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Notizie brevi 03/03/2006

Rassegna stampa alcool e guida del 2 marzo 2006

 REPUBBLICA.IT

Il solo test del ’palloncino’ non è sufficiente a dichiarare la responsabilità penale di chi viene trovato alla guida dell’auto ubriaco

Guida in stato di ebbrezza? L’etilometro non basta

Sentenza choc: il giudice monocratico Olbia, Vincenzo Cristiano, ha assolto un romano di 22 anni in base al principio che "la sola prova rappresentata dal dato registrato dall’etilometro non è sufficiente a dichiarare la responsabilità penale di chi viene trovato alla guida dell’auto in stato di ebbrezza". Una vera rivoluzione. Che non mancherà di scatenare feroci polemiche:

"è una sentenza pericolosissima", ha infatti affermato Giordano Biserni, presidente dell’Asaps, l’associazione degli amici e sostenitori della polizia stradale, all’indomani della sentenza del giudice monocratico di Olbia, Vincenzo Cristiano, che ha assolto un romano di 22 anni in base al principio che "la sola prova rappresentata dal dato registrato dall’etilometro non è sufficiente a dichiarare la responsabilità penale di chi viene trovato alla guida dell’auto in stato di ebbrezza".

Il giovane - ricorda Biserni - aveva un tasso alcolemico più che doppio del consentito, che l’etilometro aveva accertato pari 1,2 grammi di alcol per litro di sangue. "Se passa questa linea - scrive l’Asaps - se non vogliamo nemmeno più l’etilometro e l’accertamento di Pubblici Ufficiali nell’esercizio delle proprie funzioni, allora per far rispettare la legge cosa deve servire?

Pensiamo al ’giudice di notte’, come in altri paesi del mondo, dove togati permangono a turno nelle aule a trattare le ’urgenze’, al quale portare in aula l’indagato e fargli sentire l’alito... ma visto l’andazzo non ci speriamo molto. E’ più probabile che se l’interpretazione del giudice venga ripresa anche da altri - e ci auguriamo proprio di no - il responso finale lo darà l’esame autoptico di chi si schianta in auto, sperando che non porti con sè all’altro mondo, come invece accade troppo spesso, qualche innocente".

"Non ci rimane dunque che l’esame del sangue - prosegue Biserni - vorrà dire che intaseremo le corsie dei pronto soccorso, costringendo i sospetti a lunghe trasferte, i medici a maggior dispendio di aghi e siringhe, i laboratori di analisi a sempre crescenti ritmi di lavoro, mentre sulle strade non vigilerà più nessuno. Vorrà dire che dovremo rinunciare anche ai 180 mila controlli etilometrici all’anno, contro gli 8 milioni della Francia o i 4/5 milioni della Spagna, paesi che rispetteranno il progetto europeo di dimezzare la mortalità entro il 2010. Noi no. Noi dobbiamo rassegnarci a questo teatrino davvero poco serio, di chi arriva a negare l’evidenza anche in aula.

Si, lo diciamo con forza e ce ne assumiamo ogni responsabilità. Come si può chiudere così l’azione penale, scegliendo di negare una verità scientifica come quella di una macchina sofisticatissima che analizza l’alcolemia e che passa i più severi test di omologazione? Come si fa a sostenere che la prova dell’etilometro è sufficiente al massimo per l’applicazione delle sanzioni amministrative e non di quelle penali?

Come si fa a sostenere che la semplice assunzione di alcol non determini uno stato di ebbrezza ’dal momento che, a parita’ di quantità ingerite, le conseguenze sull’equilibrio di chi ne abusa sono diverse da soggetto a soggetto?

La risposta la fornisce proprio il legale che ha vinto la sua personale battaglia, e che ha detto alla stampa che quella di ieri "...e’ una sentenza rivoluzionaria perchè consacra una regola giuridica fondamentale: quella per cui il libero convincimento prevale sul test scientifico e sulla prova legale. In questo senso se le sanzioni amministrative devono essere automaticamente applicate quando si supera la soglia prevista dalla norma, perchè sussista anche il reato di guida in stato di ebbrezza occorre la prova che l’assunzione, anche oltre misura, di bevande alcoliche comporti il venir meno dell’equilibrio psico-fisico del soggetto e che, pertanto, questi si trovi effettivamente in stato di ebrezza".

"Per fortuna - conclude la nota - nel nostro ordinamento non sussiste il principio anglosassone dello ’stare decis’, cioè del precedente giudiziario vincolante. Ora però chi glielo dice a tutte le divise che operano giorno e notte sulle strade, rincorrendo, fra mille rischi, violazioni a pacchi? Ci verrebbe da dire facciamoci una bevuta, tanto...".


COMUNICATO STAMPA (Associazione Europea Familiari e Vittime della Strada)

IL PAESE DEI FURBI

Il giudice Vincenzo Cristiano, di Olbia, ha assolto un automobilista che guidava con alcolemia pari a 1,2 g/l , sostenendo la tesi che il test con l’etilometro non sarebbe sufficiente a dichiarare la responsabilità penale di chi viene trovato alla guida dell’alcol ubriaco (vedi allegato articolo).

