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Corte di Cassazione 11/02/2006

Incidente stradale: elemento soggettivo nei reati di omessa assistenza e di fuga

Cassazione , sez. IV penale, sentenza 21.11.2005 n° 41661
La Corte di Cassazione (sez.IV) con la sentenza n. 41661 del 21 novembre 2005, ha ribadito che i delitti di omessa assistenza e di fuga in seguito ad un incidente stradale di cui all’art. 189 C.d.S., co. 6° e 7°, sono punibili solo a titolo di dolo, con la conseguenza che ogni componente del fatto tipico, e il consguente danno alle persone, deve essere conosciuta e voluta e che il fatto è penalmente irrilevante allorché sia effetto di negligenza, imperizia, inosservanza di norme o addirittura di mancata percezione o di mancata conoscenza della situazione di fatto che è alla base dell’obbligo stesso.
La Suprema Corte ha precisato che l’accertamento della sussistenza del dolo nelle due fattispecie di reato va compiuto in relazione al momento in cui il soggetto agente pone in essere la condotta e, quindi, alle circostanze concretamente rappresentate e percepite a quel momento, in sostanza il soggetto agente deve aver percepito non soltanto di avere causato un incidente, ma anche di avere arrecato danno alle persone.

Suprema Corte di Cassazione
Sezione IV Penale

Sentenza n. 41661 del 21 novembre 2005

Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 17 gennaio 2003 il Tribunale di Lecco dichiarava M.R. colpevole (fatti commessi in Imbersago il 9 aprile 2000) del delitto di cui all’articolo 590 c.p. in danno di G. P. (capo A), del delitto di cui al D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, articolo 189, comma 7, per non avere ottemperato all’obbligo di prestare assistenza a G. P., rimasto ferito in seguito all’incidente (capo C), del delitto di cui al D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, articolo 189, comma 6, per non avere ottemperato all’obbligo di fermarsi, dandosi alla fuga (capo B) e lo condannava, riconosciuta la continuazione tra i reati, considerata violazione più grave quella di cui al capo A), concesse le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla contestata circostanza aggravante, alla pena di mesi 1 di reclusione. Il Tribunale fondava l’affermazione di responsabilità in relazione al delitto di lesioni colpose sulle dichiarazioni della persona offesa dal reato e su quelle rese dal testimone oculare M.A.D.F. Quest’ultimo spiegava che stava procedendo, alla guida del proprio autoveicolo, nello stesso senso di marcia della moto del P. Riferiva, poi, che il motociclista, senza oltrepassare la linea di mezzeria, aveva iniziato il sorpasso della OPEL CORSA condotta dal R.. Nel frangente, però, questi "si era fermato improvvisamente e aveva sterzato a sinistra", senza azionare il relativo indicatore di direzione (ciò che, invece, il P. aveva fatto nel momento in cui aveva iniziato il sorpasso).

P. era così caduto a terra ed era stato immediatamente soccorso dagli occupanti dei veicoli che lo seguivano.

Osservava, pertanto, il Tribunale che R. non aveva rispettato le regole della circolazione stradale, in particolare quelle che prescrivono di non effettuare brusche frenate o rallentamenti improvvisi, di agevolare le manovre di sorpasso restando vicini al margine destro della carreggiata, di "segnalare spostamenti repentini" e di verificare, prima di ogni spostamento, che non siano in corso manovre di sorpasso da parte di altri veicoli.
In relazione ai delitti di omessa assistenza e di fuga, il Giudice di primo grado, basandosi sulle dichiarazioni dei testimoni i quali avevano affermato che R. "si era fermato più avanti per vedere cosa fosse successo e che, vedendo il ragazzo rialzarsi, aveva ripreso la marcia", riteneva provata la responsabilità dell’imputato, osservando che "l’obbligo di fermarsi imposto al conducente consiste non soltanto nel dovere di non allontanarsi dal luogo del fatto, ma altresì in quello di rimanergli vicino, non solo fisicamente, per prestare il primo soccorso ma anche per farsi identificare e per consentire lo svolgimento delle prime indagini". 2. Sull’impugnazione dell’imputato la Corte di Appello di Milano confermava la sentenza impugnata, aggiungendo che il testimone D.F. aveva, tra l’altro, dichiarato che la OPEL CORSA aveva urtato, con il parafango posteriore, il motociclista.

