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Notizie brevi 22/02/2006

PAURA IN A/1: “KAMIKAZE” IN AUTOGRILL, MA ALLA FINE ERA UN CAMIONISTA DISTRUTTO DA UNO DEI LAVORI PIÙ DURI DEL MONDO. CON UNO STRATAGEMMA, UN POLIZIOTTO LO CONVINCE AD ARRENDERSI.

FORSE VOLEVA FARSI SPARARE. MA PREVALE IL BUON SENSO. RIMANE LA COMPRENSIONE PER UN GESTO DISPERATO.


(ASAPS) CANTAGALLO (BOLOGNA) – Prima la cronaca, poi le considerazioni: alle 6 e mezzo del mattino, il Centro Operativo Autostradale di Bologna invia tutte le pattuglie disponibili a Cantagallo, l’area di servizio tra Casalecchio di Reno e Sasso Marconi, all’inizio del tratto appenninico della A1, sotto l’occhio vigile di San Luca. Un uomo si è barricato all’interno dell’autogrill simbolo di quel tratto di autostrada e minaccia di farsi esplodere con una cintura esplosiva. Non siamo in Israele e nemmeno a Baghdad: ma l’effetto Grande Fratello della tv comincia a farsi sentire e l’idea che un kamikaze possa immolarsi anche a casa nostra, non è poi così lontana. L’autostrada del Sole viene chiusa e l’intero esercizio commerciale viene evacuato e circondato. Non ci sono richieste, ma solo farneticazioni di quel disperato, che grida “o mi ammazzate o mi faccio saltare”. Il primo negoziatore è della Polizia Stradale, che poi deve passare il testimone agli specialisti della trattativa, condotta dal dirigente della Digos e da quello della Squadra Mobile. Si fingono cronisti e lo convincono ad arrendersi: sotto il giubbotto solo un cuscino e quel filo elettrico che poteva alimentare il detonatore, solo il cavetto del caricabatteria del cellulare. Gli avevano portato anche delle sigarette, che alla fine rimborsa con 4 euro. Dopo un’ora tutto torna alla normalità, ma resta l’interrogativo sui motivi che hanno spinto il finto kamikaze a rischiare di farsi ammazzare sul serio: infatti tra le ipotesi investigative c’è anche quella di un suicidio premeditato, secondo una modalità che negli Stati Uniti è purtroppo molto diffusa e conosciuta come “SBC”, acronimo di Suicide By Cop. Non c’è nemmeno bisogno di traduzione, tanto è chiaro il concetto… Più tardi, quando in una conferenza stampa in Questura sono stati illustrati i particolari, è emersa la figura dell’autore del clamoroso gesto: un camionista, stressato da turni massacranti di lavoro, che hanno finito col mettere in crisi anche il matrimonio. 42 anni, originario di Potenza, residente a Biella e dipendente di una società di Reggio Emilia. E qui passiamo alle considerazioni. Nessuno ha parlato del gesto di uno squilibrato. Semmai si è sentito dire dell’azione di un uomo disperato, che ha denunciato lo stato di sfruttamento da parte della ditta per cui lavora, che lo costringerebbe a turni di 28, a volte di 30 ore. Noi, che di camionisti ne conosciamo tanti, che tante volte li abbiamo “stangati” per quelle decine di ore tutte a dritto e tutte contate sui dischi crono, questo lo sappiamo bene. E vogliamo fare anche un atto di pentimento, nei confronti di questa categoria che così tante volte ci aiuta, nel soccorso alle persone, nella gestione degli incidenti o nelle fasi di rallentamento del traffico, quando basta accennare ad una manovra che si piazzano subito alle nostre spalle, proteggendocele, fino a quando non raggiungiamo il luogo dell’incidente. Sono praticamente solo loro a spostarsi subito in sorpasso quando ci vedono fermi in corsia di emergenza e ci passano più lontano per non metterci in pericolo. E sono loro che con quei baracchini, che tante volte rimbalzano sul quinto canale la presenza dei “puffi”, avvertono tutti dei pericoli, delle necessità. Quelle ore in più, non le fanno per divertimento. Sono alla corda di una professione che è massacrata dalla concorrenza sleale, dalla manodopera a nero, dall’ingordigia – capita anche questo – e dall’insensibilità di troppi manager pronti ad arricchirsi sul sudore – e a volte anche il sangue – altrui. A quest’uomo, disperato, che si è messo a piangere scusandosi, che probabilmente passerà anche guai giudiziari, che quasi certamente perderà il lavoro, vogliamo rivolgere un pensiero di grande solidarietà e di comprensione. Non condividiamo il gesto, ma capiamo la sua disperazione. (ASAPS)


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Mercoledì, 22 Febbraio 2006
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