Perchè sussista il reato penale, secondo questa pericolosissima sentenza, non basta la quantificazione dell’alcolemia, ma la valutazione "dell’equilibrio psico-fisico del soggetto": in questa logica, nemmeno l’esame del sangue si potrebbe più ritenere sufficiente.

Al limite, in quest’ottica, sarebbe più utile l’esame dei riflessi, con un martelletto...

Le interpretazioni più originali della legislazione certamente possono dare un momento di popolarità a qualche giudice e a qualche avvocato, che non si rendono conto delle conseguenze, in sofferenza umana, di queste loro dotte elucubrazioni mentali.

Nel nostro paese quasi la metà degli incidenti stradali sono alcolcorrelati.

Nel nostro paese già quasi non si fanno controlli con gli etilometri (centottantamila/anno in Italia, contro i 5 milioni della Spagna e i quasi nove milioni della Francia).

Anche quei pochissimi controlli rischiano di venire vanificati da sconcertanti sentenze come questa.

Di chi muore investito da un ubriaco, di chi rimane invalido a vita, evidentemente non gliene frega niente a nessuno, è un problema solo dei familiari, degli amici...

E’ più urgente tutelare chi guida ubriaco, o chi viene spezzato dalla sua criminale incoscienza?

Siamo il paese dei furbi.

E dei fiori appoggiati agli alberi, ai bordi delle strade.

 

Carla Mariani Portioli

vice Presidente Associazione Europea Familiari e Vittime della Strada - onlus


 
CORRIERE ADRIATICO

I giovani e l’alcol Un’emergenza

MONDOLFO - Prosegue Alcoladolescenza, una serie di incontri organizzata dalla Provincia contro il male del bere, l’etilismo, una dipendenza che si sta diffondendo in maniera allarmante tra i giovani, in particolare nelle zone interne del territorio.

Lunedì 6 marzo alle 21, nella sala Aurora di Mondolfo, parte il secondo ciclo di conferenze (dopo un primo percorso di riflessione con gli alunni delle terze medie) questa volta rivolto in particolare a genitori e insegnanti per lanciare un messaggio che mira alla prevenzione e alla sensibilizzazione.

Dopo il saluto del sindaco e degli amministratori locali, interverranno l’assessore provinciale alle politiche sociali Graziano Ilari e gli operatori dell’associazione Algor di Fano e della Provincia che approfondiranno emergenze e possibili interventi legati al difficile rapporto tra alcol e giovani, l’alienazione della dipendenza, le conseguenze negative sulla salute, i disagi sociali di una vita schiava del bicchiere.


 

LA PROVINCIA DI COMO

Allarme cocaina: uso quadruplicato in appena 5 anni Rapporto Asl sulla droga: incremento del 9% nel 2005 Cresce anche l’abuso di alcolici: in dodici mesi più 7%

Polvere bianca. Sniffata, fumata, inalata o iniettata direttamente in vena. Il mercato comasco della cocaina è sicuramente florido e la diretta conseguenza è impressa nei numeri del rapporto del servizio provinciale dipendenze dell’Asl relativo al 2005 e diffuso in questi giorni. In un anno gli utenti che hanno bussato alla porta del Sert a causa dell’elevato consumo di «neve» sono cresciuti del 37% (dai 164 del 2004 ai 226), ma se si fa un raffronto nell’arco di un quinquennio, ovvero con il 2000, l’aumento percentuale arriva addirittura al 361%. L’eroina, invece, pur restando al primo posto indiscusso delle sostanze che creano dipendenza, si è stabilizzata (1370 casi nel 2004, 1378 nel 2005). E si può finire in cura anche per abuso di cannabinoidi: è successo a 167 comaschi l’anno scorso contro gli 86 dell’anno precedente che, tradotto in parole povere, significa il raddoppio dei casi. Complessivamente i numeri di utenti tossicodipendenti (gravi al punto da chiedere assistenza all’azienda sanitaria locale) sono aumentati del 9% passando da 1.655 a 1800 con l’abbassamento progressivo dell’età dei primi accessi (si inizia anche a 15 anni). L’altra faccia del rapporto dell’Asl riguarda l’alcolismo: complessivamente nel 2005 si sono rivolti alla struttura pubblica per problemi con la bottiglia 339 comaschi, il 7% in più rispetto al 2004 (erano 315). In aumento sensibile è il numero di donne che si ritrovano a non poter più fare a meno dell’alcol (da 77 del 2004 a 87 del 2005 con un aumento del 13%). La percentuale maschile è invece ferma a un più 6%. E il vizio dell’alcol contagia sempre di più i ragazzini con in cura, per la prima volta dal 2000, anche un comasco con meno di 19 anni. Va precisato che si tratta soltanto della punta dell’iceberg, ovvero dei casi arrivati ormai a un punto di difficile gestione a livello familiare e senza l’intervento diretto di specialisti. Il documento rivela, infine, anche come cambia il contenuto di bicchieri e bottiglie di troppo: se l’abuso di birra si è stabilizzato (74 casi nel 2005, 73 nel 2004), aumenta quello di vino (da 210 a 222) e anche quello dei superalcolici (da 28 a 35). Gisella Roncoroni


