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Notizie brevi 03/03/2006

Espulsione dello straniero: inapplicabile l’obbligo di avviso di procedimento Cassazione , sez. I penale, sentenza 23.11.2005 n° 44403

La Suprema Corte, con sentenza della Prima sezione n.44403 del 6/12/2005 ha ritenuto inapplicabile ai procedimenti di espulsione del cittadino extracomunitario privo del permesso di soggiorno l’art.7 comma 1 della Legge 241/1990 che regola la partecipazione del cittadino al procedimento amministrativo.
La norma ritenuta inapplicabile stabilisce che “Ove non sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento, l’avvio del procedimento stesso è comunicato, con le modalità previste dall’articolo 8, ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per legge debbono intervenirvi. Ove parimenti non sussistano le ragioni di impedimento predette, qualora da un provvedimento possa derivare un pregiudizio a soggetti individuati o facilmente individuabili, diversi dai suoi diretti destinatari, l’amministrazione è tenuta a fornire loro, con le stesse modalità, notizia dell’inizio del procedimento”.
Sostiene la Corte che, sebbene l’obbligo da parte dell’Amministrazione di comunicare all’interessato l’avvio di procedimento rivesta carattere generale atteso che consente allo stesso di presentare documenti e memorie a propria difesa, nei casi di espulsione dello straniero, non sussista alcun obbligo di avviso di procedimento da parte dell’Amministrazione procedente (la Prefettura) in quanto esso è già regolato da norme che assicurano il rispetto del principio del giusto processo e caratterizzato da esigenze di celerità della procedura.
Afferma la Corte che il rispetto del principio del giusto procedimento amministrativo non può considerarsi un principio assistito in da garanzia di difesa, come stabilito anche dalla Corte Costituzionale nelle sentenze nn.57 e 210 del 1995 in materia di applicazione dell’art.7 della Legge 241 del 1990.
In presenza di procedimenti particolari, come quello di espulsione, si deve escludere che sussista alcun obbligo di avviso all’interessato dell’avvio del procedimento in quanto l’attività interna svolta dall’Autorità amministrativa ha natura prodromica e si concretizza col provvedimento prefettizio soggetto a impugnazione attraverso la quale lo stesso può esercitare in concreto ogni attività necessaria ad assicurare il proprio legittimo diritto di difesa.
Tale orientamento coincide con i rilevanti elementi di novità si riscontrano nel comma 2 dell’articolo 21-octies della legge 241/1990.
La nuova disposizione mira a dare ruolo di precetto giuridico soprattutto alle posizioni giurisprudenziali favorevoli al principio processualistico del “raggiungimento dello scopo”, nonché alle tesi sia dottrinali, sia giurisprudenziali che configurano l’irregolarità quale autonoma fattispecie di “vizio minore” del provvedimento amministrativo (v. Olivieri, L’irregolarità del provvedimento amministrativo, in LexItalia.it).
Di conseguenza, la norma in esame considera non annullabile i provvedimenti amministrativi al ricorrere di due diverse ipotesi di vizio non sostanziale:

1) provvedimento a natura vincolata, adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma;
2) provvedimento, anche non a natura vincolata, per mancata comunicazione dell’avvio del procedi mento, quando in giudizio si dimostri che il contenuto concretamente adottato non è influenzato dall’adempimento all’onere della comunicazione.

