Non è reato detenere il Khat in quanto non è accertata la sua natura di sostanza stupefacente. Lo ha stabilito la Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione annullando un provvedimento della Corte di Appello di Milano con il quale era stata respinta la domanda di equa riparazione per ingiusta detenzione presentata da un cittadino straniero condannato per detenzione illecita di "Khat", considerata "sostanza drogastica". La Suprema Corte ha chiarito in proposito che il riferimento fatto dal legislatore alla struttura chimica delle sostanze stupefacenti e pscicotrope ed agli effetti, diretti ed indiretti, che producono in danno di chi le assume è rilevante al fine della loro individuazione per la composizione delle tabelle ma per individuare le condotte penalmente rilevanti, in quanto nel nostro ordinamento in mancanza di una definizione farmacologia, la nozione di stupefacente non può che avere natura legale, nel senso che sono soggette alla normativa che ne vieta la circolazione tutte e soltanto le sostanze specificamente indicate negli elenchi appositamente predisposti. (02 febbraio 2006) Suprema Corte di Cassazione, Sezione Quarta Penale, sentenza n.20907/2005 (Presidente: C. G. Brusco; Relatore: C. Licari) Decidendo sulla domanda di riparazione per ingiusta detenzione presentato da H. O. A. al fine di ottenere un equo indennizzo per la detenzione sine titulo sofferta, a seguito di ordinanza di custodia cautelare contro di lei emessa in ordine al reato di detenzione illecita di sostanza drogastica, definita Khat, la Corte di appello di Milano, con ordinanza del 14/7/2004, decideva di respingerla. Nell’ordinanza, la Corte territoriale rilevava che il diritto all’equa riparazione non spettava alla istante, in quanto la medesima, pur essendo stata assolta con sentenza emessa il 23/6/2003 dalla Corte di Cassazione perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, aveva, comunque, contribuito a dare causa all’emissione del provvedimento restrittivo con il suo comportamento gravemente colposo, identificato nell’aver maliziosamente importato e detenuto una sostanza drogastica che, come il Khat, era considerata in Italia solo da alcuni organi giurisdizionali per ragioni squisitamente di diritto, peraltro opinabili e non coincidenti con il parere di alcuni esperti e di larga parte della giurisprudenza di merito, non possedere natura di sostanza stupefacente o psicotropa, come tale, soggetta alla vigente normativa in materia. Avverso tale ordinanza propone, ora, ricorso per cassazione, per mezzo del difensore, la H., deducendo violazione di legge, per la ragione che la sola citazione dell’opinione contraria alla irrilevanza penale della detenzione del Khat, patrocinata da una parte della giurisprudenza di merito, nella quale si è riconosciuta la Corte di appello di Milano, non costituirebbe argomento giuridicamente idoneo a configurare la colpa grave nella condotta della istante, in quanto nei confronti della medesima era stato riconosciuto, con sentenza irrevocabile resa nel corso del procedimento di cognizione dalla Corte di legittimità, che il fatto contestatole non è previsto dalla legge come reato. Tuttavia, il riferimento fatto dal legislatore alla struttura chimica delle stesse d agli effetti, diretti ed indiretti, che producono in danno dell’assuntore in caso di dosaggio drogante, se rileva al fine della loro individuazione per la composizione delle tabelle, non rileva invece al fine dell’individuazione delle condotte penalmente rilevanti ai sensi dell’art. 73del DPR 309/90 [1]. Nel nostro ordinamento, infatti, in mancanza di una definizione farmacologia, la nozione di stupefacente non può che avere natura legale, nel senso che sono soggette alla normativa che ne vieta la circolazione tutte e soltanto le sostanze specificamente indicate negli elenchi appositamente predisposti. Infatti, conformemente a quanto previsto nelle convenzioni internazionali introdotte nel nostro ordinamento, in Italia vige, ex art. 13 DPR 309/90, il sistema analitico- elencativi che consiste nell’individuazione delle sostanze, stupefacenti o psicotrope, in virtù del loro inserimento in tabelle emanate con decreto del Ministro della Sanità. L’art. 14 della predetta normativa identifica le sostanze, ai fini tabellari, con riferimento alla struttura chimica di esse ed agli effetti che ne possono conseguire, sia diretti, allucinogeni, induttivi di distorsioni sensoriali ecc., sia indiretti, idoneità a determinare dipendenza fisica e psichica nell’assuntore. Le tabelle attualmente in vigore, elencative delle sostanze stupefacenti o psicotrope, intendendosi per tali quelle di derivazione sintetica, sono di due tipi: quelle ricomprese sub I e III, che si riferiscono alle droghe pesanti idonee a produrre effetti sul sistema nervoso centrale di natura depressiva, eroina, morfina, codeina ecc., oppure eccitante, cocaina, anfetamine, e che hanno attitudine a determinare dipendenza fisica e/o psichica nell’assuntore; quelle previste sub II IV concernenti le droghe leggere, idonee a produrre effetti di natura allucinogena, come la cannabis indica ed i suoi derivati, hashish, marijuana, per le quali i pericoli i dipendenza fisica e/o psichica sono considerevolmente minori. Alla luce di tali considerazioni, il principio affermato dalla Corte di Cassazione con la citata sentenza di annullamento perché il fatto contestato alla H. non è previsto dalla legge come reato, trova giuridico fondamento proprio nella constatazione dell’inidoneità dell’azione, tratta dalla verifica che la sostanza, definita Khat, in quanto non indicata specificamente negli elenchi appositamente predisposti, non è soggetta alla vigente normativa sugli stupefacenti. Ne deriva che tale principio giuridico non è suscettibile delle contestazioni introdotte dal giudice della riparazione nel provvedimento impugnato al fine di surrettiziamente accreditare, mediante argomenti peraltro polemici e a contenuto essenzialmente valutativo nel merito, la ricorrenza di profili gravemente colposi nella condotta dell’istante per un fatto definitivamente riconosciuto, invece, irrilevante penalmente e, quindi, non altrimenti rimproverabile. L’ordinanza impugnata va, pertanto, annullata con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Milano, alla quale è demandato il compito di attenersi al principio sopra affermato, nonché quello di provvedere anche al regolamento delle spese tra le parti relative a questo grado di giudizio. P.Q.M. Annulla il provvedimento impugnato con rinvio alla Corte di appello di Milano, cui demanda anche il regolamento delle spese tra le parti in questo grado di giudizio. Roma, 18 apr. 2005. | |