 
L’ARENA

Festa della Renga senza schiuma

Migliaia di veronesi hanno rispettato l’ordinanza del sindaco contro gli spray

Il 476° Bacanal si congeda a Parona Venti quintali del piatto tipico In serata placata una rissa

L’ultima manifestazione del carnevale 2006 ha visto assieme all’insegna della tradizione le maschere del Bacanal e varie autorità politiche.Il Comitato benefico però chiede il divieto di vendere alcolici in bottiglia per la prossima edizione

di Alessandra Galetto

Venti quintali di renga e 28 quintali di polenta: sarà anche un «mangiar di magro», quello che propone l’ultima festa in odor di carnevale, appunto la Festa della renga di Parona, ma non c’è dubbio che è con generosa abbondanza che il piatto tipico ieri è stato preparato e servito: eppure, nonostante l’abbondanza, nulla di non consumato è rimasto.

Sono stati infatti davvero tantissimi i veronesi che hanno partecipato nel primo pomeriggio alla tradizionale manifestazione che prolunga per un giorno coriandoli, stelle filanti, insieme a maschere e scherzi, sforando nel primo giorno di Quaresima: l’unica assente è stata invece la schiuma. Per questa volta ha valso l’ordinanza firmata dal sindaco Paolo Zanotto che, preoccupato dei fatti accaduti durante il venerdì gnocolar, quando molti ragazzini che avevano giocato a spruzzarsi con le bombolette hanno riportato seri danni agli occhi, ha ritenuto di proibire l’uso e la vendita durante la manifestazione di ieri. E così è stato. In giro, sulle bancarelle, si vendeva di tutto, tranne che schiuma: dai sacchetti giganti dei nuovi tipi di coriandoli (terribili, sono piccolissimi e ti si appiccicano adosso come se avessero la colla), alle vecchie stelle filanti, dalle mascherine alle trombette, tornate miracolosamente in auge forse proprio grazie al tracollo della schiuma. Evidentemente le causticazioni alla cornea unite al nuovo divieto da infrangere sono parse anche ai più irriducibili un prezzo troppo alto da pagare per qualche battaglia a schizzi di schiuma, né si sono visti ragazzini muniti di occhialini protettivi per scongiurare il pericolo senza rinunciare alle schiumate: il divieto insomma è stato rispettato e la festa ne ha decisamente guadagnato. A dire le verità, questa chiusura di carnevale senza schiuma potrebbe essere proprio l’esemplare arrivederci per il prossimo carnevale, dalla quale conservare il divieto ad una pratica di cui è risultato chiaro che il carnevale può ben fare a meno.

Meno scontato invece che la festa della Renga possa stare senza vino o birra in bottiglia e senza un eccesso di bancarelle gastronomiche, secondo quanto avevano auspicato sia il Comitato benefico Festa della Renga che la seconda circoscrizione.

«Avevamo chiesto che durante tutta la festa e non solo la sera, dalle 21 in poi, come ha stabilito l’ordinanza comunale, non fosse possibile per bar e bancarelle vendere vino e birra in bottiglia», ha commentato ieri il presidente del Comitato Mauro Bertani, «ma sono solo i nostri stand, quelli del Comitato, che distribuiscono le bevande in contenitori di plastica. Lo avevamo chiesto per una ragione di ordine pubblico, di sicurezza. Comunque la festa è splendida, ci sono centinaia di persona a conferma che si tratta di una delle tradizioni più vere e sentite».

Impossibile negarlo: la Festa della renga è proprio uno di quegli appuntamenti di piazza con la più genuina allegria fatta di spontaneità e del piacere di stare insieme nell’abbondanza. E forse è vero che anche il piatto tradizionale, un piatto povero ma dal gusto forte e inconfondibile, esprime il «sapore» e il carattere della festa. Forse anche per questo alcune presenze (tutte le bancarelle che vendono crepes alla gianduia e alla maionese, patatine fritte sormontate da salse più o meno terrificanti e pentole per la casa di almeno penultima generazione) danno l’impressione di essere almeno un po’ fuori luogo. Ma carnevale è anche questo, un po’ di sorridente e bonaria indulgenza: la festa riesce bene lo stesso, come non hanno mancato di notare le autorità intervenute ieri, dal palco allestito in piazza Del porto, dove dopo il corteo sono salite in sfilata anche le maschere.

«Una grande festa con tantissima gente, per una giornata di semplicità e serenità come di questi tempi non è facile godere», ha detto la presidente della seconda circoscrizione Lucia Cametti.

