Articolo
di Carlo
Alberto Zaina 20.02.2006 Si è
fatto un gran discutere dell’esigenza di porre un freno all’aggressione che
inermi cittadini patiscono costantemente da parte della criminalità (micro o
macro non è questo il problema), dotando la società civile di strumenti
legislativi, i quali permettano all’aggredito di fronteggiare l’ingiusta offesa
che egli può patire, sia in relazione alla propria vita ed alla vita dei propri
cari, sia in relazione ai propri beni e diritti. L’ART. 52 C.P.: UNA MODIFICA NECESSARIA? (Nota di commento al
testo di legge recante "Modifica all’articolo 52
del codice penale in materia di diritto all’autotutela in un privato domicilio")
Si è fatto un gran
discutere dell’esigenza di porre un freno all’aggressione che inermi cittadini
patiscono costantemente da parte della criminalità (micro o macro non è questo
il problema), dotando la società civile di strumenti legislativi, i quali permettano
all’aggredito di fronteggiare l’ingiusta offesa che egli può patire, sia in
relazione alla propria vita ed alla vita dei propri cari, sia in relazione ai
propri beni e diritti. Si è posto, soprattutto,
l’accento – specialmente sull’onda di reiterati episodi di brutali e gravi
fatti di sangue occorsi recentemente – sulla necessità che venga maggiormente e
più efficacemente tutelato il domicilio privato e, comunque, la sfera dei
luoghi di abitazione e lavoro che subiscono il numero più rilevante di attentati. Il punto di partenza da
cui il legislatore ha mosso il proprio iter è quello di un superamento ed una
modifica del testo dell’art. 52 cp, che è stato giudicato, rispetto
all’evoluzione criminosa maturatasi nel tempo, inattuale ed insufficiente, comunque,
meritevole di una necessaria integrazione di natura specifica. Significativa di tale
orientamento è la relazione della proposta di legge S. 1899[1], con la quale l’On. Rossi ha sostenuto
che in presenza di “fatti di cronaca, riguardanti violente aggressioni in
abitazioni private o in pubblici esercizi a scopo di furto, è corrisposta,
nella prova dei fatti, una lacunosa applicazione della scriminante.” In buona sostanza, a dire
dei firmatari della legge di modifica dell’art. 52 c.p., si sarebbe giunti –
attraverso una rigorosa interpretazione della norma da parte della magistratura
– “ad una sostanziale inapplicabilità della esimente da esso prevista”.[2] Viene, così criticata (a
torto) quell’impostazione giurisprudenziale, in base alla quale si è imposto un
giudizio di proporzionalità (ed adeguatezza) della reazione dell’aggredito
rispetto all’illecito atto di offesa commesso nei di lui confronti,
affermandosi che “Ai criteri stabiliti dalla legge per valutare se una
reazione ad una aggressione possa essere considerata lecita è stata data una
interpretazione che ha di fatto trasformato un istituto diretto a tutelare le
vittime in uno strumento che finisce con il giovare innanzitutto agli
aggressori. All’aggredito sono imposte valutazioni che, in concomitanza di una
aggressione, non sempre possono essere effettuate”.[3] Sono queste affermazioni
che inducono ad una riflessione e che meritano attento esame. I PRINCIPI DELL’ART.
52 PREVIGENTE. Partiamo dai principi che
la giurisprudenza ha elaborato in relazione all’art. 52 c.p.[4]. Il Supremo Collegio ha
sempre posto l’accento, in maniera incontrovertibile su alcuni parametri,
decisivi al fine di invocare l’esimente in parola. Essi possono essere
individuati nella:
1. Con riferimento all’intenzionalità
(intesa anche sotto l’aspetto della mera previsione) si deve osservare che
l’analisi del giudice deve investire il problema relativo alla condotta
dell’agente. Si deve, pertanto,
verificare, se questi agisca cagionando l’evento (che può essere voluto o meno,
oppure accettato e prefigurato astrattamente quale conseguenza dell’azione), in
costanza della necessitò di difendere uno o più diritti ingiustamente offesi. Si tratta di una
valutazione che il giudice ha sempre dovuto operare con criterio ex ante. In relazione, invece,
alla difesa del diritto (o dei diritti) si deve rilevare come
l’oggetto della tutela cui fa riferimento la norma in questione può essere
qualsiasi diritto. MANTOVANI[5], in tale
categoria fa rientrare i diritti strictu sensu, nonché gli interessi tutelati
giuridicamente. Tesi confermata dalla
giurisprudenza di legittimità con la pronunzia della Suprema Corte di
Cassazione, Sez.II, 24/09/1997, n.4781, Merola Vilardi e altri[6], (conf. Cass. pen., Sez.I, 20/06/1997,
n.6979, Sergi, Cass. Pen., 1998, 2351) - che ha ammesso l’efficacia della causa
di giustificazione nei confronti di tutti i diritti, personali e patrimoniali -
nonché da pronunzie di merito (V. ex plurimis Trib. Trapani, 19/07/1990,
Federico, Riv. Pen., 1991, 933). La giurisprudenza ha,
