REPUBBLICA.IT Il solo test del ’palloncino’ non
è sufficiente a dichiarare la responsabilità penale di chi viene trovato alla
guida dell’auto ubriaco Guida in stato di ebbrezza?
L’etilometro non basta
Sentenza choc: il giudice
monocratico Olbia, Vincenzo Cristiano, ha assolto un romano di 22 anni in base
al principio che "la sola prova rappresentata dal dato registrato
dall’etilometro non è sufficiente a dichiarare la responsabilità penale di chi
viene trovato alla guida dell’auto in stato di ebbrezza". Una vera
rivoluzione. Che non mancherà di scatenare feroci polemiche: "è una sentenza pericolosissima", ha infatti
affermato Giordano Biserni, presidente dell’Asaps, l’associazione degli amici e
sostenitori della polizia stradale, all’indomani della sentenza del giudice
monocratico di Olbia, Vincenzo Cristiano, che ha assolto un romano di 22 anni
in base al principio che "la sola prova rappresentata dal dato registrato
dall’etilometro non è sufficiente a dichiarare la responsabilità penale di chi
viene trovato alla guida dell’auto in stato di ebbrezza". Il giovane - ricorda Biserni - aveva un tasso alcolemico
più che doppio del consentito, che l’etilometro aveva accertato pari 1,2 grammi
di alcol per litro di sangue. "Se passa questa linea - scrive l’Asaps - se
non vogliamo nemmeno più l’etilometro e l’accertamento di Pubblici Ufficiali
nell’esercizio delle proprie funzioni, allora per far rispettare la legge cosa
deve servire? Pensiamo al ’giudice di notte’, come in altri paesi del
mondo, dove togati permangono a turno nelle aule a trattare le ’urgenze’, al
quale portare in aula l’indagato e fargli sentire l’alito... ma visto l’andazzo
non ci speriamo molto. E’ più probabile che se l’interpretazione del giudice
venga ripresa anche da altri - e ci auguriamo proprio di no - il responso
finale lo darà l’esame autoptico di chi si schianta in auto, sperando che non
porti con sè all’altro mondo, come invece accade troppo spesso, qualche
innocente". "Non ci rimane dunque che l’esame del sangue -
prosegue Biserni - vorrà dire che intaseremo le corsie dei pronto soccorso,
costringendo i sospetti a lunghe trasferte, i medici a maggior dispendio di
aghi e siringhe, i laboratori di analisi a sempre crescenti ritmi di lavoro,
mentre sulle strade non vigilerà più nessuno. Vorrà dire che dovremo rinunciare
anche ai 180 mila controlli etilometrici all’anno, contro gli 8 milioni della
Francia o i 4/5 milioni della Spagna, paesi che rispetteranno il progetto
europeo di dimezzare la mortalità entro il 2010. Noi no. Noi dobbiamo
rassegnarci a questo teatrino davvero poco serio, di chi arriva a negare
l’evidenza anche in aula. Si, lo diciamo con forza e ce ne assumiamo ogni
responsabilità. Come si può chiudere così l’azione penale, scegliendo di negare
una verità scientifica come quella di una macchina sofisticatissima che
analizza l’alcolemia e che passa i più severi test di omologazione? Come si fa
a sostenere che la prova dell’etilometro è sufficiente al massimo per l’applicazione
delle sanzioni amministrative e non di quelle penali? Come si fa a sostenere che la semplice assunzione di alcol
non determini uno stato di ebbrezza ’dal momento che, a parita’ di quantità
ingerite, le conseguenze sull’equilibrio di chi ne abusa sono diverse da
soggetto a soggetto? La risposta la fornisce proprio il
legale che ha vinto la sua personale battaglia, e che ha detto alla stampa che
quella di ieri "...e’ una sentenza rivoluzionaria perchè consacra una
regola giuridica fondamentale: quella per cui il libero convincimento prevale
sul test scientifico e sulla prova legale. In questo senso se le sanzioni
amministrative devono essere automaticamente applicate quando si supera la
soglia prevista dalla norma, perchè sussista anche il reato di guida in stato
di ebbrezza occorre la prova che l’assunzione, anche oltre misura, di bevande
alcoliche comporti il venir meno dell’equilibrio psico-fisico del soggetto e
che, pertanto, questi si trovi effettivamente in stato di ebrezza". "Per fortuna - conclude la nota - nel nostro
ordinamento non sussiste il principio anglosassone dello ’stare decis’, cioè
del precedente giudiziario vincolante. Ora però chi glielo dice a tutte le
divise che operano giorno e notte sulle strade, rincorrendo, fra mille rischi, violazioni
a pacchi? Ci verrebbe da dire facciamoci una bevuta, tanto...". COMUNICATO STAMPA (Associazione
Europea Familiari e Vittime della Strada) IL PAESE DEI FURBI
Il giudice Vincenzo Cristiano,
di Olbia, ha assolto un automobilista che guidava con alcolemia pari a 1,2 g/l
, sostenendo la tesi che il test con l’etilometro non sarebbe sufficiente
a dichiarare la responsabilità penale di chi viene trovato alla guida
dell’alcol ubriaco (vedi allegato articolo). Perchè sussista il reato
penale, secondo questa pericolosissima sentenza, non basta la
quantificazione dell’alcolemia, ma la valutazione "dell’equilibrio
psico-fisico del soggetto": in questa logica, nemmeno l’esame
del sangue si potrebbe più ritenere sufficiente. Al limite, in
quest’ottica, sarebbe più utile l’esame dei riflessi, con un
martelletto... Le interpretazioni più
originali della legislazione certamente possono dare un momento di
popolarità a qualche giudice e a qualche avvocato, che non si rendono
conto delle conseguenze, in sofferenza umana, di queste loro dotte