«Il sindaco è impegnato in consiglio comunale, ma vi porto il suo saluto», ha spiegato l’assessore Ivan Zerbato.

Intanto la Parona, da nove anni impersonata da Gianna Valerio, che ha al suo fianco, in qualità di conte Callisto, proprio suo marito, arriva verso il palco, la gente in strada o affacciata ai balconi applaude, c’è perfino Lilli, una barboncina di 13 anni che sfila a fianco della sua cortigiana indossando un incredibile abitino col simbolo degli Scaligeri perché il suo è il gruppo del Can della Scala, e Paolone sorride ai bambini che vogliono una foto col Papà del gnoco: davvero carnevale se ne va con un bellissimo arrivederci. In serata, per colpa di un gomito alzato più del dovuto, è scoppiata qualche rissa, subito sedata.


 
IL MESSAGGERO (CIVITAVECCHIA)

L’espisodio scatenato da pesanti avances da parte di alcuni giovani verso una ragazza. Rotto il vetro di un’Alfa dei carabinieri 

Carnevale di Civita: scazzottata continua 

Ancora una volta esplode una violenta rissa dopo la sfilata dei carri: sei giovani arrestati 

Il dopo carnevale civitonico è finito nel peggiore dei modi: sei arresti e una denuncia. Cinque giovani sono finiti in manette con l’accusa di rissa e resistenza a pubblico ufficiale, uno per spaccio di droga.

Quattro delle persone coinvolte nella mega-zuffa che si è scatenata dopo le 20,30 in piazza Duomo, al termine della sfilata dei carri allegorici, sono di Civita Castellana. Si tratta di due fratelli di 23 e 24 anni, e di due giovani operai della stessa età. Il quinto è uno studente residente a Colleferro, trovato in possesso di un coltello. Denunciata anche una ragazza minorenne, in stato di ebbrezza, anche lei di Civita Castellana, per danneggiamenti. Infatti, nel momento in cui i giovani sono stati prelevati dai militari, la donna con un calcio ha sfondato il vetro di un’Alfa dei carabinieri. Tutti gli arrestati erano ovviamente in preda ai fumi dell’alcool e avevano partecipato alla sfilata tra le maschere libere.

Il sesto arrestato infine, è un civitonico di 26 anni, senza un lavoro fisso. Dopo una perquisizione gli sono stati trovati addosso 200 grammi di hascisc.

La rissa in piazza del Duomo, esplosa all’improvviso, quando la sfilata era ormai terminata, ha provocato un fuggi fuggi generale tra i passanti e le persone in maschera e c’è voluto l’impegno massiccio dei carabinieri per mettere fine al continuo scambio di colpi proibiti tra i contendenti. I motivi che hanno scatenato la scazzottata? Oltre all’abuso di alcol, che ha fatto perdere ai giovani il lume della ragione, ci sono forse la avances che uno dei coinvolti stava facendo in maniera troppo pesante alla ragazza poi denunciata. Il fatto ha portato alla reazione di uno degli arrestati, al quale poi si sono aggiunti gli altri.

L’episodio non ha interrotto i festeggiamenti dell’ultimo giorno di carnevale, che è andato avanti con la premiazione dei vincitori in piazza Matteotti. Ma resta il fatto che quest’anno la manifestazione clou di Civita Castellana ha fatto registrare un escalation di ubriachi che non ha avuto precedenti. Per onor di cronaca va segnalato che non era andata meglio nella notte tra lunedì e martedì nella zona di via San Gratiliano, con decine di ragazzi avvinazzati e pieni di birra, che ne hanno combinate di tutti i colori, tanto da far intervenire i carabinieri a più riprese perché chiamati dagli abitanti della zona esasperati.

Nella città delle ceramiche in molti cominciano a sopportare malvolentieri questa situazione. «E’ arrivato il momento - dicono in molti - di mettere fine a tutto ciò. Ognuno deve fare la sua parte. A partire dagli amministratori comunali che non possono fare gli struzzi e debbono vietare l’uso dell’alcol in questi appuntamenti».

U. B.


 
LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO (BRINDISI)

