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Articoli 09/02/2006

LA VENDITA DEI PRODOTTI RECANTI MARCHIO DI FABBRICA CONTRAFFATTO

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IL REATO DI CONTRAFFAZIONE

L’art. 474 del codice penale, come risaputo, punisce, a titolo di delitto, la detenzione di merci recanti marchi di fabbrica contraffatto e, come più volte stabilito dalla giurisprudenza, è volto a tutelare, non la libera determinazione dell’acquirente, ma la pubblica fede; questa intesa come affidamento dei consumatori nei marchi, quali segni distintivi della particolare qualità e originalità dei prodotti messi in circolazione; ne consegue che non può parlarsi di reato impossibile (art. 49 c.p.) per il solo fatto che la grossolanità della contraffazione sia riconoscibile dall’acquirente in ragione delle modalità della vendita (prezzo eccessivamente basso rispetto a quello dei prodotti originali, vendita effettuata in mercatini rionali o ambulanti), in quanto l’attitudine della falsificazione ad ingenerare confusione deve essere valutata non con riferimento al momento dell’acquisto, ma in relazione alla visione degli oggetti nella loro successiva utilizzazione (Cass. Pen., Sez. II, 2 ottobre 2001, n. 39863).
Peraltro, per quanto con riferimento ad espressione di una minoritaria giurisprudenza, chi scrive è portato a ritenere invece che non sussiste il reato di commercio di prodotti con segni contraffatti, nel caso di imitazione vile e grossolana di beni di lusso (nella specie borse elegantissime e famose), mancando del tutto la possibilità di confusione con il prodotto originale, cui i falsi, e per tipologia distributiva (commercio ambulante di extracomunitari) e per prezzo intrinseco, si pongono in un mercato completamente diverso (Trib. S. Remo, 1 ottobre 2001). Infatti, un marchio contraffatto può trarre in inganno un compratore, così da integrare, in caso di vendita della merce, il reato ex art. 474 c.p., solo se la provenienza prestigiosa del prodotto costituisce l’unico elemento qualificatore o comunque quello prevalente per determinare nell’acquirente di media esperienza la volontà di acquistare il prodotto stesso. Qualora viceversa altri elementi del prodotto, quali la evidente scarsità qualitativa del medesimo o il suo prezzo eccessivamente basso rispetto al prezzo comune di mercato, siano rivelatori agli occhi di un acquirente di media esperienza del fatto che il prodotto non può provenire dalla ditta di cui reca il marchio, la contraffazione di quest’ultimo cessa di rappresentare un fattore sviante della libera determinazione del compratore (Cass. Pen., Sez. V, 17 giugno 1999, n. 2119).
Insomma, lo abbiamo già detto, ad oggi è ben difficile che un acquirente di media esperienza non sappia che un prodotto che reca dei “marchi forti” ed è venduto a prezzi stracciati (si fa per dire), lungo le strade o lungo le spiagge, possa risultare un originale: dunque, si può ritenere che la fede pubblica, non è affatto minacciata e chi acquista, sa che cosa acquista. Peraltro, resta evidente che quel prodotto reca comunque un marchio di fabbrica contraffatto.
Non a caso - e forse questa è anche la chiave di lettura della recente legge sulla competitività (2) . - il legislatore prevede l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria esemplare per chi acquista simili prodotti, salvo che il fatto non costituisca reato.
Insomma, la riserva penale citata, evita così che possano essere colpite con sanzioni amministrative, fattispecie penali rilevanti.
Chiaramente, chiunque acquista una borsa taroccata da un “abusivo” che la pone in vendita sul selciato di una strada è ben consapevole che quel prodotto è un falso: quindi, quell’acquirente finale, sa altrettanto bene che con quell’acquisto
 contribuisce ad alimentare il mercato criminale, senza con ciò rendersi partecipe dell’attività illecita. Un comportamento riprovevole, questo, ch’è scoraggiato con una sanzione amministrativa esemplare. Resta evidente che quel bene è comunque il corpo del reato punito e previsto dall’art. 473 c.p. e come tale, oggetto di sequestro finalizzato alla confisca per la successiva distruzione.

IL REATO DI RICETTAZIONE

Diversamente, chi acquista quella medesima merce e lo fa con lo scopo di procurare a sé o ad altri un profitto - dunque la pone in vendita - commette il delitto previsto e punito dall’art. 648 c.p. ovvero ricettazione.
Anche in tal caso il corpo del reato è posto sotto sequestro nei termini anzidetti, ma per le modalità con cui è effettuata la vendita del prodotto stesso, non essendo minacciata la pubblica fede, non sono applicabili le pene previste per il reato di introduzione nello Stato e commercio di prodotti falsi, punito e previsto dall’art. 474 c.p.
Diversamente, laddove le modalità di vendita o di offerta in vendita del prodotto possono fare ritenere che tale prodotto sia provento di delitto, ma non anche un falso (si pensi alla ipotesi di vendita per catalogo), i due delitti concorrono, posto che le due fattispecie delineano condotte ontologicamente e strutturalmente diverse. Infatti, da un canto la soggettività si identifica, nel reato di cui all’art. 474 c.p, nella volontà di detenere opere o prodotti industriali con marchio contraffatto per metterli in circolazione, laddove nel reato di ricettazione l’elemento soggettivo attiene alla volontà di ricevere o detenere, al fine di profitto, cose provenienti da qualsiasi delitto. Inoltre, è diversa l’oggettività giuridica dei due delitti, rappresentata nel primo caso dalla tutela della fede pubblica e, nell’altro, del patrimonio; mentre distinti sono anche gli scopi, essendo l’art. 648 c.p. volto ad impedire la generica circolazione di cose provenienti da delitto e l’art. 474 c.p. ad offrire una protezione della pubblica fede commerciale. (Tribunale Milano, 18 dicembre 2003).
Ciò che più conta, nel delitto di contraffazione è previsto l’arresto facoltativo e nel caso in cui l’autore del delitto non sia identificabile o possa comunque darsi alla fuga od inquinare le prove, è possibile procedere al fermo di p.g.


