Aspira
con gusto il fumo della sigaretta, poi mi guarda. Mi squadra dalla testa
ai piedi. Si sofferma su un particolare che non so identificare, mentre
arrivano altre pattuglie, alla barriera autostradale di Firenze Ovest.
è lì che stiamo, tutti spiegati a imbuto, per selezionare
la porzione di traffico verso Firenze Città Aperta che si riempie
all’inverosimile. La sua macchina, cosa insolita per un black blocker,
viene ispezionata, con lui che collabora. è lui che solleva il
pianale della ruota di scorta, che svuota spontaneamente (un po’ per provocazione,
un po’ perché tanto lo deve fare) il suo zaino e il marsupio sul
cofano della nostra, mentre un giovane si sporge da un furgone in transito
e tenta di riprendere la scena con una videocamera digitale. è
lui che lo apostrofa mandandolo a quel paese. è pieno di "precedenti
specifici" e questo gli costa la visita di una pattuglia della Digos.
Qualche domanda in separata sede, due appunti vergati sul taccuino e poi
se ne vanno, lasciandolo con noi. Si
avvicina e chiede se può aspettare qui i suoi amici rimasti indietro,
che arriveranno a minuti, mentre accende un’altra sigaretta guardandomi
ancora dritto negli occhi. Eppure non è uno sguardo di sfida. C’è
qualcos’altro di indefinibile, qualcos’altro che inquieta. Passa una macchina
tutta nera, un maggiolone di trent’anni, con le "A" cerchiate
pitturate sugli sportelli, con le spirali disegnate sui cerchioni, di
quelle che ti ipnotizzano, con una bandiera che sventola sulla cappotta. Tocca
a me guardarlo ora. Sono miei amici. Begli amici. Si alza e va via, offeso.
Aspetta, dove vai? Scusa. Si gira e mi guarda ancora. Sono miei amici
a te che ti frega? Ricominciamo da capo, io e Claudio. Si siede. Comincia
a parlare di America e Bin Laden, delle Twin Towers e di Afghanistan,
del popolo Curdo e di foresta amazzonica, dell’Ira e dell’Eta. Borbotta
due parolacce su un centro sociale che ci avete chiuso, delle basi Nato
e delle Nike, degli uomini che andranno su Marte per cercare un nuovo
mondo, ma da distruggere, dei Mac Donald e della carestia in Etiopia,
di Carlo Giuliani e di Daniel Campos, il leader guatemalteco di "Mts
Izquierda Unita". Manco
sappiamo chi è Daniel Campos, dobbiamo ammetterlo. E manco sapevamo
che in Etiopia è in atto la peggiore carestia della storia. O meglio,
lo sapevamo ma non ce lo ricordavamo, presi come siamo, per niente convinti
di essere egoisti, dalle nostre cose. Milioni di uomini, donne e bambini
in procinto di morire di fame. Claudio
mi guarda ancora. Capisce che la sua frase mi ha colpito e mentre il traffico
diminuisce per via della sera che incombe, ci mettiamo a parlare sul serio.
Gli offro una sigaretta delle mie. Scopro in lui un lato intellettuale
e un lato che si potrebbe definire integralista. Due risvolti di una medaglia
di un ragazzo che non è Giano Bifronte ma un compagno di scuola
delle elementari, un nome accanto al mio sul registro della stessa classe,
pronunciato ogni mattina dalla stessa maestra. Proprio come diceva e scriveva
Pasolini. Non è un terrorista ma è determinato, pronto a
tutto, anche a diventarlo. Ora è calmo, ma a parlarci si ha l’impressione
che da un momento all’altro possa esplodere in tutta la sua furia ideologica.
Si vede, si sente, si percepisce nel modo in cui parla, in cui dialoga.