Un marocchino e due ragazzi ostunesi sono stati denunciati dalla polizia 

Una rissa tra le maschere

Ostuni, mentre si festeggia per strada il martedì grasso

Hanno trasformato la festa del Carnevale in una rissa. Per fortuna circoscritta dall’immediato intervento dei poliziotti del Commissariato. È accaduto l’altra sera a Ostuni. Alla rissa hanno partecipato diverse persone che, approfittando delle maschere che indossavano per il momento non sono state identificate. Sono stati invece individuati e denunciati a piede libero per rissa aggravata, un cittadino marocchino, residente a Ostuni e due ragazzi ostunesi. Tutti e tre hanno pure dovuto fare ricorso alle cure dei medici del Pronto soccorso dell’ospedale ostunese. Il marocchino ne avrà per quindici giorni. Per gli altri due la prognosi è di sette giorni ciascuno. La rissa è divampata verso le 21,30. Erano in corso i festeggiamenti del martedì grasso. Un ventenne marocchino, in stato di ubriachezza, ha un diverbio con S. G., minore ostunese. Di questo battibecco si accorge A. G., fratello maggiore dell’ostunese. Dalle parole si è passati ai fatti. Altri marocchini intervengono a difesa del loro connazionale scatenando la reazione degli amici dei due ostunesi. La festa che si stava svolgendo per le vie di Ostuni rischia di trasformarsi in una rissa generale. Ci ha pensato una pattuglia del Commissariato di polizia, in servizio in zona, ad evitare che si degenerasse. I contendenti si allontanano precipitosamente, lasciando malconcio, per terra, il marocchino. I poliziotti lo hanno portato in ospedale mentre altri agenti si adoperano nelle indagini. E ben presto i due fratelli ostunesi vengono identificati.


 
IL MATTINO (AVELLINO)

Mirabella Eclano.

Un giovane di 28 anni si è reso protagonista di una zuffa

Un giovane di 28 anni si è reso protagonista di una zuffa fin troppo vivace davanti al centro sociale della frazione Passo di Mirabella Eclano ed è finito in carcere per resistenza a pubblico ufficiale. G. P. 28 anni, già in preda ai fumi dell’alcol, si è messo a disturbare un gruppo di amici che stava festeggiando il carnevale. Una parola dietro e l’altra non è servita a persuadere l’agitatore e ad allontanarlo dal locale. Di lì a poco il diverbio è degenerato in lite con chi aveva in un primo tempo tentato di evitare il ricorso alle maniere spicce. Qualcuno ha avvisato i carabinieri della vicina Compagnia di Mirabella Eclano. Sul posto è giunta una pattuglia del nucleo radiomobile. La coppia di carabinieri ha provato a sedare gli animi e a riportare la ma ha avuto come rispota la reazione stizzita del 28enne che ha inveito con una violenza cieca contro uno dei due militari. Alla fine il carabiniere è stato costretto a ricorrere alle cure dei sanitari del pronto soccorso di Ariano irpino. Ne avrà per una decina di giorni. G. P. dopo il trasferimento in caserma, è stato arrestato per resistenza, violenza e oltraggio a pubblico ufficiale, e tradotto presso il carcere del Tricolle. ba.ci.


 
VIRGILIO NOTIZIE

GAZA

L’ultimatum a tutti gli stranieri non islamici arriva dall’’Esercito della Jihad per combattere la corruzione’: un mese per lasciare Gaza. In un testo diffuso a Khan Yunes il gruppo fino ad ora sconosciuto scrive: ’I corrotti dovranno al piu’ presto ravvedersi’. Nell’elenco vengono menzionati: gli spacciatori di droga e di alcol, i venditori di video-cassette, film e cd-rom, i gestori di ’case di corruzione’ e di caffe’. ’Colpiremo anche in alto, all’interno della Anp e fuori’, e’ la minaccia.


 
L’avvocato dei due militari smentisce le violenze

Sassuolo, il quartiere non ne può più
Sparatorie, accoltellamenti e spacciatori, aggressioni alle forze dell’ordine sono quotidiani

Pierpaolo Mulazzi

Era quasi inevitabile che la polemica scoppiasse a Sassuolo, la capitale italiana delle ceramiche, dove lo sviluppo industriale ed edilizio, con la necessità di manodopera non qualificata richiamano da anni immigrati prima dall’Italia e poi dell’estero. La comunità nordafricana, in una città da quasi 50mila abitanti rappresenta oggi una quota considerevole. Naturalmente trascinandosi dietro problemi di ordine pubblico e di integrazione sfuggiti ad ogni volontà. Al punto che l’amministrazione comunale di centrosinistra, guidata dal sindaco Pattuzzi della Margherita, è arrivata ad espropriare in via Santi un intero palazzo.

Pattuglie della polizia prese a bottigliate, sparatorie e accoltellamenti notturni, sequestri e arresti di spacciatori di droga passavano quasi per normali, nei mesi scorsi. In città, nella stessa zona, venne anche chiusa dalla polizia con tanto di inchiesta penale, una scuola coranica, per il sospetto che i figli minori degli immigrati venissero indotti a frequentarla al posto della scuola italiana. Un caso che ha preceduto, con meno clamori, quello analogo a Milano. Ma i problemi sono rimasti tali nell’area di via Adda-Circonvallazione, dove domenica scorsa il 28enne clandestino è stato arrestato. E proprio sulla dinamica dell’arresto parla l’avvocato difensore dei due militari, che afferma: «Il marocchino non è stato picchiato dai carabinieri, nessuno gli è saltato a piedi pari sul torace e nessuno lo ha colpito con pugni all’addome. L’analisi delle immagini lo dimostra». Enrico Aimi, legale dei due carabinieri “immortalati” nella ripresa fatta con un videofonino durante il concitato arresto è tranquillo.

