposta a precise disposizioni sulla tracciabilità. Semmai, le “troppe” disposizioni che vengono ad intersecarsi, emanate con una certa incompetenze tecnica del legislatore, nell’intento di una miglior regolamentazione del settore, ostacolano o impediscono il riuso di una materia prima con grandissime potenzialità economiche.
Si intende pertanto fare qualche accenno alla complessa disciplina dell’utilizzo dei fanghi da depurazione mediante impiego degli stessi in agricoltura essendo questo il settore in cui l’impiego è più concreto.
Nel ribadire la complessità della materia si accennerà solamente alla matrice fanghi e non anche agli ulteriori prodotti, quali correttivi, ammendanti, gessi di defecazione, ai concimi in generale, al digestato, al substrato di coltivazione, agli inibitori, ai biostimolanti, alle miscele di fertilizzanti, agli effluenti di allevamento, ai letami, alle biomasse vegetali, al forsu, al compost, agli ammendanti compostati misti, oltre naturalmente alla immensa platea dei concimi sintetici, che, in una più generica ed impropria definizione vengono, in modo non tecnico, definiti “concimi” solamente a causa del filo conduttore che, nell’immaginario collettivo, li riconduce al loro utilizzo in agricoltura.
Proprio per tentare di procedere con una sorta di ordine di classificazione normativa, occorre distinguere le singole matrici sopra richiamate precisando che dal punto di vista normativo si tratta di sostanze che poco o nulla hanno in comune.
A seguito del trattamento delle acque reflue (provenienti dagli scarichi fognari degli insediamenti civili o provenienti da insediamenti produttivi) si genera il c.d. fango di depurazione. Il trattamento, cioè il processo di depurazione mediante interventi depurativi meccanico-biologico-chimico, necessario per rendere le acque chiarificate compatibili con la loro reimmissione in natura senza creare significativi impatti negativi sull’equilibrio del corpo recettore (mare, fiume lago o terreno superficiale) è la base del processo di generazione.
Nel nostro Paese, le acque reflue urbane trattate, secondo UWWTD - Direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane - sono circa il 56% del totale delle acque “contaminate” . il dato fa subito emergere che una gran parte di abitanti delle aree del territorio non beneficia della possibilità di godere di sistemi di trattamento idonei. Il dato va però letto nel suo complesso tenendo conto che per quanto riguarda i sistemi di trattamento connessi al trattamento delle acque reflue industriali o per meglio dire legate al sistema produttivo, queste, almeno sulla carta, godono di una più ampia copertura essendo i sistemi di trattamento, o pre-trattamento, ormai una costante per la stragrande maggioranza delle imprese. Queste, poi, spesso secondo il parametro di Abitante equivalente, generalizzando il principio, a loro volta recapitano nel sistema fognario ordinario. Quindi il dato sulle acque c.d. urbane riferito agli abitanti fa emergere che per la metà della popolazione italiana non ci sono impianti di depurazione idonei al trattamento dei reflui.
Dai reflui trattati, secondo i vari sistemi di depurazione in uso, vengono generati, anche, fanghi di depurazione. Questi sono delle sospensioni costituite da una parte solida composta da sostanze inorganiche e, in via preponderante, sostanze organiche per lo più biodegradabili. I fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue si distinguono in fanghi primari, cioè quella parte che per sedimentazione si separa dal liquame grezzo senza particolari trattamenti, quali composti organici di facile degradazione: zuccheri, lipidi, cellulose, sabbia, ossidi metallici, gomma, fibre, ecc. i fanghi secondari, composti dalla parte meno sedimentabile, si compongono dopo che il liquame è stato sottoposto al ciclo biologico del processo depurativo. I due tipi di fanghi derivano da matrici diverse e ciò influenza i cicli di depurazione a cui devono essere sottoposti.
Anche la loro composizione è differente. Nei fanghi primari le concentrazioni di microinquinanti sarà maggiore rispetto ai secondari che solitamente sono più ricchi di nutrienti (fosforo e azoto totale) e pertanto risultano più idonei al loro utilizzo in agricoltura, rispetto ai primari che per composizione conservano un potere calorifico maggiore risultando idonei all’incenerimento. Al lato pratico, anche per la tipologia di trattamento adottato, spesso si ottengono fanghi misti, cioè derivati dall’insieme dei trattamenti. Oltre a quanto molto sinteticamente indicato, i fanghi subiscono poi ulteriori trattamenti per la loro stabilizzazione per poter essere gestiti nel ciclo di depurazione/allontanamento dall’impianto.