infatti, posto l’accento sul fatto che l’istituto della legittima difesa è
ammessa in tutte le ipotesi in cui diritti personali o patrimoniali vengano
aggrediti ingiustamente, così da trovarsi in una condizione di pericolo attuale
e a siffatta aggressione consegua un comportamento difensivo diretto a
neutralizzare tempestivamente la situazione di pericolo in atto, per evitare
che essa si traduca o continui a tradursi in lesioni di beni giuridicamente
tutelati. L’offesa mossa a colui
che invoca la legittimità della propria azione di difesa, come si è detto deve
apparire ingiusta. Sul punto specifico,
l‘ingiustizia dell’aggressione va intesa in senso ampio, cioè trascendente il
concetto di stretta antigiuridicità e coinvolgente qualsiasi condotta che venga
commessa senza che sussistano altre cause di giustificazione e che provenga
anche da soggetti incapaci o che derivi da comportamenti classificati come
colposi. Essa, pertanto, non viene
ancorata al concetto di azione “contra jus”. 2. In relazione al concetto di involontarietà
del pericolo, va affermato che è pacifico il principio che colui che si
difende non deve avere dato adito alla possibilità di essere aggredito, tenendo
una condotta che sia la ragione dell’aggressione asseritamente ingiusta. Si è, infatti,
consolidato nel tempo l’orientamento in base al quale l’involontarietà del
pericolo, pur se prevista esplicitamente solo per lo stato di necessità, deve
ritenersi essenziale anche per la legittima difesa. Il S.C. 18/06/1985
Mancino, Giust. Pen., 1986, II, 215 ha riaffermato un principio, già sancito in
precedenza e cioè che se il reagente determina volontariamente la causa che lo
ha messo in condizione di pericolo, la spinta alla difesa proviene dal fatto
proprio e non dalla necessità. Così non fu ritenuta
sussistente l’esimente in parola per mancanza dell’estremo della involontarietà
del pericolo, a chi si è posto nella condizione ritenuta pregiudizievole per
aver accettato una sfida con conseguente esposizione volontaria all’evento
dannoso che si poteva evitare (cfr. Cass. pen., 08/10/1982, Toselli, Giust.
Pen., 1983, II, 500). 3. Non può tralasciarsi, indi, di
considerare la cd. inevitabilità del pericolo, consistente
nell’impossibilità per l’agente di fruire di alternative meno gravi rispetto
all’offesa utilizzata per difendersi nel caso concreto. Tale aspetto appare
rilevante, in quanto prodromico indubbiamente al thema disputandum della
proporzionalità fra l’offesa e la reazione dell’aggredito. Si deve, infatti,
sottolineare la circostanza che la valutazione del giudicante deve involgere
preliminarmente ad ogni altra, diversa ed ulteriore considerazione, il fatto
che la persona potesse o meno difendersi in un modo differente rispetto a
quello cui egli ha fatto ricorso. Tale considerazione parte
dal presupposto che l’interessato dovesse effettivamente difendersi
necessariamente e postula l’apprezzamento delle opzioni concrete (non teoriche)
cui si potesse fare ricorso. La necessitò, pertanto,
deriva da variabili indipendenti che mutano da situazione a situazione e
possono attenere sia a motivi concernenti la persona, il luogo od i mezzi. In proposito si è
affermato che “Poichè la difesa legittima presuppone il pericolo attuale di
una offesa ingiusta e consiste in una reazione la cui efficacia scriminante
implica l’inevitabilità del pericolo attuale, la necessità di difesa, e la
proporzione tra questa e l’offesa, non è giustificabile il fatto commesso
quando l’offensiva si è esaurita”[7]. Deriva da quanto precede,
la considerazione che si debba tenere sempre presente che il limite imposto
dallo stato contingente viene ad estrinsecarsi nell’art. 55 c.p. (il quale
riconosce per implicito la necessità di difendersi)[8] E’ poi, evidente il fatto
che il concetto di inevitabilità è intimamente collegato con quello precedente
di involontarietà. Laddove, infatti, si
verta in una situazione nella quale vi sia uno scontro fra soggetti che
reciprocamente si aggrediscano, nessuno di loro può invocare la necessità di
difesa in una situazione di pericolo che ha contribuito a determinare e che non
può avere il carattere della inevitabilità. (cfr. Cass., Sez.I, 10/10/1995,
n.11264, Cicconi, Giust. Pen., 1996, II, 363). 4. Va, da ultimo esaminato, quello
che è stato ritenuto (a torto, sia consentito dirlo forte e chiaro) il punctum
dolens della struttura giuridica di una norma, che per chiarezza e modernità è
stata invidiata e copiata in molti ordinamenti, e cioè la proporzionalità
fra azione a difesa ed aggressione ingiusta. Con simile accezione non
si è solo sottolineata la necessità che esista un bilanciamento che renda
omogenee l’offesa arrecata e l’offesa minacciata, ma si è anche ricompreso il