elucubrazioni mentali. Nel nostro paese quasi la
metà degli incidenti stradali sono alcolcorrelati. Nel nostro paese già quasi
non si fanno controlli con gli etilometri (centottantamila/anno in Italia, contro i 5 milioni
della Spagna e i quasi nove milioni della Francia). Anche quei pochissimi controlli
rischiano di venire vanificati da sconcertanti sentenze come questa. Di chi muore investito da un
ubriaco, di chi rimane invalido a vita, evidentemente non gliene frega
niente a nessuno, è un problema solo dei familiari, degli amici... E’ più urgente tutelare chi
guida ubriaco, o chi viene spezzato dalla sua criminale incoscienza? Siamo il paese dei furbi. E dei fiori appoggiati agli
alberi, ai bordi delle strade. Carla Mariani Portioli vice Presidente Associazione Europea Familiari e Vittime della Strada - onlus I giovani e l’alcol Un’emergenza
MONDOLFO - Prosegue Alcoladolescenza, una serie di
incontri organizzata dalla Provincia contro il male del bere, l’etilismo, una
dipendenza che si sta diffondendo in maniera allarmante tra i giovani, in
particolare nelle zone interne del territorio. Lunedì 6 marzo alle 21, nella sala Aurora di Mondolfo,
parte il secondo ciclo di conferenze (dopo un primo percorso di riflessione con
gli alunni delle terze medie) questa volta rivolto in particolare a genitori e
insegnanti per lanciare un messaggio che mira alla prevenzione e alla
sensibilizzazione. Dopo il saluto del sindaco e degli amministratori locali, interverranno l’assessore provinciale alle politiche sociali Graziano Ilari e gli operatori dell’associazione Algor di Fano e della Provincia che approfondiranno emergenze e possibili interventi legati al difficile rapporto tra alcol e giovani, l’alienazione della dipendenza, le conseguenze negative sulla salute, i disagi sociali di una vita schiava del bicchiere. LA PROVINCIA DI COMO Allarme cocaina: uso quadruplicato
in appena 5 anni Rapporto Asl sulla droga: incremento del 9% nel 2005 Cresce
anche l’abuso di alcolici: in dodici mesi più 7% Polvere bianca. Sniffata, fumata, inalata o iniettata direttamente in vena. Il mercato comasco della cocaina è sicuramente florido e la diretta conseguenza è impressa nei numeri del rapporto del servizio provinciale dipendenze dell’Asl relativo al 2005 e diffuso in questi giorni. In un anno gli utenti che hanno bussato alla porta del Sert a causa dell’elevato consumo di «neve» sono cresciuti del 37% (dai 164 del 2004 ai 226), ma se si fa un raffronto nell’arco di un quinquennio, ovvero con il 2000, l’aumento percentuale arriva addirittura al 361%. L’eroina, invece, pur restando al primo posto indiscusso delle sostanze che creano dipendenza, si è stabilizzata (1370 casi nel 2004, 1378 nel 2005). E si può finire in cura anche per abuso di cannabinoidi: è successo a 167 comaschi l’anno scorso contro gli 86 dell’anno precedente che, tradotto in parole povere, significa il raddoppio dei casi. Complessivamente i numeri di utenti tossicodipendenti (gravi al punto da chiedere assistenza all’azienda sanitaria locale) sono aumentati del 9% passando da 1.655 a 1800 con l’abbassamento progressivo dell’età dei primi accessi (si inizia anche a 15 anni). L’altra faccia del rapporto dell’Asl riguarda l’alcolismo: complessivamente nel 2005 si sono rivolti alla struttura pubblica per problemi con la bottiglia 339 comaschi, il 7% in più rispetto al 2004 (erano 315). In aumento sensibile è il numero di donne che si ritrovano a non poter più fare a meno dell’alcol (da 77 del 2004 a 87 del 2005 con un aumento del 13%). La percentuale maschile è invece ferma a un più 6%. E il vizio dell’alcol contagia sempre di più i ragazzini con in cura, per la prima volta dal 2000, anche un comasco con meno di 19 anni. Va precisato che si tratta soltanto della punta dell’iceberg, ovvero dei casi arrivati ormai a un punto di difficile gestione a livello familiare e senza l’intervento diretto di specialisti. Il documento rivela, infine, anche come cambia il contenuto di bicchieri e bottiglie di troppo: se l’abuso di birra si è stabilizzato (74 casi nel 2005, 73 nel 2004), aumenta quello di vino (da 210 a 222) e anche quello dei superalcolici (da 28 a 35). Gisella Roncoroni Festa della Renga senza schiuma Migliaia di veronesi hanno rispettato l’ordinanza del sindaco
contro gli spray Il 476° Bacanal si congeda a Parona Venti quintali del
piatto tipico In serata placata una rissa L’ultima manifestazione del carnevale 2006 ha visto
assieme all’insegna della tradizione le maschere del Bacanal e varie autorità
politiche.Il Comitato benefico però chiede il divieto di vendere
alcolici in bottiglia per la prossima edizione di Alessandra Galetto Venti quintali di renga e 28 quintali di polenta: sarà
anche un «mangiar di magro», quello che propone l’ultima festa in odor di
carnevale, appunto la Festa della renga di Parona, ma non c’è dubbio che è con
generosa abbondanza che il piatto tipico ieri è stato preparato e servito:
eppure, nonostante l’abbondanza, nulla di non consumato è rimasto. Sono stati infatti davvero tantissimi i veronesi che hanno
partecipato nel primo pomeriggio alla tradizionale manifestazione che prolunga
per un giorno coriandoli, stelle filanti, insieme a maschere e scherzi,
sforando nel primo giorno di Quaresima: l’unica assente è stata invece la schiuma.