Ma cosa sono, o meglio, chi sono i Black Bloc?I
Black Bloc di oggi, letteralmente blocco nero, sono il prodotto di una
clamorosa protesta inscenata a Seattle nei giorni della prima colossale
manifestazione No Global, datata dicembre 1999, quando nella metropoli
Usa si tenne la Conferenza Ministeriale del Wto. Furono giorni di scontri
terribili con la polizia locale impegnata per salvaguardare la penultima
Zona Rossa del millennio appena morto. L’ultima, ma solo del millennio,
sarebbe stata quella europea di Praga, del 26 e del 28 settembre 1999,
quando invece si tenne la riunione del Fondo Monetario Internazionale
e della Banca Mondiale. Poi a Quebec, in Canada, quando nel corso del
vertice delle Americhe una batteria di catapulte artigianali montate a
tempo record - sotto lo sguardo prima divertito, poi allibito e infine
terrorizzato di poliziotti e cameraman - disintegrò quello che
avevano definito "il Muro della Vergogna", una fitta rete metallica
posta a tutela dei delegati, fino alla guerriglia mitteleuropea di Goteborg,
contro il consiglio dell’Unione Europea, quando in molti videro in quelle
giornate una fatalistica anticipazione di ciò che sarebbe in seguito
accaduto a Genova, al G8 definito "Maledetto" in una recente
pubblicazione audiovisiva de L’Espresso. A Goteborg la Polizia aprì
il fuoco e tre manifestanti rimasero feriti. A Genova il Black Bloc si
compose di militanti provenienti da tutta Europa per innescare quella
spirale culminata nella tragedia di quelle giornate con tante e tali conseguenze
che difficilmente lo Stato e il Movimento si scrolleranno in tempi brevi
dalle proprie spalle le reciproche accuse, di violenza e di complicità.
I Black Blockers arrivarono dalla Germania, la cui Polizia Criminale bollò
con il termine Blocco Nero i movimenti autonomisti che negli anni ’80
del secolo scorso utilizzavano le medesime tattiche, dall’Olanda, dalla
Danimarca e dalla Turchia, ma anche dagli Stati Uniti e dalla Grecia,
questi ultimi considerati oggi i più temerari e pericolosi. Le
forze di sicurezza italiane, mutuando i colleghi germanici, hanno etichettato
in colori le varie anime del Movimento, attribuendo il rosa ai pacifisti
ed agli ambientalisti, il giallo alle Tute Bianche e ad alcuni centri
sociali appartenenti al fronte moderato, il blu a quei centri sociali
vicini all’Autonomia degli anni ’70 e mediamente pericolosi, fino al nero:
sotto quell’etichetta c’è il Black Bloc, il lato oscuro - tanto
per dirla alla George Lucas - di un Movimento Globale assai più
esteso che considera criminale e ingiusta, a torto o a ragione, la gestione
del mondo da parte degli Otto, la prepotenza nel decidere la sorte di
stati e popolazioni appartenenti perlopiù al Terzo Mondo.L’antesignano
di questi giovani imbacuccati come soldati, calzanti anfibi come nella
migliore tradizione dei Naziskin, indossanti felpe nere con cappuccio,
caschi e maschere antigas, guanti antisommossa, bastoni, coltelli e molotov,
è un certo Colin Clyde, un imberbe profeta, "guerrigliero"
anarchico antimperialista dalla testa rasata, appartenente all’omonimo
gruppo da lui stesso fondato proprio nella capitale e quindi nel cuore
dell’imperialismo mondiale, Washington, a due passi dalla Casa Bianca.