principio – peraltro più pertinente al concetto di inevitabilità, sopra
espresso – di assenza di alternativa tra reagire e subire, nel senso che
l’offeso, per il quale sussista la necessità di difendersi, non può sottrarsi
al pericolo senza offendere l’aggressore. (Cfr. Cass. pen., Sez.I,
21/04/1994, De Giovanni, Cass. Pen., 1995, 1834). Va da sé che, comunque,
che l’aspetto di maggiore rilievo concerne il rapporto fra male inflitto
all’aggressore e male fronteggiato, di modo che si giunga a valutare se il
primo sia inferiore, uguale, accettabilmente o sperequatamene superiore al
secondo. Questo è sempre stato il
parametro delibativo che ha spiegato effetti sia in presenza di minaccia a beni
omogenei (ad es. patrimonio contro patrimonio, etc.), sia a fronte di di
disomogeneità dei beni in contrasto (vita contro patrimonio ad esempio). In quest’ultimo caso,
intuitivamente di maggior impegno e difficoltà, peso rilevante è stato
assegnato alla valutazione discrezionale del giudice, il quale però, ha sempre
illuminato, rinvenendo un paradigma a fini decisori “nella gerarchia della
fonti espressa dall’ordinamento giuridico e nella stessa Costituzione”[9]. Nonostante le difficoltà
insite nell’esercizio di giudizi discrezionali, l’equazione ha sempre garantito
una sostanzialmente corretta applicazione della norma, intendendosi in tal modo
anche la necessità che l’esame relativo alla sussistenza della causa di
giustificazione (non si dimentichi mai che la condotta dell’aggredito, pur
ottenendo il riconoscimento giuridico esimente, cioè l’ esclusione della
punizione che normalmente verrebbe inflitta – e che è prevista - , mantiene
sempre il connotato di illiceità astratta) non ha mai derogato al principio
dell’onere della prova e ricusando facili forme di presuntività (inaccettabili
in campo penale). E’ sempre stato, quindi,
conforme ad una cultura ed ad una civiltà giuridica e giudiziaria, il dovere di
verificare, ai fini del riconoscimento della legittima difesa, la presenza
della proporzione tra difesa ed offesa. Ove questo rapporto si
fosse risolto in senso negativo, per eccesso nell’uso dei mezzi adoperati
dall’aggredito nel difendersi, al giudice è sempre rimasto il dovere di
differenziare tra eccesso dovuto e negligenza, imperizia, imprudenza ed, in
genere, a colpa nella valutazione dell’entità dell’offesa o della misura della
difesa, ed eccesso consapevole e volontario. Le varie pronunzie –
soprattutto di legittimità – hanno sempre focalizzato la indefettibilità della
massima prudenza, onde verificare questo discrimine, il quale con grande
disinvoltura può tramutare un atto apparentemente legittimo, in un reato di
natura addirittura dolosa Per Cass., Sez.I,
05/08/1992, Muggirono, Giust. Pen., 1993, II, 299 “La scelta deliberata di
una determinata condotta, ancorchè reattiva, la quale superi i limiti imposti
dalla necessità della difesa, e non per precipitazione, imprudenza od errata
valutazione delle circostanze di fatto, bensì per consapevole determinazione,
esclude l’eccesso colposo perchè radica la volontarietà dell’evento, che
diviene semplicemente punitivo, trovando nella precedente azione altrui
pretesto, non causale”. La proporzionalità,
quindi, in primis, come canone per valutare la condotta specificatamente tenuta
e le conseguenze effettivamente cagionate, a tutela del diritto sottoposto ad
attentato, rispetto al comportamento ingiusto ed illecito che ha messo a
repentaglio tale diritto. Nel concetto di
proporzionalità, poi, però, particolare importanza ha sempre rivestito la
graduazione degli strumenti che gli antagonisti hanno usato nel caso concreto,
per portare l’offesa materiale. Utilizzare un’arma,
laddove non vi sia possibilità diversa, nei confronti di una persona a propria
volta armata e che manifesti l’inequivoca intenzione di utilizzarla,
brandendola in modo inequivocabilmente minaccioso o puntandola rientra nel
concetto di proporzionalità. In giurisprudenza si è
sostenuto significativamente che “In tema di legittima difesa il giudizio di
proporzione tra necessità di difesa e reazione difensiva non può mai
prescindere dalla natura e dall’entità del pericolo di offesa, che incombe
realmente sull’aggredito e ciò soprattutto quanto la reazione si sia
manifestata attraverso strumenti micidiali, potendosi essa ritenere
proporzionata nell’ipotesi in cui appare l’unica possibile per fronteggiare il
pericolo; ne deriva che nel caso di unica disponibilità del mezzo di difesa, in
concreto adoperato, non si può dare valore risolutivo - ai fini dell’esclusione
dell’eccesso - al solo accertamento della singolarità del mezzo disponibile,
quando sia indubbio che possa essere usato con modalità diverse e talune di
queste appaia proporzionata e adeguata al pericolo stesso.” (cfr. Cass.
