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Ucciso a 15 anni, la mamma: «Per colpa del monopattino mio figlio ora è in una bara. Non compratelo ai ragazzi»

Verona, la mamma di Samuele Brognara: «Non era a casa e ho chiamato tutti gli ospedali per trovarlo. Lo aveva investito un infermiere come me»

Mirela Gomoi non si dà pace. La notte di Pasqua suo figlio Samuele Brognara, che domani 13 aprile avrebbe compiuto 16 anni, è morto investito da un’auto a bordo del suo monopattino, mentre andava da un amico nel vicino paese di Oppeano. In attesa dei funerali, che saranno celebrati venerdì 14 aprile alle 15.30 con rito evangelico nella chiesa di Palù, nella casa di via Griffe, tra i comuni di Zevio e Palù, si è aperto un vuoto che nessuno potrà mai più colmare. «Una tragedia incredibile, non so come farò ad andare avanti», ripete tra le lacrime questa signora venuta dalla Romania, di professione infermiera, che in questo angolo di Bassa Veronese ha messo su famiglia con il marito Corrado, di professione chimico. La coppia ha anche una figlia, Jessica, di 19 anni.

Come ha saputo quel che era successo a suo figlio?
«Sabato ero a lavorare in casa di riposo a Montebello, nel Vicentino, ma prima di uscire di casa, verso l’una, ho raccomandato per ben tre volte a Samuele di non andare ad Oppeano in monopattino. Me l’aveva promesso, ma poi mi ha mentito. Mi ero ripromessa di chiamarlo, ma ho avuto un’emergenza al lavoro e non sono riuscita. Finito il turno ero stanchissima, ho mangiato una pizza coi colleghi e sono rincasata verso mezzanotte. E lui non c’era».

Ha avuto il presentimento che fosse successo qualcosa?
«Si. Anche perché Samuele non rispondeva al telefono. Allora ho svegliato mio marito. Lui non voleva nemmeno chiamare i carabinieri, era convinto fosse da qualche amico. Ma Lorenzo, l’amico da cui stava andando ad Oppeano, lo stava ancora aspettando e lui non era mai arrivato. Ho chiamato anche mia figlia Jessica, che era a una festa di compleanno con il fidanzato. Dopo un po’ mi ha richiamato, dicendomi che qualche suo amico aveva visto il monopattino per strada. Ho chiamato tutti gli ospedali, ma nessuno mi voleva dire nulla, fino a che sono arrivati i carabinieri qui a casa».

Che ore erano?
«Le tre di notte, circa. Siamo andati a parlare in garage, un carabiniere, si chiamava Carlo - non me lo scorderò mai - mi ha preso per mano. Gli ho detto: “Ditemi che sta bene”. Ma lui mi ha fatto “no” con la testa. E io ho gridato “No, non c’è più”. E sono quasi svenuta sui sacchi di pellet che avevamo li ammucchiati per la stufa».

Cosa le hanno detto della dinamica dell’incidente?
«Non molto. Ci sono ancora accertamenti in corso. Il ragazzo che l’ha investito ha 23 anni, è un infermiere come me ma non ci conosciamo. C’è chi dice avesse il telefono in mano, o forse la musica alta. Chissà. Di certo non ha avuto il coraggio di chiamarmi e scusarsi: è una cosa che non riporterà indietro mio figlio, ma per una mamma è importante».

Com’era Samuele alla guida del monopattino?
«Estremamente prudente.Non andava mai a zig zag, sapeva quanto fosse pericoloso, anzi odiava quelli che lo facevano. Il mezzo era nuovo, con le luci sempre accese. E in quel tratto, comunque, la strada era abbastanza illuminata, com’è possibile non averlo visto? L’investitore non aveva bevuto, ma certamente era distratto».

Aveva paura delle strade di campagna nella zona in cui abita?
«Molta. Due anni fa avevo fatto anche una raccolta firme, perché ci dovrebbe essere il limite dei 50 e la gente sfreccia a 80 o più ma non era servito a nulla».

Anche la strada dalla vostra abitazione a Oppeano è però pericolosa e trafficata. Samuele la percorreva spesso in monopattino?
«Purtroppo sì, anche se glielo avevo proibito più volte. Su tante altre cose mi dava retta, ma su quel maledetto monopattino mi mentiva».

Com’era entrato quel monopattino in casa vostra?
«Era stato un regalo di mio marito a Samuele, per il suo ultimo compleanno. Io mi ero infuriata con lui, l’ho sempre considerato un mezzo pericolosissimo. Gli dicevo: “Mi hai portato la morte in casa”, “non lo voglio vedere”, “domani lo spezzo a metà”».

Suo marito si sentirà adesso molto in colpa per quel regalo.
«Dice a tutti che la colpa è sua, ripete “l’ho ammazzato io”. Gli stiamo vicino, non deve dire così”».

Sui social hanno scritto cose bruttissime contro di voi per aver regalato il monopattino a Samuele.
«Ne ho letto alcune. C’è chi scrive che dovremmo andare in prigione. Come si fa a pensare e soprattutto a scrivere certe cose contro dei genitori che hanno appena perso un figlio?».

Che tipo era Samuele?
«Frequentava l’istituto Giorgi per diventare meccanico. Era stato bocciato l’ultimo anno, ma adesso stava andando meglio, me l’aveva detto anche il preside. Ma la sua vera passione era il calcio: sognava di diventare un campione. Si era preso una pausa con la squadra, ma avrebbe ricominciato a settembre. Quanti vetri che mi ha rotto in corte a pallonate. Mi diceva: quando sarò grande te li ripago. Gli piaceva anche fare acrobazie in bicicletta, e poi è arrivato il monopattino».

Stava per compiere sedici anni.
«Mi aveva detto che quest’anno non voleva alcuna festa, solo un tiramisù. E purtroppo così è stato».

Si sente di dire qualcosa ai genitori che hanno figli dell’età di Samuele, che chiedono loro un monopattino in regalo?
«Sì. Non assecondateli. I monopattini sono pericolosissimi, gli devono proibire di usarlo. Prima ho visto un ragazzino per strada in monopattino, gli ho urlato di buttarlo via. Mi avrà preso per pazza, ma per colpa di un monopattino adesso io ho mio figlio in una bara».

 

da corriere.it


Il disperato grido di dolore di una mamma che ha perso un figlio in un incidente col monopattino. (ASAPS)

Venerdì, 14 Aprile 2023
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