Due sono
state le battaglie sicuramente perse nel nostro Paese nell’ambito della
guerra che si combatte sulla strada per una maggiore sicurezza. Una è
quella ormai ultradecennale sull’uso delle cinture di sicurezza. Rimaniamo
ultimi in Europa con una percentuale di utilizzo che va dal 20 al 40% a
seconda delle regioni per le cinture anteriori, e rimaniamo inchiodati a
zero virgola, per le posteriori. L’altra battaglia che si segnala per gli
scarsi risultati è certamente quella dell’educazione stradale. Tutti, a
parole, la invocano, il legislatore le ha dedicato addirittura il titolo
dell’articolo 230 del CdS:
"Educazione
Stradale 1. Allo scopo di promuovere la formazione dei giovani in materia
di comportamento stradale e di sicurezza del traffico e della circolazione,
nonché per promuovere ed incentivare l’uso della bicicletta come
mezzo di trasporto, i Ministri dei lavori pubblici e della pubblica istruzione,
d’intesa con i Ministri dell’interno, dei trasporti e della navigazione
e dell’ambiente, avvalendosi dell’Automobile Club d’Italia, delle associazioni
ambientaliste riconosciute dal Ministero dell’ambiente e della tutela
del territorio ai sensi dell’articolo 13 della legge luglio 1986, n. 349,
di società sportive ciclistiche nonché di enti e associazioni
di comprovata esperienza nel settore della prevenzione e della sicurezza
stradale e della promozione ciclistica individuati con decreto del Ministro
delle infrastrutture e dei trasporti, predispongono appositi programmi,
corredati dal relativo piano finanziario, da svolgere come attività
obbligatoria nelle scuole di ogni ordine e grado, ivi compresi gli istituti
di istruzione artistica e le scuole materne, che concernano la conoscenza
dei principi della sicurezza stradale, nonché delle strade, della
relativa segnaletica, delle norme generali per la condotta dei veicoli,
con particolare riferimento all’uso della bicicletta, e delle regole di
comportamento degli utenti".
L’art.
230 prosegue poi dicendo al comma 2:
2. Il ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca,
con propria ordinanza, disciplina le modalità di svolgimento dei
predetti programmi nelle scuole, anche con l’ausilio degli appartenenti
ai corpi di polizia municipale, nonché di personale esperto appartenente
alle predette istituzioni pubbliche e private, l’ordinanza può
prevedere l’istituzione di appositi corsi per i docenti che collaborano
all’attuazione dei programmi stessi
Con
D.M. 10/12/1993 n. 651 sono stati fissati i criteri per l’individuazione
degli enti e associazioni di comprovata esperienza nel settore della previdenza
e sicurezza stradale, di cui sono entrati a far parte sia l’ASAPS che
Sicurstrada e ANVU. #9; Il Ministro della Pubblica Istruzione dell’epoca
con D.M. 5/8/1994 (G.U. n. 193 del 19/8/1994) ha determinato i programmi
di educazione stradale da attuarsi a partire dall’anno scolastico 1994-1995,
nelle scuole di ogni ordine e grado. C’è la legge, c’è il
D.M. che individua gli enti e associazioni di provata esperienza, c’è
il D.M. che determina i programmi. Ma dov’è l’educazione stradale
nelle scuole? Si fa in modo organico e convinto ovunque? Assolutamente
no. Si realizzano delle isole educative solo dove prevale la buona volontà
di qualche gruppo di insegnanti (magari toccati in famiglia o fra gli
amici dal problema) supportati da alcuni Comandi delle Polizie Municipali.
Ora è assolutamente impensabile che le sole Polizie Municipali
possano mettersi addosso il peso e la responsabilità di organizzare
e gestire corsi completi di educazione stradale in centinaia di migliaia
di scuole. Vanno organizzati corsi di alcune decine di ore all’anno nell’ambito
della stessa scuola e fra le materie curricolari. Anche per l’anno scolastico
2002/2003, si è parlato di sperimentazioni, di abbassamento dell’età
degli scolari, ma qualcuno sa che siano stati formati gli insegnanti per
cicli adeguati di educazione stradale, qualcuno sa che gli insegnanti
abbiano ricevuto testi o materiale didattico completo di supporti audiovisivi,
se non da qualche volenterosa e privata associazione? Perché non
si realizza concretamente l’educazione stradale? E’ venuta forse meno
in questi anni l’esigenza? Eppure si contano ancora quasi 7.000 morti
e 300.000 feriti sulle strade. Sotto i 24 anni la strada rimane la prima
causa di morte. Oltre la metà delle vittime ha meno di 40 anni.