CONCLUSIONI

Sarebbe eccessivo affermare che sto pensando quello che altri non ancora hanno pensato. Ma certamente, un problema reale e grave quale quello della vendita di prodotti falsi necessiterebbe di una risposta adeguata alla gravità del fenomeno, anche tenuto conto dei più gravi reati che sottende o nasconde, con evidente riferimento allo sfruttamento della condizione di clandestinità. Certamente le pene che a vario titolo possono colpire i c.d. “abusivi” hanno ben poca efficacia. I processi prevedono tempi eccessivamente lunghi, le espulsioni comportano un notevole dispendio di energia e di personale. Dunque, l’ipotesi più diretta e che colpisce coloro i quali alimentano questo mercato, è quella dell’applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria prevista dal c.d. decreto legge sulla competitività n. 35 del 2005, convertito nella coeva legge n. 80 (3).
 Probabilmente, se tale sanzione venisse applicata in modo sistematico, basterebbero ben pochi esempi per bloccare il fenomeno, almeno su grande scala. Certamente si formerebbe un mercato clandestino dell’abusivismo (mi si passi il termine). Ma in tal caso, l’acquirente finale porrebbe senz’altro in essere un’attività penalmente rilevante quale il favoreggiamento personale previsto e punito dall’art. 378 c.p.
Insomma, ancora una volta non sarebbe colpito il clandestino, quanto piuttosto colui che favorisce realmente la clandestinità rimanendo sistematicamente impunito.
In conclusione si tratta di fare una nuova scoperta: vedere tutto quello che gli altri vedono e pensare come gli altri non vogliono pensare
 Un vitamina C socio-economica che potrebbe far crescere meglio questo Paese.

 *Ufficiale della Polizia Municipale, tecnico del segnalamento attestato presso il Politecnico di Milano, iscritto all’albo dei docenti della Scuola di Polizia Locale dell’Emilia-Romagna e referente ASAPS per Forte dei Marmi.

La giurisprudenza citata è tratta dall’opera su CD Juris Data di Giuffré Editore, Milano.

(2) Non nego una mia iniziale aspra critica al decreto citato, con riferimento alla fattispecie dell’incauto acquisto di merci palesemente contraffatte (cfr. sezione articoli su ) . Del resto, continuano a restare ferme talune perplessità in ordine alla qualità del testo ed al suo rapporto con altre disposizione di legge, quali gli artt. 474, 517 e 648 c.p. Piuttosto, vorrei poter cogliere in questa occasione legislativa, uno dei pochi momenti normativi “forti”, comunque idonei a scoraggiare questo tipo di “mercato clandestino” (più che con riferimento ai beni commercializzati, con riferimento a chi pone in vendita detti beni). Ciò facendo, auspicherei anche una chiara presa di posizione ministeriale che possa concretamente aiutare le forze di polizia ad “osare”, muovendosi queste ultime su di un terreno assali paludoso ed impervio _ soprattutto per la polizia municipale _ nell’ambito del quale le singole sanzioni vanno a colpire la c.d. “gente per bene”.
Resto pur sempre dell’avviso, che a distanza di circa dieci anni dalla pubblicazione di quell’articolo che «…per la peculiare caratteristica sociale che fa capo alla polizia municipale, che l’organo di polizia locale dovrà astenersi _ a mio modo di vedere _ da qualsiasi intervento di polizia, nel senso più ristretto del termine ed invece conformarsi ad un comportamento profondamente rispettoso delle esigenze dell’individuo, posto che quest’ultimo continua a trovarsi oggi (N.d.A.) in un Paese ed una cultura straniera a quella di origine ed in condizione di disagio sociale…» (G. Fontana, Spunti di riflessione inerenti il soggiorno degli stranieri sul territorio italiano con particolare riferimento al commercio su spazi ed aree pubbliche ed agli illeciti penali ad esso correlati, Il Vigile Urbano, Maggioli Editore Rimini, 10/94, pag. 1148).
´3) L’art. 1, comma 7 del decreto citato prevede infatti quanto segue: Salvo che il fatto costituisca reato, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria fino a 10.000 euro l’acquisto o l’accettazione, senza averne prima accertata la legittima provenienza, a qualsiasi titolo di cose che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per l’entità del prezzo, inducano a ritenere che siano state violate le norme in materia di origine e provenienza dei prodotti ed in materia di proprietà intellettuale. La sanzione di cui al presente comma si applica anche a coloro che si adoperano per fare acquistare o ricevere a qualsiasi titolo alcuna delle cose suindicate, senza averne prima accertata la legittima provenienza. L’art. 517 c.p., come modificato dall’art. 1, comma 10 del decreto citato, prevede adesso quanto segue: (Vendita di prodotti industriali con segni mendaci). Chiunque pone in vendita o mette altrimenti in circolazione opere dell’ingegno o prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri, atti ad indurre in inganno il compratore sull’origine, provenienza o qualità dell’opera o del prodotto, è punito, se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a ventimila euro.
 


© asaps.it

Di Giovanni Fontana*

da "Il Centauro" n.100 novembre-dicembre 2005
Giovedì, 09 Febbraio 2006
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