pen., 02/03/1990, Mazzella, Giust. Pen., 1990, II, 615). LA NUOVA NORMA
QUALE ESPRESSIONE DELL’ESERCIZIO DELL’AUTOTUTELA. A fronte di una causa di
giustificazione codificata, cioè in presenza di una legittimazione codificata
della violazione dell’altrui diritto, il nuovo art. 52 inserisce, invece, una
vera e propria forma di autotutela che stravolge la natura della originaria
disposizione di legge. Si tratta, infatti, come
sostenuto nel corso dei lavori parlamentari del “diritto all’autotutela in
un privato domicilio, e quindi si crea un vero e proprio diritto, una
situazione giuridica soggettiva”.[10] Non viene evocato più il
conflitto di diritti paritari, ma viene riconosciuto in capo all’individuo un
diritto all’autotutela che supera la nozione e la concezione della proporzione,
la quale, viceversa, è alla base della disciplina che oggi regge il nostro
ordinamento. E’ corretto che l’onus
probandi muti a seconda di condizioni di tempo e luogo, in presenza di
situazione oggettivamente identiche? In proposito, deve
osservarsi che già in corso di dibattito parlamentare è stata proposta un
questione pregiudiziale di costituzionalità, respinta, la quale sottolineava, sotto
altro profilo rispetto a quello esposto dianzi, che “è altresì evidente la
violazione dell’articolo 3 della Costituzione, quale conseguenza
nell’equiparazione di comportamenti diversi solo in quanto avvenuti nello
stesso luogo: come ribadito in più occasioni dalla Corte costituzionale,
infatti, deve considerarsi violato il principio di eguaglianza dei cittadini
davanti alla legge sia quando si trattano in maniera diversa situazioni eguali
sia quando, come nel caso in esame, vengono trattati in maniera eguale
situazioni tra loro differenti, salvo che la scelta legislativa non contrasti
col principio di ragionevolezza,”[13] E’, però, proprio lo
stravolgimento dei termini applicativi, il profilo che suscita maggiori
preoccupazioni. Lo stesso relatore della
legge (on. Rossi) senza metafore, precisa come si intenda modificare
radicalmente, con lo strumento normativo, la natura della disposizione di legge
che, da causa di giustificazione, diviene ex novo manifestazione di autotutela. “La proposta di legge,
così come quelle ad essa abbinate, ha il pregio di individuare con esattezza i
confini del cosiddetto diritto di autotutela nella legittima difesa, facendovi
rientrare tutte quelle condotte che sostanzialmente sono dirette ad evitare una
aggressione alla persona o al patrimonio”. Si tratta di
un’impostazione che non può essere per nulla condivisa affatto. Un contegno che, infatti
– come si è avuto modo di dire in precedenza – è considerato illecito e,
pertanto, rimane illecito, ma viene contingentemente ed eccezionalmente
tollerato, nel senso che l’autore del fatto non viene sottoposto alla pena
(usualmente prevista per tale condotta), solo in presenza di condizioni di
fatto codificate, del tutto anomale ed insolite, diviene incredibilmente lecito
ed, anzi, equiparato all’esercizio di un vero e proprio diritto in via di
espansione, in quanto sottoposto ad una condizione. E’ sempre esistita
codicisticamente una situazione normativa composita ed articolata, che, in caso
di errore di fatto sull’esistenza dei presupposti della legittima difesa - la
cosiddetta legittima difesa putativa – prevede una causa di giustificazione
(valutata a tutela della persona aggredita attraverso la previsione
dell’articolo 59 del codice penale), mentre nel caso di errore di diritto su
legge extrapenale, che abbia cagionato errore sull’ingiustizia dell’offesa, è
applicabile, analogamente, la causa di non punibilità prevista dall’articolo 47
c.p. . La nuova formulazione
dell’art. 52 c.p., pone, invece, in primo piano, quale questione giustificante
l’applicazione della legittima difesa, quella concernente “il modo in cui si
possono difendere alcuni beni ed i limiti entro i quali questi beni possono
essere difesi”. [14] Non si tratta, pertanto,
di un ampliamento dei casi di (peraltro, criticabile) applicazione della difesa
legittima, quanto piuttosto – come detto – della creazione di una situazione
giuridica patentemente diversa a seconda di quali siano i beni giuridici
minacciati ed i luoghi teatro dell’assalto predatorio di malviventi, in
costanza di vicende attualmente identiche. Ritiene chi scrive che,
stabilendo ex legge una presunzione assoluta rispetto ad una valutazione di