«Oggi, con l’aiuto di due tecnici e di un’adeguata strumentazione - spiega l’avvocato -, ho potuto ricostruire cos’è davvero accaduto. Quel filmato non dà l’idea della prospettiva e fa sembrare per accadute cose che invece non sono successe».

Intanto anche la Diocesi prende le parti dei militari e della tanta gente che si è schierata dalla parte delle forze dell’ordine: “Per la gente del quartiere il fatto non ha la rilevanza che le immagini e i primi commenti farebbero supporre. Infatti in quella zona si è venuta a creare una situazione di degrado insostenibile per la presenza di diversi extracomunitari in miniappartamenti. Non pochi di loro sono irregolari, e quel che è peggio, praticano sfacciatamente spaccio di droga. Non sono rari episodi di violenza tra immigrati; lo scorso anno un marocchino è morto accoltellato da marocchini” Questo quanto si legge in un articolo del settimanale della diocesi di Reggio Emilia (in edicola oggi) sull’arresto. “Certo fa sempre male vedere maltrattata una persona - è il commento del settimanale - anche se si tratta di un clandestino in preda all’alcol che, pare, brandisce una bottiglia contro le forze dell’ordine, che già altre volte hanno subito lanci di bottiglie”. Per questo tra la gente è “subito partita una raccolta di firme a sostegno dei carabinieri”.

“Come stupirsi - prosegue l’articolo - se gli italiani, potendo, fuggono altrove? Così nascono i ghetti a Milano e anche nella tranquilla Sassuolo”, è la constatazione del corsivo.

Intanto arrivano nuove notizie sul clandestino che, il 19 febbraio, a Sassuolo, era stato in cura presso i servizi psichiatrici e sottoposto a ricovero coatto e altre volte in passato il suo comportamento era stato particolarmente violento. Una donna ha raccontato di essere stata percossa proprio da quell’uomo e presa a colpi di bottiglia. Intanto, mentre si susseguono le iniziative di solidarietà nei confronti dei carabinieri autori dell’arresto, un ennesimo episodio di violenza si è verificato nottetempo nel quartiere Braida di Sassuolo teatro dell’arresto. Due ragazzi extracomunitari sono stati impallinati al volto da un colpo di fucile esploso dal “casermone” che ospita immigrati nordafricani spesso coinvolti in spaccio di droga e al centro di botte e regolamenti di conti sempre più frequenti. Sono stati medicati al pronto soccorso.

Il clima, insomma, resta teso per quella che tanti percepiscono come una nuova resa dei conti.


 
IL MESSAGGERO

Calci, pugni, braccia che si agitano, gambe che ...  

Calci, pugni, braccia che si agitano, gambe che calpestano. Le immagini di quell’immigrato magrebino di Sassuolo, irriducibile nel suo dimenarsi scomposto, gonfio d’alcool e di rabbia, le immagini dei due carabinieri che, alla fine della colluttazione, non riuscendo a ridurre l’energumeno rispondono con la violenza alla sua violenza, resteranno a lungo nella nostra memoria. Un colpo d’occhio terribile, umiliante da qualsiasi parte lo si voglia vedere. Saranno le indagini a distinguere, a dividere le responsabilità, a isolare gli eccessi, a fissare le colpe. (*) Qui, al di là di ogni considerazione contestuale, è quella breve sequenza di immagini raccolte con un videotelefonino che interessa. Immagini sfocate e confuse, eppure decifrabili nel loro dipanarsi, pochi secondi di ripresa al volo, concitata come la scena (forse fortuitamente, forse attraverso un piccolo “agguato”), poi immessi abilmente nel sito di un’associazione di giovani musulmani e di lì sparsi quasi all’istante su ogni video pronto ad accoglierli. In questa breve sequenza di atti si racchiude il senso di una rivoluzione planetaria. Siamo già, ma lo saremo presto ancora di più, tutti testimoni oculari di ciò che avviene, accade, si verifica davanti, sopra e sotto di noi. L’occhio della “nostra” testimonianza è elettronico, vede e sente, ascolta e registra, diviene memoria in diretta. Patrimonio immediatamente fruibile, dilatabile: deflagrante. Quest’occhio è inserito come sensore infallibile, adattabile alla luce e al buio, manovrabile a piacere nel gioco degli zoom, quasi impercettibile alla vista. Una microspia autorizzata di cui ciascuno diviene facilmente possessore, autore, regista, produttore. (...)

 

(*) Nota: in questa triste vicenda ci sono tre colpevoli: chi ha provocato, chi ha esagerato nella reazione e l’alcol. Solo quest’ultimo è eliminabile.


