Già in passato ci siamo trovati
a doverci occupare dei comportamenti aggressivi alla guida (Albanese, 2005), dato
che questo fenomeno sta progressivamente diventando sempre più comune. A
livello più macroscopico, dal canto suo la Psicologia del Traffico si è
simbolicamente presa l’impegno di individuare quali siano i fattori implicati in
questo tipo di comportamenti da parte di alcuni utenti della strada. Gli studi
più recenti si sono occupati di indagare gli atteggiamenti individuali (Parker
et al., 1998), i fattori di personalità (Underwood, Chapman, Wright e Crundall,
1999), e le condizioni del traffico, in particolare il caso dell’ingorgo (Shinar,
1998).
Pertanto, il focus di questi lavori ha
interessato tanto le differenze individuali tra comportamenti aggressivi e non,
quanto variabili di tipo situazionale, come appunto le condizioni del traffico.
Una delle più recenti formulazioni teoriche sul perché dell’aggressività alla
guida riguarda infatti le condizioni del traffico (Shinar, 1998), la
particolare condizione di congestione, di ingorgo. Le considerazioni su cui si
fonda questa ipotesi, fanno riferimento alla classica formulazione circa
aggressività e frustrazione da Dollard, Doob, Mowrer, Miller e Sears nel 1939. Gli
assunti di questa teoria sono due: innanzitutto, la frustrazione, intesa come l’inibizione
non voluta di un comportamento diretto a una meta, conduce sempre all’aggressività;
secondariamente, l’aggressività deriva sempre dalla frustrazione. Nello
scenariotraffico, l’ipotesi aggressività/frustrazione sposta inevitabilmente l’attenzione
dal guidatore a quei fattori collegati alle condizioni del traffico che gli
impediscono di raggiungere il suo obiettivo (mobilità e/o piacere). In accordo
con l’ipotesi dell’aggressività/ frustrazione, Shinar (1998) ha proposto che la
causa principale dell’aumento dell’aggressività al volante sia l’incremento della
congestione del traffico, in quanto questa innalza il livello “sociale” di
frustrazione e, di conseguenza, l’aggressività alla guida. In questo modo, la
frustrazione causata dagli ingorghi provoca il superamento della soglia di
comportamento aggressivo manifesto di un numero di persone sempre maggiore, determinando
un aumento di comportamenti aggressivi al volante. Questa ipotesi suggerisce
che la frequente guida in condizioni di frustrazione (ad esempio nel traffico
cittadino) sia fortemente correlata ai comportamenti aggressivi alla guida.
Pertanto, i conducenti esposti frequentemente a densità di traffico elevate possono
fare ricorso a comportamenti aggressivi durante la guida più frequentemente di
quelli che vi risultano esposti in sposti in misura decisamente inferiore. In
un recente studio (Lajunen, Parker e Sommala, 1999) è stato indagato se i
comportamenti aggressivi fossero maggiormente collegati alla guida durante le
ore di punta nel traffico cittadino o alla guida in orari ed in luoghi in cui
il traffico è scarso. In realtà, da questo studio non sono emerse correlazioni
significative tra intensità del traffico e comportamenti aggressivi, il che sembra
andare contro l’ipotesi di Shinar di cui abbiamo fatto cenno.
Questi risultati non ci devono però scoraggiare, per un semplice motivo: benché
il trovare la causa di un fenomeno possa darci una qualche forma di sicurezza,
in questo caso non è forse la consapevolezza a poter “guarire la malattia”, la cura
all’aggressività che scalpita dentro di noi, imprigionati in una colonna di
lamiere coi pneumatici, non è certo il sapere che questa dipende dalla
frustrazione. E, in ultima istanza, non è sicuramente solo la frustrazione dell’ingorgo
che ci può rendere aggressivi. Possiamo portare con noi il peso di mille altre
frustrazioni che niente hanno a che vedere con la condizione di guida: una
situazione familiare o lavorativa che non ci soddisfa, ambizioni irrealizzate
perché irrealizzabili, la proiezione di noi stessi in un futuro oggettivamente
non troppo futuribile. Ed ecco che ci sediamo al volante col “vaso pieno” ed il
traffico cittadino rappresenta la classica goccia che lo fa traboccare. Non
dimentichiamo infine la funzione di protezione che esercita nei confronti del
guidatore l’autovettura, prolungamento della propria personalità,
esteriorizzazione di se stesso ed allo stesso tempo robusta armatura di
protezione, rifugio, garitta, carro armato dal quale fare la propria personale
guerra al mondo in condizione di sicurezza. Non possiamo dire dunque con
certezza che il traffico cittadino sia la causa dell’aggressività alla guida, perché
almeno uno studio scientifico disconferma questa ipotesi, ma ciò non vuol dire
che almeno non vi contribuisca. Qualsiasi limitazione, e soprattutto quella
della mobilità, è fonte di frustrazione, perché l’uomo, come qualsiasi altro
animale, non è fatto per stare in gabbia, e la tendenza naturale del prigioniero
è quella di aggredire il proprio aguzzino appena possibile, per riconquistare
la propria libertà. È chiaro, questa è una metafora, ma nella sua essenza è
forse possibile ritrovare quantomeno l’origine della smania che ci assale
quando siamo incolonnati nel traffico, contro la nostra volontà. Secondo Noam
Chomsky, nella società di oggi si è perso la percezione di essere schiavi.
Questa è forse l’unica situazione in cui ce ne rendiamo conto.
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Dottore in Psicologia, operatore di Polizia Stradale
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