proporzionalità (presunzione che quindi non è più valutabile in concreto dal
giudice) tra la difesa di un bene patrimoniale e la difesa della vita o della
persona o dell’incolumità personale, si venga a delineare una norma che appare
sia irragionevole ed irrazionale, sia in totale contrasto con la Costituzione. Né si può affermare che
la condizione di detenere legalmente un’arma possa apparire decisiva,
scriminando la condotta concernente il suo uso. E’ evidente che il
legislatore, con il riferimento alla detenzione legittima, ha inteso rivolgersi
specificatamente al campo delle armi che necessitano un’autorizzazione di
polizia ed in special modo alle armi da sparo. Ciò non toglie, quindi,
che detenere lecitamente un’arma, sia condotta che non coincide necessariamente
con un suo utilizzo corretto. Va, infatti, posto il
problema se ad usare l’arma nel contesto di un’azione di cd. difesa di un
diritto, in un contesto locativo del genere di quelli individuati dai commi 2 e
3 del nuovo art. 52 c.p., sia persona diversa dal legittimo detentore, cioè
persona con lui convivente, o casualmente presente sulla scena della vicenda. Quid iuris in tale
occasione? Stando al dettato della
norma che crea una posizione di legittimazione qualificata, imponendo un
collegamento di assoluta pertinenza giuridica alla situazione fattuale di
possesso dell’arma, si dovrebbe essere portati ad escludere che il soggetto che
si impossessi dell’arma (altrui) onde fronteggiare l’illecita minaccia, si
ponga sul medesimo piano antigiuridico degli aggressori (o dell’aggressore). Si tratta di una
interpretazione – in questo caso – volutamente strictu sensu, posto che è mia
intenzione rilevare come, (se effettivamente lo scopo del legislatore era quello
di ridurre al massimo l’esercizio del potere discrezionale, da parte del
giudice), il legislatore abbia fallito tale chimerico scopo, atteso che
l’elemento della libertà di valutazione in capo al giudicante non potrà (né mai
dovrà) risultare compromesso od escluso. Certo è che, il problema
che – ad exemplum – si è appena sollevato non potrà affatto essere eluso. Si pone, poi,
ulteriormente, altro dubbio sulla richiamata condizione detentiva, ove l’uso
dell’arma involga un’arma bianca, Non a caso, infatti, la
detenzione di taluni coltelli (ma il discorso può essere ampliata a bastoni,
mazze da baseball etc.) viene sanzionata ai sensi dell’art. 4 L. 110 del 1975,
sotto la dizione di “arnesi atti ad offendere”. Si tratta di ipotesi
contravvenzionale punita con pene minime (arresto o ammenda), posto che
l’offensività della condotta in sè appare di scarsa portata. Anche in questi casi come
si può codificare aprioristicamente la condizione di legittimità della
detenzione? Soprattutto in relazione
a quegli arnesi, diversi dalle armi bianche, che possono essere detenuti a
qualsiasi titolo, quindi, anche senza un’apparente concreta ragione, si potrà
ritenere che il legittimo possesso assuma un valore decisivo e discretivo? Giovi, inoltre, osservare
che il tanto conclamato elemento di novità, che consisterebbe nell’estensione
della tutela anche ai “beni propri o d altrui” (che ha richiesto
un’indicazione ad hoc, contenuta nella lett. b) del co. 2°), non può essere per
nulla ritenuto tale. Il principio della difesa
del patrimonio, infatti, è stato giurisprudenzialmente accolto a sancito da
tempo. Basti ricordare, per
tutte, una recente pronunzia della Suprema Corte di Cassazione, Sezione Quinta
Penale, (sentenza n.20727/2003, udienza del 14/03/2003)[15], la quale ha statuito che l’uso della
violenza è giustificato in caso di legittima difesa, e cioè ogniqualvolta gli
atti di violenza costituiscano l’unico modo per impedire l’aggressione al
patrimonio e purché vi sia proporzione tra il danno che si potrebbe subire e la
reazione. La Suprema Corte ha
chiarito che la legittima difesa si applica anche ai diritti patrimoniali - è
pacifica la sua applicazione in caso di minaccia ai diritti fondamentali come
la vita umana - purché vi sia una proporzione tra il danno che si potrebbe
subire e la reazione posta in essere: il comportamento di chi si difende deve
cioè costituire l’unico mezzo per impedire l’aggressione al patrimonio e non
rappresentare occasione per una ritorsione. Nel caso in questione, si
è ritenuto che l’imputato avesse agito per legittima difesa, tuttavia eccedendo
i limiti imposti dalla legge, e per questo è stato configurato il c.d.