I fanghi sono rifiuti e rientrano nella disciplina del D.lgs 152/2006. Per inquadrare meglio la genesi del fango di depurazione può aiutare un esame della normativa applicabile.
La parte terza del TUA citato “Norme in materia di difesa del suolo e lotta alla desertificazione, di tutela delle acque dall'inquinamento e di gestione delle risorse idriche” al titolo IV: Strumenti di tutela, si richiama il testo dell’art. 127: Fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue : .. i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti, ove applicabile e alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell'impianto di depurazione. I fanghi devono essere riutilizzati ogni qualvolta il loro reimpiego risulti appropriato. Il TUA, richiamando la previgente normativa, inquadra il fango e, si noti, il suo impiego.
Ma come è noto i rifiuti possono essere trattati seguendo strade diverse – ossia essere gestiti secondo differenti modalità riconosciute dalla legge- e di conseguenza, devono essere considerate anche le disposizioni normative che regolamentano gli altri campi interessati dalla filiera a cui i rifiuti sono stati indirizzati. Per quanto riguarda i fanghi, a seconda del loro impiego, recupero, trattamento, smaltimento, incenerimento, occorrerà procedere di conseguenza.
Per esempio, per il recupero in agricoltura i fanghi devono essere conformi a quanto stabilito dal D.lgs 27 gennaio 1992, n. 99, “Attuazione della direttiva n. 86/278/CEE concernente la protezione dell'ambiente, in particolare del suolo, nell'utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura”.
La disposizione normativa, sebbene datata, continua a rimanere il riferimento per l’impiego dei fanghi in agricoltura. Finalità della norma è quello dell’impiego in agricoltura in modo da evitare effetti nocivi sul suolo, alla vegetazione, sugli animali e sull’uomo nel rispetto delle condizioni richieste quali: che i fanghi siano stati sottoposti a trattamento e che siano idonei a produrre un effetto concimante, ammendante o correttivo del terreno; non contengano sostanze tossiche o nocive o persistenti e che non determinino bioaccumuli in concentrazione dannosa per il terreno, pe le colture per gli animali per l’uomo e per l’ambiente in generale. Le concentrazioni di contaminanti dei suoli sui quali possono essere impiegati i fanghi non superino i parametri fissati dagli allegati al provvedimento normativo citato o che tali parametri non vengano ad essere superati proprio in ragione dell’impego del fango. Anche i quantitativi di fango impiegabili sui suoli in un dato periodo, fissato in un triennio e considerata la composizione del terreno e il tipo di coltivazione agricola, il quantitativo di fango potrà variare in aumento o diminuzione per il mantenimento dell’equilibrio del suolo.
Anche il processo che ha generato il fango può essere un elemento che ne condiziona le modalità e le quantità di utilizzo. Per esempio il fango proveniente dall’attività agro-alimentare potrà essere impiegato sul terreno fino al triplo dei valori ordinari ma pur sempre a condizione che i valori di inquinanti rimangano al di sotto di determinate soglie di accettabilità. Così i fanghi, previo specifiche analisi da effettuare prima della gestione, devono avere una composizione analitica che rientri nei limiti puntualmente dettati negli allegati alla norma, (cfr all. 1 b)
Così anche l’aspetto autorizzatorio trova una precisa regolamentazione nel decreto 99/1992 in questione. Coloro che intendono servirsi di fanghi di depurazione, in attività agricole, siano esse in conto proprio o per conto di terzi, devono essere autorizzati dalla P.A. Generalmente la Regione o la Provincia di riferimento, le quali potranno autorizzare la specifica la tipologia di fanghi da utilizzare, in considerazione delle colture destinate al ricevimento dei fanghi; le caratteristiche e l'ubicazione dell'impianto di stoccaggio dei fanghi; le caratteristiche dei mezzi impiegati per la distribuzione dei fanghi nonché la durata dell’autorizzazione che può estendersi fino a cinque anni. Per ogni spandimento di fanghi, almeno 10 giorni prima, il soggetto interessato dalla pratica dovrà notificare alle autorità – Regione, Provincia, Comune o Arpa, i dettagli