 
IL MESSAGGERO (ABRUZZO)

Giovane studente in Cassazione, il Comune vince davanti al Tar 

GIULIANOVA - Storie di giovani giuliesi, di giudici e di Tribunali ai vari livelli ed anche di un’altra causa vinta dal Comune. Uno studente non si fermò all’alt di una pattuglia di carabinieri e continuò per la sua strada, rientrando a casa. Due ore e mezzo dopo i militari lo rintracciarono nella sua abitazione e lo sottoposero all’esame dell’etilometro, che dette esito positivo. Per questo venne denunciato per guida in stato di ebbrezza e qundi rinviato a giudizio e sottoposto a processo. In primo grado venne assolto mentre venne condannato in Appello. Adesso il suo caso è approdato addirittura in Cassazione ed ora si attende la sentenza della Suprema Corte. (...)

F.M.


 
IL MESSAGGERO (UMBRIA)

Esce di strada e investe due operai, era positivo all’etilometro  

SPOLETO – L’etilometro non ha lasciato scampo all’automobilista spoletino che, l’altro pomeriggio, a bordo di una Fiat Punto è uscito di strada in via Martiri della Resistenza terminando la sua corsa dentro al cantiere del nuovo parcheggio della Spoleto Sfera e ferendo leggermente due operai che non hanno fatto in tempo a scorgere l’arrivo dell’auto.

Il cinquantunenne, molto conosciuto in città, è stato denunciato dai vigili urbani per guida in stato di ebbrezza. Immediato il ritiro della patente di guida.

In passato lo stesso personaggio fermato ieri fu protagonista di un altro singolare incidente in Corso Mazzini: a bordo di una bicicletta investì due persone. Anche in quel caso si presume che la sua attenzione fosse alterata dall’alcol.


 
IL MESSAGGERO LATINA

SAN GIORGIO/AUTISTA A GIUDIZIO E’ stato ... 

ISOLA LIRI/AUTO SFONDA VETRINA

In piena notte un ventenne di M.S.G. Campano stava percorrendo a bordo di una Fiat Uno via Po’, a Isola Liri, quando giunto in prossimità dello stop non si è fermato schiantandosi contro la serranda di un negozio. Il ragazzo è rimasto illeso. La sua vettura, una Fiat Uno, ha riportato diversi danni. Anche la serranda è stata danneggiata. L’auto prima di centrare la serranda per poco non è entrata in collisione con un’auto della Polizia . Al ventenne è stata ritirata la patente di guida per stato di ebbrezza.


 
IL GAZZETTINO (PN)

Maltrattamenti tra le mura di casa: il giudice Botteri condanna un manager a 3 anni e mezzo di reclusione

Dieci anni di botte ai famigliari

Avrebbe sottoposto a un regime tormentoso i suoi cari. Risarcimento da 50 mila euro

Per oltre dieci anni e fino al 2003 avrebbe sottoposti i famigliari a un regime di vita tormentoso, con continue vessazioni psicologiche e violenze fisiche. È la ricostruzione della vicenda che ha portato alla sbarra un manager pordenonese. Dopo un articolato iter processuale, la sentenza. Tre anni e cinque mesi di reclusione, con l’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni: questa la pena che il giudice Patrizia Botteri (sconto di un terzo per il rito abbreviato), ha inflitto a un manager pordenonese, 45 anni, che risiede in Provincia. L’uomo, assistito dall’avvocato Maurizio Mazzarella, era chiamato a rispondere delle ipotesi d’accusa di maltrattamenti in famiglia, violenza privata e lesioni personali. L’avvocato difensore ha già presentato Appello. Nel processo si sono costituiti parte civile i famigliari dell’indagato, che sono stati assistiti dall’avvocato Esmeralda Di Risio. Sono stati risarciti con una provvisionale immediatamente esecutiva di 50 mila euro (più dieci mila euro per le spese di costituzione).

Agghiaccianti - da quanto emerso nel procedimento penale avviato grazie alla puntuale ricostruzione dei fatti da parte dell’avvocato Di Risio - i fatti emersi in aula. I 5 componenti della famiglia - secondo l’accusa sostenuta dal pm Annita Sorti (sostituita in udienza dal collega Francesco Giannone) - sarebbero stati maltrattati, ripetutamente picchiati e costretti a vivere in una condizione di perenne paura da parte di un padre-padrone, trasformato in una sorte di carnefice dall’alcol. Cinque persone - si è appreso - non avrebbero potuto vivere serenamente, incontrare gli amici, dedicarsi agli hobby abituali perché i i cambi d’umore del "padre-padrone" - sempre da quanto emerso dalle indagini - potevano significare botte, minacce e insulti, con pesanti ripercussioni psicologiche che hanno costretto due minori a farsi assistere da un medico. Nel processo è emerso che a un componente della famiglia - come ricostruito da perizie psichiatriche e testimonianze - l’indagato ruppe un braccio, procurandogli ripetutamente ecchimosi in varie parti del corpo. Gli altri famigliari - per l’accusa - sarebbero stati costretti a non uscire di casa per la vergogna, visto che avevano il viso tumefatto. Terribili le violenze psicologiche che - per l’accusa - avrebbero più volte colpito negli affetti più cari e angosciato i famigliari.

