di Fabio Piccioni*
La facoltà degli agenti di polizia municipale di portare armi
La sentenza 18/10/2024 n. 8350, della terza sezione del Consiglio di Stato, chiarisce la portata della previsione concernente l’attribuzione della qualità di agente di pubblica sicurezza, con facoltà di porto d’armi senza licenza, da parte degli operatori di polizia municipale.
La massima
La ratio della possibilità degli agenti della polizia municipale di circolare armati risulta improntata all’esigenza di favorire l’esercizio delle funzioni ausiliarie di cui all’art. 3 L. 65/1986 in condizioni di piena sicurezza, anche dal punto di vista della difesa personale.
Il caso
La Prefettura negava a un Agente di Polizia Locale l’attribuzione di agente di pubblica sicurezza, sulla base del parere negativo espresso dalla Questura in ordine al rilascio dell’"autorizzazione di polizia concernente il decreto di nomina a Guardia Particolare Giurata, motivato da frequentazioni riconducibili ad ambienti criminali”.
Il T.A.R., investito dell’impugnazione tesa a dimostrare l’illegittimità del provvedimento di diniego, rigettava il ricorso.
Per la riforma di tale sentenza è stato proposto appello.
La motivazione del Consiglio di Stato
Il Collegio, preso atto della contrapposizione tra la tesi interpretativa:
ha ritenuto l’appello meritevole di accoglimento.
Nel richiamare la propria precedente giurisprudenza, il Collegio osserva che la mancata previsione del requisito soggettivo della buona condotta ai fini del rilascio della qualifica di agente di pubblica sicurezza non costituisce né un lapsus legislativo, né una lacuna normativa, facendo riferimento alla disciplina generale in tema di autorizzazioni di polizia. Infatti, la qualità di agente di pubblica sicurezza che può essere conferita agli appartenenti alla polizia municipale risulta limitata all’esercizio di funzioni ausiliarie e specificamente di collaborazione con le Forze della Polizia di Stato, previa disposizione del sindaco, quando ne venga fatta, per specifiche operazioni, motivata richiesta dalle autorità competenti. Appare, quindi, ragionevole che il suo conferimento sia subordinato all’accertamento di quei soli requisiti ritenuti dal legislatore indispensabili, alla stregua dei principi fissati dall’art. 97 Cost., per l’esercizio delle funzioni ausiliarie, tassativamente ed esaustivamente indicate. Non vi è ragione, nel silenzio della legge, in considerazione della ratio della norma e del fatto che gli aspiranti sono già pubblici dipendenti, per ritenere che sia necessario a tal fine il possesso dell’ulteriore requisito della buona condotta.
L’eventuale estensione applicativa dell’art. 5 c. 5 L. 65/1986, laddove prevede la facoltà di porto delle armi “senza licenza”, al compimento di quelle valutazioni, in tema di “buona condotta” e di “affidamento di non abusare delle armi”, cui l’art. 43 c. 2 T.U.L.P.S., subordina il rilascio della licenza di portare armi, costituisce un’operazione interpretativa di dubbia percorribilità.
D’altronde, il riconoscimento agli agenti della polizia municipale della facoltà di portare armi non costituisce una prerogativa rilevante uti singuli - come nell’ipotesi di cui all’art. 43 T.U.L.P.S. - ma uno strumento per l’efficace esercizio delle funzioni “ausiliarie” di polizia, ai sensi degli artt. 3 e 5 c. 1, lett. c), L. 65/1986, in condizioni di piena sicurezza, anche dal punto di vista della difesa personale.
Né potrebbe obiettarsi che l’attribuzione della qualifica di agente di pubblica sicurezza, per la delicatezza delle funzioni attribuite e la valenza degli interessi pubblici coinvolti, presuppone una valutazione di affidabilità più approfondita di quella sottesa al riconoscimento del titolo di guardia giurata, prevista dall’art. 138 T.U.L.P.S.
Infatti, da un lato, il soggetto per il quale il Comune richiede sia attribuita la qualifica di agente di pubblica sicurezza non è un quisque de populo, ma un agente di polizia municipale, in quanto tale già investito dell’esercizio di un pubblico servizio, la cui affidabilità può ragionevolmente presumersi; dall’altro, poiché i beni alla cui tutela presiede l’agente di pubblica sicurezza hanno rilevanza pubblica, trova giustificazione un atteggiamento di minore sfiducia (se non di favor) da parte del legislatore, al fine di rafforzare, attraverso l’incremento del personale investito di quelle funzioni, l’apparato organizzativo ad esse preposto.
Infine, l’uso delle armi da parte degli agenti di pubblica sicurezza costituisce oggetto di minuziosa regolamentazione, sia attraverso il regolamento locale che - ai sensi degli artt. 5 c. 5 L. 65/1986 e 2 D.M. 4/3/1987 n. 145, recante Norme concernenti l'armamento degli appartenenti alla polizia municipale ai quali è conferita la qualità di agente di pubblica sicurezza - deve individuare i servizi di polizia municipale ai fini del cui svolgimento è prevista la dotazione di armi nonché “i termini e le modalità del servizio prestato con armi” da parte degli stessi, sia attraverso la previsione che limita il porto dell’arma in dotazione al territorio di appartenenza (“nonché nei casi di operazioni esterne di polizia, d’iniziativa … durante il servizio, anche al di fuori del territorio dell’ente di appartenenza esclusivamente in caso di necessità dovuto alla flagranza dell’illecito commesso nel territorio di appartenenza, come previsto dalla norma di interpretazione autentica dell'art. 5 c. 5, I periodo, L. 65/1986 prevista dall’art. 19-ter D.L. 4/10/2018 n. 113, recante Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, convertito con modifiche dalla L. 1/12/2018 n. 132).
Se ne desume che, attraverso la puntuale disciplina della dotazione e dell’uso delle armi da parte del personale della polizia municipale investito delle funzioni di pubblica sicurezza, viene a essere compensata la minore rigidità, rispetto alla disciplina generale in tema di autorizzazioni di polizia.
In conclusione, accolto l’appello, in riforma della sentenza impugnata è stato annullato il provvedimento di diniego.
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