"eccesso colposo in legittima difesa". Conclusivamente si deve
ribadire la preoccupazione per l’introduzione di una norma che appare inutile,
nella forma e nella sostanza. Essa, lungi dal rendere
meno oscuri i temi dell’adozione legittima di azioni armate a tutela di diritti
personali e patrimoniali propri ed altrui, da parte di soggetti, ingiustamente
vittime di criminose aggressioni, amplia, invece, l’ambito delle incertezze,
dando corso ad una previsione inutilmente ripetitiva di concetti pacificamente
accettati in giurisprudenza e dottrina. Viene, inoltre, minato il
piedistallo di civiltà dell’istituto costituito dalla valutazione di
proporzionalità tra le opposte condotte, criterio e regola di giudizio
irrinunciabile e non sostituibile da principi predeterminati, e, come tali,
algidamente casistici e teorici, in quanto assolutamente avulsi dalla
fattispecie concreta. Stabilendo la presunzione
che la reazione dell’aggredito sia, sempre e comunque, considerata
proporzionale all’offesa minacciata, quando il fatto avvenga nel domicilio
dell’aggredito o nel suo luogo di lavoro, si sostiene che la cd. presunzione
automatica, possa, sottraendo al giudice, limitatamente a questi casi, la
valutazione della proporzione fra offesa e difesa, ridurre conseguentemente
tempi e modalità di accertamento dei fatti. Non si sentiva, quindi,
la necessità delle modifiche così come introdotte, proprio perché, come detto,
esse involgono, neppure tanto di riflesso il principio dell’onus probandi,
creando il doppio binario già ricordato, con grave disparità di trattamento fra
casi analoghi, in presenza di luoghi diversi. Meglio sarebbe stato
informarsi ai principi contenuti nell’art. 30 del progetto Nordico in tema di
difesa legittima, che recita: “E’ scriminato il
fatto commesso da chi è stato costretto dalla necessità di difendere un diritto
proprio o altrui contro il pericolo di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa
sia proporzionata all’offesa, tenuto conto dei beni dei beni in conflitto, dei
mezzi a disposizione della vittima e delle modalità concrete dell’aggressione. Non è scriminato il
fatto di chi ha preordinato a scopo offensivo la situazione da cui deriva la
necessitò di difesa”.
[1] - Senatori Gubetti ed altri:
Modifica all’articolo 52 del codice penale in materia di diritto all’autotutela
in un privato domicilio (Approvata dal Senato) (A.C. 5982 ); e delle abbinate proposte di legge Luciano Dussin ed
altri; Cè ed altri; Perrotta (A.C. 4115-4926-5417) [2] V. resoconto sedute n. 736 del 24
Gennaio 2006 della Camera dei Deputati in www.camera.it [3] idem [4] Art. 52 Difesa legittima
(testo ante modifica). Non e’ punibile chi ha
commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessita’ di difendere un
diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta,
sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa. [5] Diritto penale, CEDAM Pd, 1990,
pg. 257 [6] Giust. Pen., 1998, II, 261 Cass.
