di Stefano Vladovich In due anni hanno frodato il fisco per 14 milioni di euro su un totale di 110 milioni. Il sistema? Vecchio ma sempre efficace: creare una serie di società «di carta» con cui acquistare all’estero auto di lusso. Bmw, Mercedes, Porsche, Hummer. Da queste riacquistare le auto e poi rivenderle a privati, naturalmente senza pagare un soldo di tasse visto che l’Iva spetterebbe al primo acquirente, il tramite fra il venditore tedesco e l’autosalone finale. E che, naturalmente, scompare nel nulla, facendo guadagnare alla società «leader» il 40 per cento sul prezzo di listino (il 20 per cento d’Iva non pagato dalla società fallita e altrettanto recuperato dall’azienda madre).A capo delle concessionarie fantasma tossicodipendenti, pensionati e persino persone mai esistite. «Erano sul mercato in una posizione competitiva - spiegano il tenente colonnello Pierluigi Sozzo e il capitano Vincenzo Di Filippo, comandante del II Gruppo Roma e della compagnia Nettuno della Guardia di Finanza - sbaragliando la concorrenza». Dodici persone arrestate, due affiliati al clan Gallace-Novella, la terribile ’ndrina calabrese trapiantata da anni a Nettuno, più volte incriminata dalla Dda per traffico internazionale di stupefacenti. A firmare le ordinanze di arresto, chieste dal pm Giovan Battista Bertolini, il gip Aldo Morgigni. Le accuse? Associazione a delinquere finalizzata alla truffa, bancarotta fraudolenta, frode fiscale. In manette, fra gli altri, il vicedirettore di un istituto di credito di Nettuno, C.V. di 50 anni: il funzionario falsificava i documenti necessari per finanziare la maxi truffa. L’operazione «Hummer» nasce per la denuncia di una finanziaria che, dopo aver concesso il prestito per l’acquisto di un’auto, scopre che i documenti presentati sono contraffatti. Falsa la carta d’identità, falsissima la busta paga del cliente. Non ci vuole molto per scoprire che Sara Pandolfi non esiste. La donna non è il solo «fantasma» a girare sul litorale con un’auto di grossa cilindrata acquistata a prezzo stracciato e, soprattutto, con denaro ottenuto con l’inganno. L’inchiesta a questo punto s’incrocia pericolosamente con un’altra indagine avviata mesi prima su un imprenditore locale, Fernando Mancini, 34 anni, ideatore dell’affare carosello, il sistema di società fasulle. «È il personaggio più importante dell’associazione a delinquere - precisano i finanzieri - assieme a Marco Sterbini, 35 anni, gestore di società fittizie in Spagna e in Italia». I due sono implicati nelle maxi indagini ancora in piedi della Dda di Roma e di Catanzaro su un traffico di droga da capogiro: Appia Mythos e Appia II. Una connection di mala tra Nettuno e il paesino assai poco ridente di Guardavalle, terra natìa della famiglia Gallace. «Nel 2004 vengono arrestati assieme ai fratelli Gallace - sottolineano gli inquirenti -. Facevano parte della ’ndrina che dalla costa jonica si era impiantata sul mare di Roma per gestire l’importazione dalla Colombia di cocaina purissima». Vincenzo e Agazio Gallace, in particolare, sono tra i protagonisti della «faida di Guardavalle» che nel ’74 provoca la morte di 7 persone. Condannato a 20 anni di reclusione, alla fine dell’82 Vincenzo evade dal carcere di Civitavecchia. Non è da meno Agazio: arrestato per duplice omicidio, nel ’90 fugge dall’ospedale Eastman dov’era piantonato. Nel maggio dell’82 a Pomezia viene rapito l’industriale farmaceutico Maurizio Gellini di 41 anni. Gellini resta nelle mani dei sequestratori 200 giorni. Tra le menti dell’azione Agazio. Il carceriere è Giuseppe, 30 anni, alla macchia dall’81 e autore di altri due sequestri eccellenti: dell’imprenditore varesino Giorgio Bortolotto, 65 anni, liberato dopo il pagamento di due miliardi di lire, e di Vincenzo Granieri, 43 anni, rilasciato per un riscatto di 900 milioni di lire. |
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