Venne arrestato proprio a Seattle e nel paradiso mediatico americano -
dopo la condanna a un anno di libertà vigilata - che la veicolò
via satellite, disse al mondo intero una frase che altri non avevano avuto
il coraggio di dire e che scatenò un pandemonio, fino alla consapevolezza
assunta da parte delle varie intelligence mondiali incaricate di vegliare
sull’ordine costituito, che il ragazzo e i suoi proseliti nelle loro ramificazioni,
più generalmente i nuovi Black Blockers, erano divenuti dalla sera
alla mattina il pericolo pubblico numero uno all’interno della variegata
e in gran parte pacifica compagine del popolo No Global. La frase detta
era: "prima di noi la protesta era terribilmente noiosa", o
qualcosa del genere.Così
sono iniziate le guerriglie urbane, nella strategia generica di distruggere
vetrine e locali di bersagli predefiniti, tra cui banche, sedi di multinazionali
o più genericamente automobili di lusso. A Seattle toccò
alle filiali di Fidelity Investiment, società azionista di maggioranza
della Occidental Petroleum, della Bank of America, della US Bancorp e
di altri istituti di credito accusati di rivestire un ruolo essenziale
nella politica di espansione della repressione globale operata dalle multinazionali,
identificate nelle Old Navy, della Nike, della Levi’s, della Mc Donald,
della Warner Bros o della catena di ristoranti Planet Hollywood, quest’ultima
solo per il semplice fatto di chiamarsi così. Ma alla fine se la
sono presa davvero con tutto ciò che trovavano alla loro portata,
come accaduto in effetti a Genova. Macchine parcheggiate, negozi, palazzi,
istituzioni. Come il carcere, per esempio, definito genericamente un luogo
di tortura, capaci di mescolarsi all’ala pacifista del movimento - che
come vedremo più avanti ripudiano - e forti di un’intelligente
strategia messa a punto da Seattle in poi e consistente nel muoversi in
piccoli gruppi, in grado di indietreggiare repentinamente davanti alle
cariche della polizia e quindi evitando scontri frontali. Una specie di
intelligenza comune li guida durante le proprie incursioni, rendendoli
un’entità fluida, aiutata anche dal fatto che in concomitanza a
vertici, con zone rosse da proteggere, le polizie non si allontanano mai
dal perimetro da difendere. In
alcune circostanze però, come a Seattle, il servizio d’ordine della
manifestazione pacifica, definiti dagli stessi Black Blockers "Peace
Police", Polizia Pacifista, si pose a tutela degli obiettivi da attaccare
isolandoli dal corteo.Questo
atteggiamento di presa di coscienza da parte del variegato movimento No
Global in merito alla pericolosità sociale del Blocco Nero e presumibilmente
alla facile etichettatura dello stesso come espressione del Movimento
in generale, è tornato fortunatamente a imporsi a Firenze, ove
i pochi violenti giunti in città sono stati immediatamente esclusi,
anche in maniera poco ortodossa. Che non corresse buon sangue tra le due
correnti è del resto testimoniato nel medesimo comunicato diramato
dal Black Bloc dopo gli scontri di Seattle, quando a proposito della strategia
pacifista, definita "ovvia e ipocrita" gli anarchici insurrezionalisti
bollarono la Polizia Pacifista come razzista nei confronti di chi, a differenza
loro, "non poteva permettersi di ignorare che la violenza perpetrata
contro la maggior parte della società oppressa e della natura in
nome del diritto di proprietà privata. […] Lo sfondamento
delle vetrine ha coinvolto e ispirato gran parte della comunità
oppressa e sfruttata di Seattle più di quanto ogni altro pupazzo
gigante o costume da tartaruga marina avessero mai potuto fare […]".Ovvio
che dopo Seattle qualcosa è definitivamente cambiato, ovvio che
l’universo No Global è in continua mutazione. Lo spirito di Firenze,
con la sua gigantesca dimostrazione di pacifismo resa possibile dalla
nuova consapevolezza del movimento, ma anche dalla certosina opera compiuta
dalle forze di sicurezza italiane, prime tra tutte la Prefettura e la
Questura del capoluogo toscano, ha in qualche modo isolato i Black Blockers
e la loro intransigente strategia volta all’innalzamento della tensione
generale per giungere allo scopo finale e supremo: la distruzione della
proprietà privata, nel caos più totale.Ovvio
che dovremo mutare le nostre coscienze e comunque cercare di conoscere
almeno i fatti del mondo, se è vero che alla vigilia del Social
Forum di Firenze Città Aperta alcuni giornalisti dimostrarono di
non conoscere la differenza tra un GB ed un Social Forum. Stavolta, infatti,
niente Zona Rossa. |