Nondimeno va,comunque ribadito che quanto all’obbligo di motivazione del provvedimento, previsto oltre che dall’art. 13 T.U. dall’art. 3 l. 241 / 1990, secondo l’orientamento della Suprema Corte, esso richiede una motivazione che non sia solo apparente ma che contempli una esposizione delle circostanze di fatto che hanno dato luogo all’adozione del provvedimento tale da consentire di comprendere le ragioni dell’espulsione e a quale delle ipotesi previste dalla Legge si sia voluto fare riferimento anche al fine di assicurare, quindi, una adeguata ed efficace difesa dall’interessato in sede giurisdizionale (v. Cass. Sez. I Civ., sent. 6535 del 7.5.2002, Ponych; v. ord. Cass., Sez.I Civ., n. 8513 del 14.6.2002, Gjetay)
In definitiva, sebbene ogni vizio del decreto di espulsione può naturalmente essere fatto valere in sede di ricorso in opposizione al Giudice di Pace del luogo di emissione del provvedimento, l’illegittimità del decreto di espulsione del Prefetto per emissione al di fuori dei casi previsti dalla legge ovvero per emissione nei confronti di persona che non può per una qualche ragione essere espulsa o per difetti formali legati all’assenza di comunicazione delle modalità di sua impugnazione o alla sua mancata traduzione in lingua comprensibile all’interessato (per violazione di legge per difetto di motivazione in ordine alla sussistenza di tutti tali requisiti) rende il decreto emesso disapplicabile nel giudizio di convalida del provvedimento medesimo ovvero di impugnazione secondo i principi generali dell’Ordinamento, estendendo i suoi effetti anche sulla conseguente illegittimità dell’ordine del Questore emesso ex art. 14 comma 5 bis T.U. (v. dello stesso autore, La convalida dell’espulsione amministrativa e l’audizione dello straniero, in Altalex).
La questione appare peraltro risolvibile nel senso opposto con riferimento all’espulsione dello straniero che si sia trattenuto nel territorio dello Stato "quando il permesso è scaduto di validità da più di sessanta giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo" art. 13 comma 5 T.U., caso in cui l’espulsione segue diversa e meno scarna procedura, con intimazione del Prefetto a lasciare il territorio dello Stato entro il termine di 15 giorni e nel quale da un lato vi è certo un procedimento amministrativo vòlto ad accertare il presupposto dell’espulsione e dall’altro non si pongono esigenze particolari di celerità che impediscano il contraddittorio anticipato garantito dall’art. 7 in questione.
In definitiva,il decreto di espulsione amministrativa del Prefetto " motivato, immediatamente esecutivo anche se sottoposto a gravame o impugnativa da parte dell’interessato" , art. 13 3° comma T.U. - per poter divenire efficace deve naturalmente essere stato emesso legittimamente.In primo luogo, deve essere stato emesso in presenza di una delle situazioni di fatto previste dalla legge come legittimanti l’espulsione, e "motivato" per quanto sinteticamente in ordine alla loro sussistenza.
In secondo luogo, il decreto del Prefetto deve essere stato emesso nei confronti di persona riguardo la quale non operi uno dei divieti di espulsione amministrativa previsti dalla legge per ragioni legate alla richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato politico o comunque per ragioni legate al soggetto , alla sua provenienza , alla sua età e condizione personale ; e perché "motivato" per quanto sinteticamente sul punto (art. 19 1° e 2 ° comma T.U.: "in nessun caso può disporsi l’espul sione…verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione"; ex art. 19 2° comma , "non è consentita l’espulsione" amministrativa nei confronti "degli stranieri minori di anni diciotto, salvo il diritto a seguire il genitore o l’affidatario espulsi", degli stranieri in possesso di carta di soggiorno non revocata ex art. 9 per condanna definitiva per i reati di cui all’art. 380 c.p.p o per quelli non colposi di cui all’art. 381 cpp , degli stranieri conviventi con coniuge o con parente entro il quarto grado "di nazionalità italiana", delle donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio cui provvedono e - per effetto di Corte Cost. 376/2000 - di chi sia coniuge di donna in tali condizioni.
Va sottolineato che la legge nell’enunciare che l’espulsione "non è consentita" non pone tali divieti solo con riguardo alla fase esecutiva ed all’ordine del Questore, ma altresì con riguardo alla fase deliberativa della medesima ed al decreto del Prefetto.
Infine, il decreto di espulsione deve essere valido perché contenente l’indicazione delle modalità di sua impugnazione (v. artt.. 13 comma 7 T.U. e art. 3 3° comma 3 prima parte D.P.R. 31.8.1999 n. 394 ripetitivi della generale regola di cui all’art. 3 4° comma l. 7.8.1990 n. 241).
Infine, deve trattarsi di decreto valido perché "sintetizzato" nel suo contenuto ("anche mediante appositi formulari sufficientemente dettagliati") e tradotto "allo straniero che non comprende la lingua italiana" "nella lingua a lui comprensibile" ovvero, "se ciò non è possibile", "in una delle lingue inglese, francese e spagnola", "secondo la preferenza indicata dall’interessato" ; nonché valido perché "motivato" in ordine alle scelte al riguardo adottate.
Il decreto,infatti, dovrà nel caso dare conto in motivazione,con clausole non di stile ma con riferi menti concreti alle fonti dalle quali si è tratto il relativo convincimento, di come si sia accertata la cono scenza della lingua italiana così come di ogni altra situazione connessa alla lingua o alle lingue in cui il provvedimento è stato formato (v. Sentenza Tribunale Roma, VII Sezione Penale, 2/1/2003).
Soltanto in compresenza di tali situazioni di fatto e di motivazione che dia conto in modo effettivo e senza clausole di stile della loro sussistenza l’ordine del Questore di esecuzione del decreto di espulsione del Prefetto potrà dirsi legittimamente emesso secondo il suo modello legale.

(Altalex, 2 marzo 2006. Nota di Mario Pavone)


 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
Sezione I PENALE
Sentenza n. 44403 del 23 novembre 2005 - depositata il 6 dicembre 2005

(Presidente E. Fazzioli, Relatore S. Chieffi)

Fatto

Con sentenza 11/03/2005 la Corte di Appello di Roma confermava la sentenza 28/10/2003, con la quale il Tribunale in sede aveva condannato H. di nazionalità albanese, con le attenuanti generiche e la diminuente per il rito abbreviato, alla pena di mesi tre di arresto con il beneficio della sospensione condizionale della pena siccome dichiarato responsabile del reato previsto dall’art. 14 co. 5 ter D. Lgs. 286/1998 e succ. mod. perché, senza giustificato motivo, si tratteneva nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine di allontanamento impartitogli dal Questore di Roma in data 26/04/2003 e a lui notificato in pari data.

Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso il difensore, il quale, anche con memoria difensiva presentata successivamente, ne ha chiesto l’annullamento, deducendo:

a) la violazione degli artt. 7 e 8 L. 241/1990 sul rilievo che non era stata data comunicazione all’interessato dell’avvio del procedimento amministrativo;

b) la violazione dell’art. 13 comma 7 D. Lgs. 286/1998 e succ. mod. per la mancata traduzione della copia del decreto di espulsione nella lingua conosciuta dall’interessato;

c) la carenza della motivazione del provvedimento di allontanamento dal territorio dello Stato impartito dal Questore.

Motivi della decisione

II ricorso non merita accoglimento.

Quanto al primo motivo, non vi è dubbio che l’obbligo da parte dell’autorità procedente di comunicare l’avvio di una fase conoscitiva e di indagine, previsto dall’art. 7 co. 1 L. 241/1990, che consente all’interessato di presentare memorie e documenti a propria difesa, ha carattere generale ed è, quindi, applicabile alla gran parte dei procedimenti amministrativi. Tuttavia va rilevato che il rispetto del giusto procedimento amministrativo, costituendo un criterio generale di orientamento cui la Pubblica Amministrazione si deve comunque adeguare, non può considerarsi un principio assistito in assoluto da garanzia di difesa (vedi a tal proposito sentenze nn. 57/1995 e 210/1995 della Corte Costituzionale in materia di applicazione dell’art. 7 L. 241/1990). Pertanto in presenza di procedimenti particolari - come quelli diretti alla espulsione di cittadini extracomunitari privi del permesso di soggiorno, che sono regolati da norme che assicurano comunque il rispetto del principio del giusto procedimento e che sono caratterizzati da esigenze di celerità della procedura - si deve escludere che sussista l’obbligo da parte dell’Autorità Amministrativa procedente di dare comunicazione all’interessato dell’avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 L. 241/1990. Infatti nella materia in esame l’onere di dare comunicazione all’interessato dell’avvio del procedimento deve ritenersi escluso, in quanto l’attività interna svolta dall’Autorità Amministrativa ha natura prodromica e si concretizza direttamente con il provvedimento prefettizio, che è soggetto a reclamo a seguito del quale si instaura un procedimento di natura giurisdizionale, ove l’interessato potrà svolgere tutta l’attività necessaria alla propria difesa.

Quanto al secondo motivo relativo alla mancata traduzione del decreto di espulsione nella lingua conosciuta dall’imputato, è sufficiente rilevare che proprio l’art. 13 comma 7 della L. 286/1998 e succ. mod. prevede, nel caso in cui non sia possibile la traduzione del decreto nella lingua conosciuta dallo straniero, che detto provvedimento sia tradotto in lingua inglese, francese o spagnola. Ciò è puntualmente avvenuto, tenuto conto che il decreto è stato tradotto in lingua inglese, ricorrendo l’impossibilità (di cui si da atto nel provvedimento) di reperire un interprete per la traduzione del documento nella lingua conosciuta dall’imputato. Pertanto nel caso di specie non è ravvisabile alcuna violazione della norma citata, tanto più che - come risulta dalla motivazione della sentenza di primo grado richiamata dalla sentenza impugnata - lo stesso ricorrente ha dimostrato di essere pienamente consapevole del contenuto e degli effetti dei provvedimenti di espulsione e di allontanamento a lui notificati.
Quanto al terzo motivo, va rilevato che il Questore ha motivato il provvedimento sull’assunto che non è possibile trattenere lo straniero presso un centro di permanenza temporanea per indisponibilità dei posti. Orbene dal tenore della motivazione appare evidente che nel caso di specie l’ordine di allontanamento del Questore non è frutto di una valutazione arbitraria della pubblica amministrazione, trattandosi invece di scelta necessitata dalla accertata impossibilità oggettiva di trattenere lo straniero presso un centro di permanenza temporanea per l’indisponibilità dei posti. Ne consegue che non vi era necessità di specificare ulteriormente le ragioni di tale scelta a fronte della accertata impossibilità di procedere alla esecuzione del decreto di espulsione secondo le prioritarie modalità stabilite dal primo comma dell’art. 14 legge citata (espulsione immediata con accompagnamento alla frontiera o trattenimento temporaneo dello straniero presso il centro di permanenza).

Del tutto inammissibile deve ritenersi infine la censura relativa alla mancata o illogica valutazione del giustificato motivo addotto dall’imputato, atteso che sul punto la Corte di merito ha svolto una adeguata motivazione non suscettibile di censura in questa sede.
Pertanto, non ravvisandosi vizi logico-giuridici della motivazione, il ricorso deve essere rigettato con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ex art. 616 c.p.p..

P.T.M.

La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Roma 23/11/2005

Il Cancelliere

Il Presidente

DEPOSITATA IN CANCELLERIA 6 DIC 2005

Il Cancelliere


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Venerdì, 03 Marzo 2006
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