Per questa volta ha valso l’ordinanza firmata dal sindaco Paolo Zanotto che,
preoccupato dei fatti accaduti durante il venerdì gnocolar, quando molti
ragazzini che avevano giocato a spruzzarsi con le bombolette hanno riportato
seri danni agli occhi, ha ritenuto di proibire l’uso e la vendita durante la
manifestazione di ieri. E così è stato. In giro, sulle bancarelle, si vendeva
di tutto, tranne che schiuma: dai sacchetti giganti dei nuovi tipi di
coriandoli (terribili, sono piccolissimi e ti si appiccicano adosso come se
avessero la colla), alle vecchie stelle filanti, dalle mascherine alle
trombette, tornate miracolosamente in auge forse proprio grazie al tracollo
della schiuma. Evidentemente le causticazioni alla cornea unite al nuovo
divieto da infrangere sono parse anche ai più irriducibili un prezzo troppo
alto da pagare per qualche battaglia a schizzi di schiuma, né si sono visti
ragazzini muniti di occhialini protettivi per scongiurare il pericolo senza
rinunciare alle schiumate: il divieto insomma è stato rispettato e la festa ne
ha decisamente guadagnato. A dire le verità, questa chiusura di carnevale senza
schiuma potrebbe essere proprio l’esemplare arrivederci per il prossimo
carnevale, dalla quale conservare il divieto ad una pratica di cui è risultato
chiaro che il carnevale può ben fare a meno. Meno scontato invece che la festa della Renga possa stare
senza vino o birra in bottiglia e senza un eccesso di bancarelle gastronomiche,
secondo quanto avevano auspicato sia il Comitato benefico Festa della Renga che
la seconda circoscrizione. «Avevamo chiesto che durante tutta la festa e non solo la
sera, dalle 21 in poi, come ha stabilito l’ordinanza comunale, non fosse
possibile per bar e bancarelle vendere vino e birra in bottiglia», ha commentato
ieri il presidente del Comitato Mauro Bertani, «ma sono solo i nostri stand,
quelli del Comitato, che distribuiscono le bevande in contenitori di plastica.
Lo avevamo chiesto per una ragione di ordine pubblico, di sicurezza. Comunque
la festa è splendida, ci sono centinaia di persona a conferma che si tratta di
una delle tradizioni più vere e sentite». Impossibile negarlo: la Festa della renga è proprio uno di
quegli appuntamenti di piazza con la più genuina allegria fatta di spontaneità
e del piacere di stare insieme nell’abbondanza. E forse è vero che anche il
piatto tradizionale, un piatto povero ma dal gusto forte e inconfondibile,
esprime il «sapore» e il carattere della festa. Forse anche per questo alcune
presenze (tutte le bancarelle che vendono crepes alla gianduia e alla maionese,
patatine fritte sormontate da salse più o meno terrificanti e pentole per la
casa di almeno penultima generazione) danno l’impressione di essere almeno un
po’ fuori luogo. Ma carnevale è anche questo, un po’ di sorridente e bonaria
indulgenza: la festa riesce bene lo stesso, come non hanno mancato di notare le
autorità intervenute ieri, dal palco allestito in piazza Del porto, dove dopo
il corteo sono salite in sfilata anche le maschere. «Una grande festa con tantissima gente, per una giornata
di semplicità e serenità come di questi tempi non è facile godere», ha detto la
presidente della seconda circoscrizione Lucia Cametti. «Il sindaco è impegnato in consiglio comunale, ma vi porto
il suo saluto», ha spiegato l’assessore Ivan Zerbato. Intanto la Parona, da nove anni impersonata da Gianna Valerio, che ha al suo fianco, in qualità di conte Callisto, proprio suo marito, arriva verso il palco, la gente in strada o affacciata ai balconi applaude, c’è perfino Lilli, una barboncina di 13 anni che sfila a fianco della sua cortigiana indossando un incredibile abitino col simbolo degli Scaligeri perché il suo è il gruppo del Can della Scala, e Paolone sorride ai bambini che vogliono una foto col Papà del gnoco: davvero carnevale se ne va con un bellissimo arrivederci. In serata, per colpa di un gomito alzato più del dovuto, è scoppiata qualche rissa, subito sedata. L’espisodio
scatenato da pesanti avances da parte di alcuni giovani verso una ragazza.