Pen., 1998, 2350 [7] Cass. pen., Sez.I, 15/04/1999,
n.9695, De Rosa, Cass. Pen., 2000, 1951 [8] Art. 55 Eccesso colposo Quando, nel commettere
alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 51, 52, 53 e 54, si eccedono
colposamente i limiti stabiliti dalla legge o dall’ordine dell’Autorita’ ovvero
imposti dalla necessita’, si applicano le disposizioni concernenti i delitti
colposi, se il fatto e’ preveduto dalla legge come delitto colposo. [9] MANTOVANI, Diritto penale, CEDAM
Pd, 1990, pg. 262 [10] V. resoconto sedute n. 736 del 24
Gennaio 2006 della Camera dei Deputati in www.camera.it già cit. [11] ART. 1. (Diritto all’autotutela
in un privato domicilio). 1. All’articolo 52 del
codice penale sono aggiunti i seguenti commi: "Nei casi previsti
dall’articolo 614, primo e secondo comma, sussiste il rapporto di proporzione
di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente
in uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente detenuta o altro
mezzo idoneo al fine di difendere: a) la propria o altrui
incolumità; b) i beni propri o
altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d’aggressione. La disposizione di cui al
secondo comma si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto
all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale,
professionale o imprenditoriale". [12] Art. 614 Violazione di
domicilio Chiunque si introduce
nell’abitazione altrui, o in un altro luogo di privata dimora, o nelle
appartenenze di essi, contro la volonta’ espressa o tacita di chi ha il diritto
di escluderlo, ovvero vi s’introduce clandestinamente o con inganno, e’ punito
con la reclusione fino a tre anni. Alla stessa pena soggiace
chi si trattiene nei detti luoghi contro l’espressa volonta’ di chi ha diritto
di escluderlo, ovvero vi si trattiene clandestinamente o con inganno. Il delitto e’ punibile a
querela della persona offesa. La pena e’ da uno a
cinque anni, e si procede d’ufficio, se il fatto e’ commesso con violenza sulle
cose, o alle persone, ovvero se il colpevole e’ palesemente armato. [13] La Camera, premesso che: il provvedimento in esame
prevede, all’articolo 1, comma 1, lettera a), che sia proporzionale, e
dunque legittimo, l’uso della violenza per difendere «1a propria o altrui
incolumità» e, alla lettera b), che sia parimenti lecito l’uso di
un’arma legittimamente detenuta per difendere beni patrimoniali, propri o
altrui, quando non vi sia desistenza e vi sia pericolo di aggressione; in particolare, sarebbe
lecito l’utilizzo della violenza, con armi di qualsiasi tipo, oltre che per
difendere la propria o altrui incolumità, anche quando vi sia il mero pericolo
di aggressione a beni di carattere patrimoniale, seppur messa in atto da
persona disarmata, solo che non vi sia desistenza da parte dell’aggressore; quanto previsto dal testo
all’esame della Camera si pone in aperto contrasto con l’inviolabilità del
diritto alla vita, riconosciuto e garantito dall’articolo 2 della Costituzione;
è altresì evidente la
violazione dell’articolo 3 della Costituzione, quale conseguenza
nell’equiparazione di comportamenti diversi solo in quanto avvenuti nello
stesso luogo: come ribadito in più occasioni dalla Corte costituzionale,
infatti, deve considerarsi violato il principio di eguaglianza dei cittadini davanti
alla legge sia quando si trattano in maniera diversa situazioni eguali sia
quando, come nel caso in esame, vengono trattati in maniera eguale situazioni
tra loro differenti, salvo che la scelta legislativa non contrasti col
principio di ragionevolezza, delibera di non procedere
all’ulteriore esame della proposta di legge. F.to Pisapia ed altri [14] On. Rossi V. resoconto sedute n.
736 del 24 Gennaio 2006 della Camera dei Deputati in www.camera.it già cit [15] Si reputa interessante
riportare la sentenza della S.C., anche per attestare il rigore intellettuale
dell’applicazione della norma. F. M. è stato condannato
dal GIP presso il Tribunale di Palermo perchè riconosciuto colpevole del
delitto ex art. 586 in relazione agli artt. 83 e 590 cp [1], con attenuanti
generiche ritenute prevalenti sulle contestate aggravanti e con riduzione
conseguente alla applicazione del rito abbreviato. La competente Corte
d’appello ha confermato la sentenza di primo grado. Ricorre per cassazione il
difensore dell’imputato e deduce erronea applicazione dell’art. 52 cp [1],
erronea applicazione dell’art 55 cp [3], nonché mancanza e manifesta illogicità
di motivazione. Sostiene che i giudici di
merito, pur ricostruendo correttamente l’accaduto, hanno escluso che ricorresse
la scriminante della legittima difesa, in ciò errando radicalmente, in quanto
il F., dopo l’ennesima rapina nella sua tabaccheria, uscì repentinamente in
strada e, allo scopo di impedire la fuga dei malviventi, esplose alcuni colpi
con l’arma detenuta regolarmente. I primi colpi furono esplosi in aria a scopo
intimidatorio, i successivi in direzione della parte inferiore dell’autovettura
dei malviventi nel tentativo di forarne le gomme ed ostacolare la fuga. Un
colpo tuttavia attinse tale M. G., che si stava dirigendo verso l’autovettura a
bordo della quale erano i suoi complici, provocando lesioni. Se dunque questa
fu, pacificamente, la dinamica del fatto, è assolutamente errata la
qualificazione giuridica elaborata dal giudice di primo grado. La Corte di
appello, a sua volta, dopo .aver premesso di non condividere tale
qualificazione, non ne propone una alternativa e, con ciò, incorre nella prima
anomalia. In realtà, il F. fece uso dell’unico strumento che aveva a
disposizione e lo utilizzò in maniera adeguata. l’istituto della legittima
difesa è pacificamente applicabile anche ai diritti patrimoniali. La
sussistenza della scriminante non consente di formulare la ipotesi di reato ex
art. 586 cp. Non si comprende dunque a quale titolo venga affermata la
responsabilità del F., quasi che debba trattarsi di una sorta di responsabilità
oggettiva. Inoltre la Corte territoriale, dopo avere escluso la applicabilità
dell’art. 52 cp, afferma che, se anche si volesse ritenere sussistente la
aggravante de qua, non potrebbe ritenersi escluso l’eccesso colposo, con la
conseguente applicabilità delle disposizioni concernenti, appunto, i delitti
colposi. Un tal modo di procedere è meritevole di censura: il giudice non può,
ricorrendo ad una fictio juris, riconoscere la sussistenza degli elementi della
legittima difesa che ha precedentemente escluso, per poi disinvoltamente
sostenere il superamento colposo dei limiti stabiliti per il suo esercizio.
