(ASAPS) CANTAGALLO (BOLOGNA) – Prima la cronaca, poi le
considerazioni: alle 6 e mezzo del mattino, il Centro Operativo Autostradale di
Bologna invia tutte le pattuglie disponibili a Cantagallo, l’area di servizio
tra Casalecchio di Reno e Sasso Marconi, all’inizio del tratto appenninico
della A1, sotto l’occhio vigile di San Luca. Un uomo si è barricato all’interno
dell’autogrill simbolo di quel tratto di autostrada e minaccia di farsi
esplodere con una cintura esplosiva. Non siamo in Israele e nemmeno a Baghdad:
ma l’effetto Grande Fratello della tv comincia a farsi sentire e l’idea che un
kamikaze possa immolarsi anche a casa nostra, non è poi così lontana.
L’autostrada del Sole viene chiusa e l’intero esercizio commerciale viene
evacuato e circondato. Non ci sono richieste, ma solo farneticazioni di quel
disperato, che grida “o mi ammazzate o mi faccio saltare”. Il primo negoziatore
è della Polizia Stradale, che poi deve passare il testimone agli specialisti
della trattativa, condotta dal dirigente della Digos e da quello della Squadra
Mobile. Si fingono cronisti e lo convincono ad arrendersi: sotto il giubbotto
solo un cuscino e quel filo elettrico che poteva alimentare il detonatore, solo
il cavetto del caricabatteria del cellulare. Gli avevano portato anche delle
sigarette, che alla fine rimborsa con 4 euro. Dopo un’ora tutto torna alla
normalità, ma resta l’interrogativo sui motivi che hanno spinto il finto
kamikaze a rischiare di farsi ammazzare sul serio: infatti tra le ipotesi
investigative c’è anche quella di un suicidio premeditato, secondo una modalità
che negli Stati Uniti è purtroppo molto diffusa e conosciuta come “SBC”,
acronimo di Suicide By Cop. Non c’è nemmeno bisogno di traduzione, tanto è
chiaro il concetto… Più tardi, quando in una conferenza stampa in Questura sono
stati illustrati i particolari, è emersa la figura dell’autore del clamoroso
gesto: un camionista, stressato da turni massacranti di lavoro, che hanno finito
col mettere in crisi anche il matrimonio. 42 anni, originario di Potenza,
residente a Biella e dipendente di una società di Reggio Emilia. E qui passiamo
alle considerazioni. Nessuno ha parlato del gesto di uno squilibrato. Semmai si
è sentito dire dell’azione di un uomo disperato, che ha denunciato lo stato di
sfruttamento da parte della ditta per cui lavora, che lo costringerebbe a turni
di 28, a
volte di 30 ore. Noi, che di camionisti ne conosciamo tanti, che tante volte li
abbiamo “stangati” per quelle decine di ore tutte a dritto e tutte contate sui
dischi crono, questo lo sappiamo bene. E vogliamo fare anche un atto di
pentimento, nei confronti di questa categoria che così tante volte ci aiuta,
nel soccorso alle persone, nella gestione degli incidenti o nelle fasi di
rallentamento del traffico, quando basta accennare ad una manovra che si
piazzano subito alle nostre spalle, proteggendocele, fino a quando non
raggiungiamo il luogo dell’incidente. Sono praticamente solo loro a spostarsi
subito in sorpasso quando ci vedono fermi in corsia di emergenza e ci passano
più lontano per non metterci in pericolo. E sono loro che con quei baracchini,
che tante volte rimbalzano sul quinto canale la presenza dei “puffi”, avvertono
tutti dei pericoli, delle necessità. Quelle ore in più, non le fanno per
divertimento. Sono alla corda di una professione che è massacrata dalla
concorrenza sleale, dalla manodopera a nero, dall’ingordigia – capita anche
questo – e dall’insensibilità di troppi manager pronti ad arricchirsi sul
sudore – e a volte anche il sangue – altrui. A quest’uomo, disperato, che si è
messo a piangere scusandosi, che probabilmente passerà anche guai giudiziari,
che quasi certamente perderà il lavoro, vogliamo rivolgere un pensiero di
grande solidarietà e di comprensione. Non condividiamo il gesto, ma capiamo la
sua disperazione. (ASAPS)
|