Rotto il vetro di un’Alfa dei carabinieri
Carnevale di Civita: scazzottata
continua
Ancora una volta esplode una violenta rissa dopo la
sfilata dei carri: sei giovani arrestati Il dopo carnevale civitonico è finito nel peggiore dei
modi: sei arresti e una denuncia. Cinque giovani sono finiti in manette con
l’accusa di rissa e resistenza a pubblico ufficiale, uno per spaccio di droga. Quattro delle persone coinvolte nella mega-zuffa che si è
scatenata dopo le 20,30 in piazza Duomo, al termine della sfilata dei carri
allegorici, sono di Civita Castellana. Si tratta di due fratelli di 23 e 24
anni, e di due giovani operai della stessa età. Il quinto è uno studente
residente a Colleferro, trovato in possesso di un coltello. Denunciata anche una
ragazza minorenne, in stato di ebbrezza, anche lei di Civita Castellana, per
danneggiamenti. Infatti, nel momento in cui i giovani sono stati prelevati dai
militari, la donna con un calcio ha sfondato il vetro di un’Alfa dei
carabinieri. Tutti gli arrestati erano ovviamente in preda ai fumi dell’alcool
e avevano partecipato alla sfilata tra le maschere libere. Il sesto arrestato infine, è un civitonico di 26 anni,
senza un lavoro fisso. Dopo una perquisizione gli sono stati trovati addosso
200 grammi di hascisc. La rissa in piazza del Duomo, esplosa all’improvviso,
quando la sfilata era ormai terminata, ha provocato un fuggi fuggi generale tra
i passanti e le persone in maschera e c’è voluto l’impegno massiccio dei
carabinieri per mettere fine al continuo scambio di colpi proibiti tra i
contendenti. I motivi che hanno scatenato la scazzottata? Oltre all’abuso di
alcol, che ha fatto perdere ai giovani il lume della ragione, ci sono forse la
avances che uno dei coinvolti stava facendo in maniera troppo pesante alla
ragazza poi denunciata. Il fatto ha portato alla reazione di uno degli
arrestati, al quale poi si sono aggiunti gli altri. L’episodio non ha interrotto i festeggiamenti dell’ultimo
giorno di carnevale, che è andato avanti con la premiazione dei vincitori in
piazza Matteotti. Ma resta il fatto che quest’anno la manifestazione clou di
Civita Castellana ha fatto registrare un escalation di ubriachi che non ha
avuto precedenti. Per onor di cronaca va segnalato che non era andata meglio
nella notte tra lunedì e martedì nella zona di via San Gratiliano, con decine
di ragazzi avvinazzati e pieni di birra, che ne hanno combinate di tutti i
colori, tanto da far intervenire i carabinieri a più riprese perché chiamati
dagli abitanti della zona esasperati. Nella città delle ceramiche in molti cominciano a
sopportare malvolentieri questa situazione. «E’ arrivato il momento - dicono in
molti - di mettere fine a tutto ciò. Ognuno deve fare la sua parte. A partire
dagli amministratori comunali che non possono fare gli struzzi e debbono
vietare l’uso dell’alcol in questi appuntamenti». U. B. Un marocchino e due ragazzi ostunesi sono stati denunciati
dalla polizia Una rissa tra le maschere
Ostuni, mentre si festeggia per strada il martedì grasso Hanno trasformato la festa del Carnevale in una rissa. Per fortuna circoscritta dall’immediato intervento dei poliziotti del Commissariato. È accaduto l’altra sera a Ostuni. Alla rissa hanno partecipato diverse persone che, approfittando delle maschere che indossavano per il momento non sono state identificate. Sono stati invece individuati e denunciati a piede libero per rissa aggravata, un cittadino marocchino, residente a Ostuni e due ragazzi ostunesi. Tutti e tre hanno pure dovuto fare ricorso alle cure dei medici del Pronto soccorso dell’ospedale ostunese. Il marocchino ne avrà per quindici giorni. Per gli altri due la prognosi è di sette giorni ciascuno. La rissa è divampata verso le 21,30. Erano in corso i festeggiamenti del martedì grasso. Un ventenne marocchino, in stato di ubriachezza, ha un diverbio con S. G., minore ostunese. Di questo battibecco si accorge A. G., fratello maggiore dell’ostunese. Dalle parole si è passati ai fatti. Altri marocchini intervengono a difesa del loro connazionale scatenando la reazione degli amici dei due ostunesi. La festa che si stava svolgendo per le vie di Ostuni rischia di trasformarsi in una rissa generale. Ci ha pensato una pattuglia del Commissariato di polizia, in servizio in zona, ad evitare che si degenerasse. I contendenti si allontanano precipitosamente, lasciando malconcio, per terra, il marocchino. I poliziotti lo hanno portato in ospedale mentre altri agenti si adoperano nelle indagini. E ben presto i due fratelli ostunesi vengono identificati. Mirabella Eclano. Un giovane di 28 anni si è reso protagonista di una zuffa Un giovane di 28 anni si è reso protagonista di una zuffa fin troppo vivace davanti al centro sociale della frazione Passo di Mirabella Eclano ed è finito in carcere per resistenza a pubblico ufficiale. G. P. 28 anni, già in preda ai fumi dell’alcol, si è messo a disturbare un gruppo