Il grande problema legato alle scorte di
petrolio e ancor più all’utilizzo di questo minerale presente (non all’infinito)
in natura, è alquanto rilevante per l’economia nazionale ma anche di ogni
famiglia per due precise ragioni: la prima è che il carburante che usiamo per le
nostre auto è un suo derivato e rappresenta la voce di spesa più alta che il
cittadino italiano sostiene annualmente per far fronte alla necessità di
circolare; la seconda è rappresentata dal fatto che il costo medio annuale per
il carburante è pari ad oltre 1.900 euro per ogni veicolo e ciò significa che
incide sui costi totali dell’automobile per almeno il 49%. ![]() La ragione della crescita del prezzo dei barili di petrolio in questo settore, naturalmente, è dovuta all’incremento delle vendite dei veicoli, che nonostante la recente congiuntura economica mondiale non accenna a diminuire se non a creare maggiore competizione, cioè a selezionare l’offerta a fronte di una immutata domanda. Facendo un’analisi storica della cosiddetta penetrazione dei veicoli nel mondo, emerge come al primo posto vi sono gli Stati Uniti seguiti da tutto il Nord America, mentre al terzo posto troviamo l’Italia con 612 veicoli ogni mille abitanti (da non confondersi con ogni mille patentati!). Poco lontani Taiwan, che nel decennio ‘70/’80 ha fatto registrare il tasso di crescita più alto e la Cina, che si è aggiudicata la palma d’oro nei due bienni successivi e che sta cominciando a dimenticare come si usa la…bicicletta. Proiettando fino al 2020 la penetrazione dei veicoli sulla popolazione residente, emerge che il tasso di crescita più alto sarà sempre detenuto dalla Cina con un incremento medio del 5-6% contro l’1,3% del resto del globo. Nel frattempo, il prezzo della benzina è continuato imperterrito a salire e a non arrestarsi, grazie anche ai Governi nazionali che hanno innalzato negli anni scorsi le tasse sul greggio, far fronte a situazioni di emergenza che richiedevano elevati esborsi economici. Terminata la fase di emergenza, tuttavia, le tasse sono rimaste ed oggi il 65% del prezzo della benzina senza piombo, tanto per essere chiari, è costituito da imposte e tasse quali le accise che da sole rappresentano il 48% dell’intero ammontare fiscale. Ad oggi, sempre per esaminare nel dettaglio il prezzo finale del carburante e sostenere quanto appena illustrato, paghiamo ancora gli aumenti che vennero decisi in occasione della guerra d’Abissinia (1935), per la tragedia del Vajont (1963), il terremoto dell’Irpinia (1980) e gli interventi umanitari in Libano (1983) e Bosnia (1996). Tutte situazioni di emergenza che nel bene o nel male sono state definite da tempo e al di là dei risvolti umani spesso e purtroppo tragici. Ciò che invece sappiamo è quanto sia cresciuto il prezzo della benzina nel corso del tempo e come questo fatto stia creando un forte impatto sull’utilizzo dei veicoli e dunque sui bilanci familiari. Non si spiegherebbe altrimenti come molti automobilisti preferiscano acquistare modelli a trazione alternativa (gas metano e gpl), anche se meno potenti e non disponibili su tutti i veicoli oggi in commercio. Ecco perché non si dovrà agire soltanto su di un maggiore controllo del prezzo del greggio, incentivando nel contempo l’utilizzo di energie più economiche e meno inquinanti, ma anche e soprattutto diminuire ed aggiornare il livello di tassazione oggi diventato insostenibile. Fra le altre cose, è bene sottolinearlo, mai nessuno Governo (indipendentemente dal colore e dallo schieramento politico di appartenenza), ha mai descritto chiaramente ai cittadini come vengono utilizzati i soldi derivanti dalla tassa per il sostentamento della guerra di Abissinia che, salvo una nostra plateale svista, ci risulta terminata da un bel pezzo…! |
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