L’eccesso colposo consiste nell’eccesso dell’uso dei mezzi, dovuto a
negligenza, imperizia, imprudenza. Sul punto manca qualsiasi motivazione e
dunque trattasi, ancora una volta, di responsabilità attribuita a titolo
oggettivo. Il ricorso è parzialmente
fondato. È innanzitutto
incontestabile che la legittima difesa possa essere applicata anche ai diritti
patrimoniali, i quali possono essere difesi anche ricorrendo ad atti di
violenza, purché sussista proporzione tra il danno che si potrebbe subire e la
reazione posta in essere. È poi necessario che il comportamento del soggetto
aggredito costituisca l’unico mezzo per impedire l’aggressione al patrimonio e
non rappresenti occasione per una ritorsione (ASN 198105819-RV 149337). Ebbene,
sulla base della ricostruzione operata dai giudici di merito, non può dubitarsi
del fatto a) che il patrimonio del
F. era stato aggredito e leso (i rapinatori si stavano allontanando con la
refurtiva), b) che, tuttavia, il
danno causato dal reato avrebbe potuto essere neutralizzato, attraverso il
recupero del denaro rapinato (se il F. fosse riuscito a bloccare la fuga dei
malviventi), c) che, considerata la
situazione (numero degli aggressori e strumenti a loro disposizione), il
ricorrente fece uso dell’unico mezzo efficace in suo possesso: una pistola
(necessaria, sia per interrompere la fuga dei rapinatori, sia per indurli a
restituire il maltolto). Dunque, in astratto, i
presupposti per la sussistenza della scriminante ex art. 52 cp sussistevano.
Conseguentemente non è corretta la condanna dell’imputato per il delitto di cui
all’art. 586 cp, che, come è noto, punisce con le pene previste per la aberratio
delicti (ma aumentate, se si tratta dei delitti ex artt. 589 e 590 cp) la
condotta di colui che, commettendo un delitto doloso, cagioni
involontariamente, morte o lesioni di un terzo. Invero, non rimane integrata la
fattispecie ex art 586 cp nella ipotesi in cui il soggetto tenga, in presenza
di una causa che elide in radice la antigiuridicità del suo operato (nel caso
in esame la legittima difesa), una condotta integrante l’elemento oggettivo del
reato doloso (nel caso in esame, quello di danneggiamento) cui sia
eziologicamente legato l’evento più grave (morte o lesioni). Il F. volle danneggiare
l’auto dei rapinatori, ma lo fece, come si sostiene nella sentenza impugnata,
per impedire che costoro fuggissero con il denaro che gli avevano sottratto e,
così operando egli era per le ragioni sopra esposte- scriminato. Sussiste invece, sempre
sulla base della ricostruzione dell’accaduto operata nella fase di merito,
l’eccesso colposo in legittima difesa. Infatti, se, da un lato,
è certamente esatto sostenere (come si è appena fatto) che il F. adoperò
l’unico strumento efficace che aveva a sua disposizione (un’arma da fuoco),
dall’altro, va detto che è altrettanto vero che detto strumento, per la sua
micidialità, avrebbe dovuto essere impiegato con grande avvedutezza, prudenza e
con la consapevolezza di possedere adeguata perizia nel suo maneggio. Dalla
motivazione della sentenza impugnata emerge .che il F., dopo aver fatto fuoco
in aria, iniziò a sparare contro le ruote dell’auto dei banditi, mentre era
ferma, quindi continuò, quando questa si era ormai messa in movimento ed, in
tale frangente, attinse il M. che verso l’auto si
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