di amici che stava festeggiando il carnevale. Una parola dietro e l’altra non è servita a persuadere l’agitatore e ad allontanarlo dal locale. Di lì a poco il diverbio è degenerato in lite con chi aveva in un primo tempo tentato di evitare il ricorso alle maniere spicce. Qualcuno ha avvisato i carabinieri della vicina Compagnia di Mirabella Eclano. Sul posto è giunta una pattuglia del nucleo radiomobile. La coppia di carabinieri ha provato a sedare gli animi e a riportare la ma ha avuto come rispota la reazione stizzita del 28enne che ha inveito con una violenza cieca contro uno dei due militari. Alla fine il carabiniere è stato costretto a ricorrere alle cure dei sanitari del pronto soccorso di Ariano irpino. Ne avrà per una decina di giorni. G. P. dopo il trasferimento in caserma, è stato arrestato per resistenza, violenza e oltraggio a pubblico ufficiale, e tradotto presso il carcere del Tricolle. ba.ci. GAZA L’ultimatum a tutti gli stranieri non islamici arriva dall’’Esercito della Jihad per combattere la corruzione’: un mese per lasciare Gaza. In un testo diffuso a Khan Yunes il gruppo fino ad ora sconosciuto scrive: ’I corrotti dovranno al piu’ presto ravvedersi’. Nell’elenco vengono menzionati: gli spacciatori di droga e di alcol, i venditori di video-cassette, film e cd-rom, i gestori di ’case di corruzione’ e di caffe’. ’Colpiremo anche in alto, all’interno della Anp e fuori’, e’ la minaccia. Sassuolo, il quartiere non ne può più Pierpaolo Mulazzi Era quasi inevitabile che la polemica scoppiasse a
Sassuolo, la capitale italiana delle ceramiche, dove lo sviluppo industriale ed
edilizio, con la necessità di manodopera non qualificata richiamano da anni immigrati
prima dall’Italia e poi dell’estero. La comunità nordafricana, in una città da
quasi 50mila abitanti rappresenta oggi una quota considerevole. Naturalmente
trascinandosi dietro problemi di ordine pubblico e di integrazione sfuggiti ad
ogni volontà. Al punto che l’amministrazione comunale di centrosinistra,
guidata dal sindaco Pattuzzi della Margherita, è arrivata ad espropriare in via
Santi un intero palazzo. Pattuglie della polizia prese a bottigliate, sparatorie e
accoltellamenti notturni, sequestri e arresti di spacciatori di droga passavano
quasi per normali, nei mesi scorsi. In città, nella stessa zona, venne anche
chiusa dalla polizia con tanto di inchiesta penale, una scuola coranica, per il
sospetto che i figli minori degli immigrati venissero indotti a frequentarla al
posto della scuola italiana. Un caso che ha preceduto, con meno clamori, quello
analogo a Milano. Ma i problemi sono rimasti tali nell’area di via
Adda-Circonvallazione, dove domenica scorsa il 28enne clandestino è stato
arrestato. E proprio sulla dinamica dell’arresto parla l’avvocato difensore dei
due militari, che afferma: «Il marocchino non è stato picchiato dai
carabinieri, nessuno gli è saltato a piedi pari sul torace e nessuno lo ha
colpito con pugni all’addome. L’analisi delle immagini lo dimostra». Enrico
Aimi, legale dei due carabinieri “immortalati” nella ripresa fatta con un
videofonino durante il concitato arresto è tranquillo. «Oggi, con l’aiuto di due tecnici e di un’adeguata
strumentazione - spiega l’avvocato -, ho potuto ricostruire cos’è davvero
accaduto. Quel filmato non dà l’idea della prospettiva e fa sembrare per
accadute cose che invece non sono successe». Intanto anche la Diocesi prende le parti dei militari e
della tanta gente che si è schierata dalla parte delle forze dell’ordine: “Per
la gente del quartiere il fatto non ha la rilevanza che le immagini e i primi
commenti farebbero supporre. Infatti in quella zona si è venuta a creare una
situazione di degrado insostenibile per la presenza di diversi extracomunitari
in miniappartamenti. Non pochi di loro sono irregolari, e quel che è peggio,
praticano sfacciatamente spaccio di droga. Non sono rari episodi di violenza
tra immigrati; lo scorso anno un marocchino è morto accoltellato da marocchini”
Questo quanto si legge in un articolo del settimanale della diocesi di Reggio
Emilia (in edicola oggi) sull’arresto. “Certo fa sempre male vedere maltrattata
una persona - è il commento del settimanale - anche se si tratta di un
clandestino in preda all’alcol che, pare, brandisce una bottiglia contro le
forze dell’ordine, che già altre volte hanno subito lanci di bottiglie”. Per
questo tra la gente è “subito partita una raccolta di firme a sostegno dei
carabinieri”. “Come stupirsi - prosegue l’articolo - se gli italiani,
potendo, fuggono altrove? Così nascono i ghetti a Milano e anche nella
tranquilla Sassuolo”, è la constatazione del corsivo. Intanto arrivano nuove notizie sul clandestino che, il 19
febbraio, a Sassuolo, era stato in cura presso i servizi psichiatrici e sottoposto
a ricovero coatto e altre volte in passato il suo comportamento era stato
particolarmente violento. Una donna ha raccontato di essere stata percossa