Fra i ciclomotoristi si continuano a contare oltre 500 morti l’anno, quasi
400 fra i ciclisti, 850 fra i pedoni. Tanti giovani Se avessimo attivato
con più convinzione già 10 anni fa l’educazione stradale
nelle scuole probabilmente oggi cominceremmo a vederne qualche frutto
più maturo. L’Ue ci chiede interventi decisi per ridurre del 50%
la sinistrosità entro il 2010, servono scelte politiche forti,
(che non possono essere i previsti 150 Km/h in autostrada) interventi
legislativi adeguati, piena convinzione della necessità di invertire
una situazione tendenzialmente negativa. Un passo deciso è stato
fatto con la legge del 2000 sul casco obbligatorio per tutti i ciclomotoristi.
Dall’entrata in vigore della legge la mortalità è molto
diminuita, si pensi che i morti sul posto fra i ciclomotoristi e i motociclisti,
secondo i dati raccolti dalla Società Italiana di Traumatologia
della strada (SOCITRAS), sono passati dal 9,4% del 1999 al 7,2% del 2001,
con una diminuzione di oltre il 20%. I traumi cranici a loro volta sono
passati dal 53% del 1999 (pre casco) al 38% del 2001. Purtroppo questo
successo è stato accompagnato da un sensibile aumento dei feriti
in particolare quelli che riportano fratture vertebrali, passati dal 22%
del 1999 al 27% del 2002. Fra questi ultimi il 56% raggiunge una guarigione
completa, mentre ben il 44% è colpito da paraplegia o tetraplegia.
Si lasciano immaginare i costi umani e anche economici di una situazione
di questo tipo. In pratica assistiamo ad una strana situazione nella quale
contiamo fra i giovani sì meno morti, grazie alla protezione del
casco, ma aumentano sensibilmente i ragazzi che finiscono, a causa delle
lesioni alla colonna vertebrale, su una sedia a rotelle. Così,
come qualcuno ha sottolineato, grazie all’uso del casco che salva la vita,
ci troviamo di fronte un numero sempre crescente di "incidentati
a vita". Ciò per il fatto che l’atteggiamento di fondo fatto
di velocità, imprudenza e sfida non è cambiato. Da questo
punto di vista per altro il nostro sistema sanitario sta entrando in crisi
perché non riesce più a rispondere adeguatamente, specialmente
al sud, alle esigenze di cure, lunghe nel tempo, dei mielolesi, cioè
coloro che riportano lesioni permanenti al midollo spinale. Ecco allora
l’altra previsione già sancita dall’art. 6 del D.L. 15 febbraio
2002 n. 9 che inserisce il comma 1 Bis all’art. 116 del C.d.S., la cui
probabile entrata in vigore dovrebbe rimanere fissata al 1° gennaio
2004, con inizio dell’attività di insegnamento dall’anno scolastico
2004-2005:
"1-bis. Per guidare un ciclomotore il minore di età che abbia
compiuto 14 anni deve conseguire il certificato di idoneità alla
guida, rilasciato dal competente ufficio del Dipartimento per i trasporti
terrestri, a seguito di specifico corso con prova finale, organizzato
secondo le modalità di cui al comma 11-bis.";
Il comma 11-bis dell’art. 116 dice che:
"11-bis. Gli aspiranti al conseguimento del certificato di cui al
comma 1-bis possono frequentare appositi corsi organizzati dalle autoscuole.
In tal caso, il rilascio del certificato è subordinato ad un esame
finale svolto da un funzionario esaminatore del Dipartimento per i trasporti
terrestri. I giovani che frequentano istituzioni statali e non statali
di istruzione secondaria possono partecipare ai corsi organizzati gratuitamente
all’interno della scuola, nell’ambito dell’autonomia scolastica. Ai fini
dell’organizzazione dei corsi, le istituzioni scolastiche possono stipulare,
anche sulla base di intese sottoscritte dalle province e dai competenti
uffici del Dipartimento per i trasporti terrestri, apposite convenzioni
a titolo gratuito con comuni, autoscuole, istituzioni ed associazioni
pubbliche e private impegnate in attività collegate alla circolazione
stradale. I corsi sono tenuti prevalentemente da personale insegnante
delle autoscuole. La prova finale dei corsi organizzati in ambito scolastico
è espletata da un funzionario esaminatore del Dipartimento per
i trasporti terrestri e dall’operatore responsabile della gestione dei
corsi. Ai fini della copertura dei costi di organizzazione dei corsi tenuti
presso le istituzioni scolastiche, al Ministero dell’istruzione, dell’università
e della ricerca sono assegnati i proventi delle sanzioni amministrative
pecuniarie nella misura prevista dall’articolo 208, comma 2, lettera c).