dell’imminente utilizzo specificando la provenienza del fango, i dati analitici del materiale, aggiornate ad ogni eventuale cambiamento o trattamento intervenuto od ogni qualvolta vi siano modifiche di processo, e i dati analitici dei terreni, questi da ripetere ogni tre anni, oggetto di spandimento e le superfici interessate dall’intervento individuate catastalmente nonché le coltivazioni in atto o previste unitamente al consenso espresso del titolare del terreno oggetto di applicazione del fango oltre al titolo di effettiva disponibilità del terreno. Anche la raccolta, il trasporto i mezzi impiegati e la loro gestione, pulizia, impiego devono essere autorizzati e resi noti. L’impiego deve poi rispettare precise disposizioni nel rispetto delle buone pratiche agricole nonché le modalità di interramento per evitare compromissioni ambientali o odorigene con specifiche limitazioni legate all’andamento climatico del periodo. Anche i documenti di accompagnamento che riguardano il produttore, l’utilizzatore e il detentore, devono essere redatti secondo lo schema normativo al fine di assicurare la continua tracciabilità del rifiuto unitamente a specifiche registrazioni onde avere una raccolta da conservare di tutta la cronistoria del fango utilizzato per un efficace monitoraggio da parte degli organi di controllo nonché le opportune verifiche dal punto di vista agronomico mediante appositi registri di campagna che riportino le fasi di concimazione.Così anche gli aspetti sanzionatori sono definiti secondo specifiche fattispecie di eventuali irregolarità delle singole fasi di utilizzo. Oltre a dettagliate norme tecniche ricomprese nei sei allegati tecnici suddivisi per specifici argomenti che accompagnano il decreto 99/1992. In sintesi, i fanghi da depurazione soggiacciono ad una precisa normativa, sono sottoposti a precisi controlli analitici per verificarne l’utilizzabilità, sono sottoposti a regole di tracciabilità in tutte le fasi di gestione ed è previsto il monitoraggio anche dopo il loro impiego in agricoltura. Inoltre la materia, come già accennato, rientra nell’ulteriore compendio normativo che si occupa del corretto impiego dei fertilizzanti -seppure i fanghi siano rifiuti e non concimi, il loro utilizzo risente dei principi di cui alla c.d. Normativa nitrati. - Direttiva 91/676/CEE del Consiglio, del 12 dicembre 1991- e sue integrazioni, che di recente ha visto dal 16 luglio 2022 introdurre nuove condizioni armonizzate per la messa a disposizione di tutti i prodotti fertilizzanti sul mercato europeo o l’ancor più recente Decreto 21 marzo 2022, n. 21 a seguito della crisi ucraina che ha limitato l’approvvigionamento dei fertilizzanti. Il complesso delle norme consente alle Regioni di emanare provvedimenti, sotto forma di Leggi regionali, Regolamenti o atti di Giunta o Consiglio, - e su tutto il territorio nazionale vi è una regolamentazione regionale- in ordine alle modalità di “fertilizzazione” dei terreni di ogni singola porzione della regione. In tale contesto non si può dimenticare la normativa sui concimi contenuta nel D.lvo 29 Aprile 2010 n. 75 del Ministero dell’Agricoltura della Sovranità Alimentare e delle foreste, il quale riordina e revisiona la disciplina in materia di fertilizzanti e concimi CE, concimi nazionali, ammendanti, correttivi e prodotti correlati immessi sul mercato con le successive integrazioni sopravvenute. Pertanto in estrema sintesi il richiamo al quadro normativo applicabile, in modo diretto o indiretto, ai fanghi da depurazione deve portare alle valutazioni che appaiono d’obbligo su di una materia tanto vasta e per complessità da rendere l’impiego particolarmente problematico dal punto di vista della certezza del diritto da applicare.L’importanza della matrice fango da depurazione, le sue potenzialità in ambito di economia circolare e la contingente necessità di consentire ai gestori degli impianti di depurazione e tutte le imprese della filiera, di poter trarre beneficio dalla una gestione di un rifiuto, suggerisce una revisione normativa verso una reale semplificazione coordinata da tecnici esperti e senza che si ripeta la giungla di intreccio normativo che attualmente offusca l’orizzonte.
*Avvocati settore legale di Ambienterosa S.r.l.