proprio da quell’uomo e presa a colpi di bottiglia. Intanto, mentre si
susseguono le iniziative di solidarietà nei confronti dei carabinieri autori
dell’arresto, un ennesimo episodio di violenza si è verificato nottetempo nel
quartiere Braida di Sassuolo teatro dell’arresto. Due ragazzi extracomunitari
sono stati impallinati al volto da un colpo di fucile esploso dal “casermone”
che ospita immigrati nordafricani spesso coinvolti in spaccio di droga e al
centro di botte e regolamenti di conti sempre più frequenti. Sono stati
medicati al pronto soccorso. Il clima, insomma, resta teso per quella che tanti percepiscono come una nuova resa dei conti. Calci, pugni, braccia che si agitano, gambe che ... Calci, pugni, braccia che si agitano, gambe che
calpestano. Le immagini di quell’immigrato magrebino di Sassuolo, irriducibile
nel suo dimenarsi scomposto, gonfio d’alcool e di rabbia, le immagini dei due
carabinieri che, alla fine della colluttazione, non riuscendo a ridurre
l’energumeno rispondono con la violenza alla sua violenza, resteranno a lungo
nella nostra memoria. Un colpo d’occhio terribile, umiliante da qualsiasi parte
lo si voglia vedere. Saranno le indagini a distinguere, a dividere le
responsabilità, a isolare gli eccessi, a fissare le colpe. (*) Qui, al di là di
ogni considerazione contestuale, è quella breve sequenza di immagini raccolte
con un videotelefonino che interessa. Immagini sfocate e confuse, eppure
decifrabili nel loro dipanarsi, pochi secondi di ripresa al volo, concitata
come la scena (forse fortuitamente, forse attraverso un piccolo “agguato”), poi
immessi abilmente nel sito di un’associazione di giovani musulmani e di lì
sparsi quasi all’istante su ogni video pronto ad accoglierli. In questa breve
sequenza di atti si racchiude il senso di una rivoluzione planetaria. Siamo
già, ma lo saremo presto ancora di più, tutti testimoni oculari di ciò che
avviene, accade, si verifica davanti, sopra e sotto di noi. L’occhio della
“nostra” testimonianza è elettronico, vede e sente, ascolta e registra, diviene
memoria in diretta. Patrimonio immediatamente fruibile, dilatabile: deflagrante.
Quest’occhio è inserito come sensore infallibile, adattabile alla luce e al
buio, manovrabile a piacere nel gioco degli zoom, quasi impercettibile alla
vista. Una microspia autorizzata di cui ciascuno diviene facilmente possessore,
autore, regista, produttore. (...) (*) Nota: in questa triste vicenda ci sono tre colpevoli: chi ha provocato, chi ha esagerato nella reazione e l’alcol. Solo quest’ultimo è eliminabile. Giovane studente in Cassazione, il Comune vince davanti al
Tar GIULIANOVA - Storie di giovani giuliesi, di giudici e di
Tribunali ai vari livelli ed anche di un’altra causa vinta dal Comune. Uno
studente non si fermò all’alt di una pattuglia di carabinieri e continuò per la
sua strada, rientrando a casa. Due ore e mezzo dopo i militari lo
rintracciarono nella sua abitazione e lo sottoposero all’esame dell’etilometro,
che dette esito positivo. Per questo venne denunciato per guida in stato di
ebbrezza e qundi rinviato a giudizio e sottoposto a processo. In primo grado
venne assolto mentre venne condannato in Appello. Adesso il suo caso è
approdato addirittura in Cassazione ed ora si attende la sentenza della Suprema
Corte. (...) F.M. Esce di strada e investe due operai, era positivo
all’etilometro SPOLETO – L’etilometro non ha lasciato scampo
all’automobilista spoletino che, l’altro pomeriggio, a bordo di una Fiat Punto
è uscito di strada in via Martiri della Resistenza terminando la sua corsa
dentro al cantiere del nuovo parcheggio della Spoleto Sfera e ferendo
leggermente due operai che non hanno fatto in tempo a scorgere l’arrivo
dell’auto. Il cinquantunenne, molto conosciuto in città, è stato
denunciato dai vigili urbani per guida in stato di ebbrezza. Immediato il
ritiro della patente di guida. In passato lo stesso personaggio fermato ieri fu protagonista di un altro singolare incidente in Corso Mazzini: a bordo di una bicicletta investì due persone. Anche in quel caso si presume che la sua attenzione fosse alterata dall’alcol. SAN GIORGIO/AUTISTA A GIUDIZIO E’ stato ... ISOLA LIRI/AUTO SFONDA VETRINA In piena notte un ventenne di M.S.G. Campano stava percorrendo a bordo di una Fiat Uno via Po’, a Isola Liri, quando giunto in prossimità dello stop non si è fermato schiantandosi contro la serranda di un negozio. Il ragazzo è rimasto illeso. La sua vettura, una Fiat Uno, ha riportato diversi danni. Anche la serranda è stata danneggiata. L’auto prima di centrare la serranda per poco non è entrata in collisione con un’auto della Polizia . Al ventenne è stata ritirata la patente di guida per stato di ebbrezza. Maltrattamenti tra le mura di casa: il giudice Botteri
condanna un manager a 3 anni e mezzo di reclusione Dieci anni di botte ai famigliari
Avrebbe sottoposto a un regime tormentoso i suoi cari.