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentito il Ministro
dell’istruzione, dell’università e della ricerca, stabilisce, con
proprio decreto, da adottarsi entro novanta giorni dalla data di entrata
in vigore del presente decreto, le direttive, le modalità, i programmi
dei corsi e delle relative prove, sulla base della normativa comunitaria".
Alla luce di quanto afferma il nuovo articolo 11 Bis, è facile
intuire quanto dovrebbe essere rilevante il ruolo della scuola secondaria
per il conseguimento del "patentino" per ciclomotoristi. Riteniamo
però che sarà arduo calare questa nuova realtà formativa
nel mondo di una scuola che sino ad oggi ha già faticato a realizzare
quelle elementari forme di educazione stradale previste da leggi e decreti
vigenti. Vogliamo far osservare che l’articolo 11 Bis fa riferimento a
corsi organizzati all’interno della scuola gratuitamente pur con le difficoltà
sulle necessarie prove pratiche che solo le autoscuole possono garantire.
L’altra alternativa è quella di frequentare appositi corsi organizzati
dalle autoscuole. In questo caso il termine gratuitamente non appare.
Non vorremmo che questo aspetto abbia un suo peso che può aver
stimolato logici appetiti, con costi economici che le famiglie scopriranno
solo dal 1° gennaio 2004. Quelli umani li conoscono già.
da
"Il Resto del Carlino" del 4 gennaio 2003
Più
casco, meno morti sulle strade
BOLOGNA
- L’occasione viene da un riconoscimento prestigioso. L’Oms, l’organizzazione
mondiale della sanità, ha rinnovato per quattro anni la collaborazione
con l’unità operativa di neurochirurgia per la traumatologia dell’ospedale
Bufalini di Cesena, diretta dal dottor Franco Servadei. La nomina è
avvenuta sulla base del lavoro svolto dall’unità di Servadei nel
campo della epidemiologia e della prevenzione del trauma cranico, come,
ad esempio, lo studio sugli effetti dell’uso obbligatorio del casco per
i motociclisti. #9; "Gli ultimi dati a nostra disposizione -
ha precisato Servadei - dimostrano che l’introduzione della legge
sul casco obbligatorio ha ridotto in misura significativa i decessi per
trauma cranico. Dalle prime indagini si può stimare una riduzione
della mortalità per traumi del venti per cento circa".
Giriamo il dato a Giordano Biserni, presidente dell’Asaps, (associazione
sostenitori e amici della polizia stradale) e direttore della rivista
Il Centauro.
Biserni, finalmente una buona notizia.
"Sì, anche se avevamo già avuto segnali importanti
dal fatto che erano calati i donatori per i trapianti."
Tra i donatori i motociclisti erano più numerosi?
"Bisogna considerare che, in caso di incidente, chi viaggia su due
ruote ha una probabilità di morte più alta di 17 volte rispetto
a un automobilista."
Quindi meno donatori uguale meno motociclisti deceduti.
"E’ un po’ brutale ma corrisponde alla realtà."
Però le cose migliorano.
"Ma ci sono anche dati in controtendenza. Forse l’uso del casco ha
innescato una certa disinvoltura dei motociclisti. I traumi vertebrali
e spinali, che nel 1999 erano il 22 per cento, nel 2002 sono arrivati
al 27 per cento".
Per quanto grave, un trauma è sempre meglio di un decesso.
"Senza dubbio. Ma la tendenza dovrebbe essere quella di evitare conseguenze
pesantissime per la salute dei cittadini. Comunque, il problema è
un altro".
Quale?
"Che questa proiezione del calo dei morti tra i motociclisti dovremmo
riuscire a trasferirla a tutte le vittime di incidenti stradali in Italia.
Perché in Emilia Romagna, patria della moto, il calo dei decessi
tra i dueruotisti incide moltissimo sul numero complessivo. Ma nel resto
del paese no. Se riuscissimo a estendere a tutti il beneficio, risparmieremmo
1500, 1600 vite ogni anno".
E come si arriva a un risultato del genere?
"Intanto
bisognerebbe innalzare il numero di chi usa le cinture di sicurezza al
95 per cento degli utenti, come negli altri paesi europei. Poi migliorare
l’educazione stradale e prevedere una sorta di formazione continua dei
patentati, giovani o anziani che siano. Infine, intensificare i controlli".
Lei sogna un paese di automobilisti virtuosi.
"No,
spero che la cifra sul calo delle vittime si estenda a ogni tipo di incidente
stradale".
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