In ordine ai delitti di omessa assistenza e fuga, la Corte territoriale rilevava che il R., pur avendo constatato la caduta del motociclista, e pur essendosi verificato il fatto "di fianco a lui ed a causa del suo repentino spostamento", si era allontanato "travolto da una fretta domenicale colpevole" ed ancor più censurabile svolgendo il R. la professione medica.
La Corte distrettuale dava, comunque, atto delle dichiarazioni difformi rese da altri testimoni.
In particolare, E.C., amico del R., aveva dichiarato di avere notato sia che il motociclista, nel sorpasso, aveva oltrepassato la linea di mezzeria, sia che il R. aveva sterzato.
Nell’impossibilità di arrestarsi immediatamente e di parcheggiare, R. aveva proseguito la marcia, fermandosi poco più avanti e scendendo dalla propria autovettura; P., nel frattempo, aveva già rialzato la moto ed allora R. era ripartito.
Anche C.G. aveva affermato che il motociclista "aveva sbandato ed era caduto"; R. si era fermato poco più avanti edera sceso dall’auto. La testimone aveva dichiarato, inoltre, che dallo specchietto retrovisore aveva potuto vedere il motociclista rialzarsi ed andare via.

P.B., che si trovava a bordo dell’autovettura dell’imputato, affermava di non avere visto il motociclista e di non avere percepito l’urto; dichiarava, inoltre, di essere scesa dall’auto insieme al R. e di avere visto il motociclista rialzarsi. Si erano, poi, allontanati. S.M., perito della compagnia con la quale era assicurato il R., dichiarava che la moto del P. presentava danni sull’intera fiancata destra, determinati dallo sfregamento contro il manto stradale; nessun danno presentava invece l’autovettura del R.. Aggiungeva che P. gli aveva detto che gli sarebbe stato riconoscente in caso di "congrua" valutazione dei danni.
L’imputato, a sua volta, affermava di non aver tentato alcun sorpasso, di non aver urtato il motociclista, di averlo visto solo quando già aveva rialzato la moto e di avere, poi, avuto con lui una conversazione telefonica in occasione della quale P. gli aveva chiesto denaro, avvertendolo che altrimenti lo avrebbe denunziato.

3. Avverso l’anzidetta sentenza ricorre per cassazione il difensore dell’imputato, chiedendone l’annullamento e deducendo la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione, nonché l’inosservanza o l’erronea applicazione del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, articolo 192, c.p.p. e dell’articolo 189 c.p..

3.1 Con il primo motivo il ricorrente rileva che l’impugnata sentenza è fondata su un fatto non accertato.
La Corte afferma, invero, che il testimone D.F. avrebbe dichiarato di aver visto che la autovettura urtò il motociclista.
Osserva, invece, il ricorrente che il testimone D.F. non aveva mai reso detta dichiarazione, avendo, per contro, affermato di non essere certo che la collisione si fosse verificata e di avere soltanto visto che il motociclista era caduto a terra.

3.2 Carente di motivazione sarebbe, di riflesso, la sentenza nella parte in cui reputa attendibile il testimone D.F. e non gli altri testimoni sentiti, segnatamente C. e la C. Anche i testimoni "della difesa", al pari del D.F., avevano, invero, affermato di non avere notato la collisione.
I due, inoltre, avevano affermato di essersi fermati, non appena possibile, a verificare l’accaduto e di avere visto il R. fermarsi poco prima di loro per assicurarsi che il motociclista caduto non necessitasse di cure.
Detta affermazione coincideva con le dichiarazioni del P. che aveva notato che "alcune macchine che lo seguivano si erano fermate per verificare l’accaduto".

3.3. La Corte di merito avrebbe, inoltre, erroneamente valutato la testimonianza della persona offesa.

La valutazione delle dichiarazioni della persona offesa - rileva il ricorrente - deve rispondere a criteri di particolare rigorosità nella ricerca positiva della sua attendibilità, a maggior ragione quando il contenuto delle dichiarazioni sia contrastato da altri elementi probatori.
La testimonianza del P. - sostiene il ricorrente - non è attendibile perché priva di riscontri "esterni".
Essa è, anzi, "contrastata" da dichiarazioni testimoniali difformi ma la Corte ha omesso di procedere al raffronto tra le dichiarazioni rese dal P. e le altre risultanze istruttorie.