Risarcimento da 50 mila euro Per oltre dieci anni e fino al 2003 avrebbe sottoposti i
famigliari a un regime di vita tormentoso, con continue vessazioni psicologiche
e violenze fisiche. È la ricostruzione della vicenda che ha portato alla sbarra
un manager pordenonese. Dopo un articolato iter processuale, la sentenza. Tre
anni e cinque mesi di reclusione, con l’interdizione dai pubblici uffici per 5
anni: questa la pena che il giudice Patrizia Botteri (sconto di un terzo per il
rito abbreviato), ha inflitto a un manager pordenonese, 45 anni, che risiede in
Provincia. L’uomo, assistito dall’avvocato Maurizio Mazzarella, era chiamato a
rispondere delle ipotesi d’accusa di maltrattamenti in famiglia, violenza
privata e lesioni personali. L’avvocato difensore ha già presentato Appello.
Nel processo si sono costituiti parte civile i famigliari dell’indagato, che
sono stati assistiti dall’avvocato Esmeralda Di Risio. Sono stati risarciti con
una provvisionale immediatamente esecutiva di 50 mila euro (più dieci mila euro
per le spese di costituzione). Agghiaccianti - da quanto emerso nel procedimento penale
avviato grazie alla puntuale ricostruzione dei fatti da parte dell’avvocato Di
Risio - i fatti emersi in aula. I 5 componenti della famiglia - secondo
l’accusa sostenuta dal pm Annita Sorti (sostituita in udienza dal collega
Francesco Giannone) - sarebbero stati maltrattati, ripetutamente picchiati e
costretti a vivere in una condizione di perenne paura da parte di un
padre-padrone, trasformato in una sorte di carnefice dall’alcol. Cinque persone
- si è appreso - non avrebbero potuto vivere serenamente, incontrare gli amici,
dedicarsi agli hobby abituali perché i i cambi d’umore del
"padre-padrone" - sempre da quanto emerso dalle indagini - potevano
significare botte, minacce e insulti, con pesanti ripercussioni psicologiche
che hanno costretto due minori a farsi assistere da un medico. Nel processo è
emerso che a un componente della famiglia - come ricostruito da perizie
psichiatriche e testimonianze - l’indagato ruppe un braccio, procurandogli
ripetutamente ecchimosi in varie parti del corpo. Gli altri famigliari - per
l’accusa - sarebbero stati costretti a non uscire di casa per la vergogna,
visto che avevano il viso tumefatto. Terribili le violenze psicologiche che -
per l’accusa - avrebbero più volte colpito negli affetti più cari e angosciato
i famigliari. Il procedimento penale, avviato dopo una denuncia per mancato pagamento degli alimenti, ha visto il giudice Eugenio Pergola rifiutare il patteggiamento a 2 anni di reclusione, pena sospesa, proposto dall’avvocato Mazzarella. L’indagato, che nel frattempo aveva scontato tre mesi di custodia cautelare, non era riuscito a mantenere la parola e seguire un programma di disintossicazione dall’alcol. Poi il processo e la condanna del giudice Botteri, a fronte di una richiesta di 24 mesi da parte della Procura e all’assoluzione (con minimo della pena per i maltrattamenti) proposta dalla difesa. SI ACCASCIA PER STRADA E NESSUNO LO AIUTA
Si è accasciato a terra, forse in preda a un attacco
cardiaco. Per alcuni, interminabili minuti, nessuno l’ha soccorso, se non un vigile
che passava per caso. Gli altri, di corsa per raggiungere il percorso dei
carri, lo hanno ignorato, tranne due signore che hanno chiamato il Suem 118 e,
seppur inascoltate, hanno cercato aiuto nei passanti. Il fatto è avvenuto
martedì nel primo pomeriggio in viale IV novembre. Un ragazzo di circa 20 anni,
che si stava dirigendo in città, improvvisamente è caduto a terra, privo di
sensi. A venirgli in soccorso, per prime, Anna e Rosanna, che passavano di lì.
"Il ragazzo non respirava - racconta Rosanna - aveva i denti serrati e non
era cosciente. Abbiamo chiamato l’ambulanza e fermato qualche passante che
potesse rianimarlo mentre aspettavamo i medici. E abbiamo avuto le prime
risposte a cui non volevamo credere". Due trevigiani di mezza età, che
alle richieste di aiuto hanno risposto: "Questo è un cocktail di droga e
whisky", procedendo nella loro camminata verso il Carnevale in piazza. Poi
un gruppo di adolescenti delle scuole superiori: "Meglio che muoia una
persona così". Finalmente è arrivato un agente della polizia municipale,
che ha tentato una rianimazione fino all’arrivo dell’ambulanza. "Attorno a
quel ragazzo esanime a terra si era formato un crocchio di gente - continua
Rosanna - nessuno però aiutava, nessuno si chinava su di lui. Ma la cosa peggiore
sono state le parole di disprezzo e di scherno che la gente gli rivolgeva. Se
ci pareva incredibile la diffidenza degli adulti verso quello che credevano un
tossicodipendente, le parole di quegli adolescenti sono state addirittura
peggiori". Tanto che Anna e Rosanna li hanno anche rimproverati. "Non
sappiamo cosa è stato di quel ragazzo dopo che è arrivato in ospedale, ma dai
trevigiani ci aspettavamo più solidarietà. Forse nessuno sapeva fare un
massaggio cardiaco, tra tutti coloro che si sono fermati a vedere: non sapevamo
farlo nemmeno noi. Ma sono le risposte ad averci deluso. Quel ragazzo era là
per terra a denti stretti senza respirare. E’ stato pazzesco sentirgli
affibbiare del tossico o dell’alcolista e soprattutto sentirgli augurare la
morte da ragazzini". S.M. Spari al campo, non fu tentato omicidio La corte d’appello di Trento cancella l’ipotesi omicida di NICOLA GUARNIERI Bambini colorati, mamme, genitori,
ragazzi e adulti a tratti tesi, alcuni con la pelle annerita dal sole. Sguardi
fieri ma preoccupati, chiacchiericci rari e sempre sottovoce e nessuna
interferenza con l’udienza. Ieri mattina, nell’aula della corte d’appello di
Trento, si sono trovati tutti gli abitanti del campo nomadi dei Lavini. Tutti,
compresa la famiglia Cari, quella che, in teoria, ha mandato in carcere i due
esponenti dei rivali Karis. Gli zingari, in questo caso di etnia sinta, sono
così: capaci di grandi litigi, capaci di menarsi per una questione di principio
anche piccola ma poi pronti ad aiutarsi, a sostenersi, finanche a mettere mano
al portafoglio per una colletta che copra le spese legali di chi, in quel
momento, si trova nei guai. E non importa da che parta stia, è sempre un sinto
che ha bisogno di aiuto. Ieri c’era da rimediare ad una bastonata, dura, secca,
per certi versi inattesa, rimediata nel giugno dello scorso anno. Quel
trambusto generato in una domenica di luglio (precisamente il 25 del 2004),
capace di frantumare la tranquillità sonnacchiosa della città e mettere in
movimento decine e decine di agenti e carabinieri, era costato davvero caro in
termini di pena stabilita dalla giustizia. In primo grado, infatti, è arrivata
una vera e propria mazzata per i protagonisti di una vicenda che ha tirato in
ballo concetti importanti quale l’allarme sociale, sottolineato pure dalla
chiusura della statale del Brennero per alcune ore e da una caccia all’uomo
senza precedenti in Vallagarina. Quel giorno, però, non morì nessuno. La
sparatoria al campo nomadi dei Lavini ha comunque prodotto una prima sentenza
di condanna davvero «esemplare»: 9 e 8 anni di reclusione per Robertino «Ringo»
Maior e Diego «Elvis» Karis. I due fratelli, per altro, si erano costituiti
spontaneamente ma per la procura l’accusa è sempre stata quella di tentato
omicidio, lesioni personali e una serie di reati minori. Per i due zingari,
dunque, un capo d’imputazione corposo ma, soprattutto, pesante. Da ieri,
invece, il futuro di libertà è un orizzonte più vicino: la corte d’appello
presieduta da Tito Garibba, infatti, non ha riconosciuto il tentato omicidio ed
ha quindi condannato entrambi a tre anni e mezzo per violenza privata aggravata
dall’uso della pistola. In primo grado, l’avvocato difensore Nicola Canestrini
aveva provato a far emergere le incongruenze e le assenze di prove certe. Tanto
più che, dopo una sparatoria a distanza ravvicinata durata oltre tre ore, le
vittime dello sfogo dei due fratelli se l’erano cavata senza un graffio. Il
collegio del tribunale, presieduto da Ettore Di Fazio, condannò invece i due
sparatori per l’omicidio tentato sparando contro il camper di Cristian Cari.
Già al termine di quel processo, la mazzata beccata dai due sinti aveva il
sapore di una risposta allo scompiglio sociale, o allarme pubblico che dir si
voglia, che aveva creato il fattaccio. In verità, che tra i Cari e i Karis non
corra buon sangue è risaputo. Di quando in quando, soprattutto dopo feste
bagnate dall’alcol, scoppiano risse ma tutto si ferma lì: né feriti finiti al
pronto soccorso né gente portata in carcere. Quella sparatoria senza armi
sequestrate perché sparite all’arrivo dei carabinieri ha dunque più i connotati
di un avvertimento che di un tentato omicidio reale. Il procuratore generale
Diez, ieri mattina durante il processo d’appello, ha fatto suo quel concetto di
allarme sociale e ci ha infarcito la requisitoria. Chiedendo la conferma delle
pene, ha infatti ricordato che l’opinione pubblica si aspettava un risposta
commisurata ai gravi fatti di quella domenica estiva. Sono zingari, in fin dei
conti, e dunque, questo è parso il concetto, devono imparare a vivere
civilmente. Concetti duri, quelli espressi dalla pubblica accusa, che hanno a
tratti indignato anche i due avvocati difensori Nicola Canestrini e Beniamino
Migliucci. E la difesa, infatti, oltre a ristabilire almeno una parità di
trattamento tra le «etnie» in ballo, ha pure smontato l’accusa più grave.
Secondo i legali, la sentenza di primo grado fa acqua perché non si può
ricondurre tutto al modus vivendi dei sinti che, secondo giudici e magistrati,
si fanno giustizia da soli. E questo ignorando che la telefonata ai
carabinieri, il giorno della sparatoria, era arrivata proprio dal campo
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