3.4 In ordine ai delitti di omessa assistenza e di fuga, osserva il ricorrente che la Corte di merito ha omesso di considerare che il D.Lgs. n. 289 del 1992, articolo 189, si riferisce a sinistri "con danno alle persone", elemento che integra il fatto tipico e deve, pertanto, costituire oggetto di dolo.
Dall’istruttoria dibattimentale è emerso, per contro, che l’imputato si era fermato non appena il traffico glielo aveva consentito ed aveva potuto vedere che il motociclista si era immediatamente rialzato, aveva rassicurato le persone vicine a lui e, dopo avere sollevato la pesante moto, era immediatamente ripartito.
Legittimamente, pertanto, R. aveva escluso che il P. potesse avere riportato lesioni fisiche.
Aggiunge il ricorrente che, in ogni caso, erano immediatamente intervenute le persone al P. più vicine e non appariva,dunque, né utile né necessaria l’assistenza del R.. Dall’istruttoria dibattimentale era, invero, risultato che gli automobilisti fermatisi prima di lui avevano ricevuto assicurazioni dal P. sullo stato di salute del medesimo.

Motivi della decisione

4. Le censure rivolte all’affermazione di responsabilità per il delitto di lesioni colpose, enunciate nei primi tre motivi del ricorso, sono destituite di fondamento.
L’affermazione di responsabilità è, invero, essenzialmente fondata, come si evince anche dalla sentenza di primo grado, sulla colposa condotta di guida del R., che ha effettuato un improvviso ed ingiustificato rallentamento, contemporaneamente spostandosi sulla sua sinistra, senza azionare il relativo indicatore luminoso e senza accertarsi se sopraggiungessero veicoli in fase di sorpasso.
Irrilevante è, pertanto, chiedersi se il testimone D.F. abbia effettivamente dichiarato, nel corso del dibattimento, di avere visto l’autovettura del R. urtare il ginocchio del P., apparendo adeguatamente provato che la caduta del P. è stata comunque provocata dall’improvvisa manovra posta in essere dal R.. Le considerazioni svolte dal ricorrente in ordine all’asserita inattendibilità del P. e del D.F. ovvero in ordine alla maggiore attendibilità dei testimoni C., G. e B. si traducono, in sostanza, in un tentativo di accreditare una diversa verità processuale, quando, a ben vedere, anche i testimoni invocati dalla difesa non hanno escluso la manovra "incriminata".
Una diversa ricostruzione non può essere delibata in sede di legittimità allorquando, come nel caso in esame, la sentenza impugnata ha una propria coerenza argomentativa, è priva di contraddizioni o salti logici, ed è ancorata, nel rispetto delle regole e delle massime di comune esperienza, alle risultanze del complessivo quadro probatorio.
Esula, invero, dai poteri di questa Corte la rilettura della ricostruzione storica dei fatti posti a fondamento della decisione di merito, dovendo, tra l’altro, l’illogicità del discorso giustificativo, quale vizio di legittimità denunciabile mediante ricorso per cassazione, essere di macroscopica evidenza (cfr. Cass. S.U., 24 dicembre 1999, S.; Cass. S.U., 30 aprile 1997, D.).

5. Fondato è, invece, l’ultimo motivo del ricorso.

Come si è detto, risulta dalla sentenza impugnata che R., dopo la caduta del P., si era, poco più avanti, fermato; aveva, pertanto, potuto constatare che P. si era immediatamente rialzato, aveva sollevato la propria moto ed era ripartito. Dette circostanze non sono state tenute in alcuna considerazione dalla Corte distrettuale che, di riflesso, non ha offerto adeguata motivazione in ordine alla sussistenza del dolo dei delitti di omessa assistenza e di fuga (erroneamente indicati, nella motivazione della sentenza, come contravvenzioni).
I delitti anzidetti sono punibili solo a titolo di dolo, con la conseguenza che ogni componente del fatto tipico, segnatamente il danno alle persone, deve essere conosciuta e voluta e che il fatto è penalmente irrilevante allorché sia effetto di negligenza, imperizia, inosservanza di norme o addirittura di mancata percezione o di mancata conoscenza della situazione di fatto che è alla base dell’obbligo stesso (cfr. Cass. IV, 30 gennaio 2001, W., RV 219837).
A questo si aggiunga che l’accertamento della sussistenza del dolo va compiuto in relazione al momento in cui il soggetto agente pone in essere la condotta e, quindi, alle circostanze concretamente rappresentate e percepite a quel momento, che siano univocamente indicative non soltanto di avere causato un incidente, ma anche di avere arrecato danno alle persone (cfr. Cass. IV, 12 novembre 2002, M., RV 223500).

6. L’impugnata sentenza va, pertanto, annullata limitatamente ai reati di cui all’articolo 189, sesto e settimo comma, del codice della strada, con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Milano.

P.Q.M.

annulla l’impugnata sentenza limitatamente ai reati di cui all’articolo 189, sesto e settimo comma, del codice stradale e rinvia ad altra sezione della Corte di Appello di Milano. Rigetta nel resto il ricorso

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Sabato, 11 Febbraio 2006
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