Il procedimento penale, avviato dopo una denuncia per mancato pagamento degli alimenti, ha visto il giudice Eugenio Pergola rifiutare il patteggiamento a 2 anni di reclusione, pena sospesa, proposto dall’avvocato Mazzarella. L’indagato, che nel frattempo aveva scontato tre mesi di custodia cautelare, non era riuscito a mantenere la parola e seguire un programma di disintossicazione dall’alcol. Poi il processo e la condanna del giudice Botteri, a fronte di una richiesta di 24 mesi da parte della Procura e all’assoluzione (con minimo della pena per i maltrattamenti) proposta dalla difesa.


 
IL GAZZETTINO (TV)

SI ACCASCIA PER STRADA E NESSUNO LO AIUTA

Si è accasciato a terra, forse in preda a un attacco cardiaco. Per alcuni, interminabili minuti, nessuno l’ha soccorso, se non un vigile che passava per caso. Gli altri, di corsa per raggiungere il percorso dei carri, lo hanno ignorato, tranne due signore che hanno chiamato il Suem 118 e, seppur inascoltate, hanno cercato aiuto nei passanti. Il fatto è avvenuto martedì nel primo pomeriggio in viale IV novembre. Un ragazzo di circa 20 anni, che si stava dirigendo in città, improvvisamente è caduto a terra, privo di sensi. A venirgli in soccorso, per prime, Anna e Rosanna, che passavano di lì. "Il ragazzo non respirava - racconta Rosanna - aveva i denti serrati e non era cosciente. Abbiamo chiamato l’ambulanza e fermato qualche passante che potesse rianimarlo mentre aspettavamo i medici. E abbiamo avuto le prime risposte a cui non volevamo credere". Due trevigiani di mezza età, che alle richieste di aiuto hanno risposto: "Questo è un cocktail di droga e whisky", procedendo nella loro camminata verso il Carnevale in piazza. Poi un gruppo di adolescenti delle scuole superiori: "Meglio che muoia una persona così". Finalmente è arrivato un agente della polizia municipale, che ha tentato una rianimazione fino all’arrivo dell’ambulanza. "Attorno a quel ragazzo esanime a terra si era formato un crocchio di gente - continua Rosanna - nessuno però aiutava, nessuno si chinava su di lui. Ma la cosa peggiore sono state le parole di disprezzo e di scherno che la gente gli rivolgeva. Se ci pareva incredibile la diffidenza degli adulti verso quello che credevano un tossicodipendente, le parole di quegli adolescenti sono state addirittura peggiori". Tanto che Anna e Rosanna li hanno anche rimproverati. "Non sappiamo cosa è stato di quel ragazzo dopo che è arrivato in ospedale, ma dai trevigiani ci aspettavamo più solidarietà. Forse nessuno sapeva fare un massaggio cardiaco, tra tutti coloro che si sono fermati a vedere: non sapevamo farlo nemmeno noi. Ma sono le risposte ad averci deluso. Quel ragazzo era là per terra a denti stretti senza respirare. E’ stato pazzesco sentirgli affibbiare del tossico o dell’alcolista e soprattutto sentirgli augurare la morte da ragazzini".

S.M.


 
L’ADIGE

Spari al campo, non fu tentato omicidio

La corte d’appello di Trento cancella l’ipotesi omicida

di NICOLA GUARNIERI Bambini colorati, mamme, genitori, ragazzi e adulti a tratti tesi, alcuni con la pelle annerita dal sole. Sguardi fieri ma preoccupati, chiacchiericci rari e sempre sottovoce e nessuna interferenza con l’udienza. Ieri mattina, nell’aula della corte d’appello di Trento, si sono trovati tutti gli abitanti del campo nomadi dei Lavini. Tutti, compresa la famiglia Cari, quella che, in teoria, ha mandato in carcere i due esponenti dei rivali Karis. Gli zingari, in questo caso di etnia sinta, sono così: capaci di grandi litigi, capaci di menarsi per una questione di principio anche piccola ma poi pronti ad aiutarsi, a sostenersi, finanche a mettere mano al portafoglio per una colletta che copra le spese legali di chi, in quel momento, si trova nei guai. E non importa da che parta stia, è sempre un sinto che ha bisogno di aiuto. Ieri c’era da rimediare ad una bastonata, dura, secca, per certi versi inattesa, rimediata nel giugno dello scorso anno. Quel trambusto generato in una domenica di luglio (precisamente il 25 del 2004), capace di frantumare la tranquillità sonnacchiosa della città e mettere in movimento decine e decine di agenti e carabinieri, era costato davvero caro in termini di pena stabilita dalla giustizia. In primo grado, infatti, è arrivata una vera e propria mazzata per i protagonisti di una vicenda che ha tirato in ballo concetti importanti quale l’allarme sociale, sottolineato pure dalla chiusura della statale del Brennero per alcune ore e da una caccia all’uomo senza precedenti in Vallagarina. Quel giorno, però, non morì nessuno. La sparatoria al campo nomadi dei Lavini ha comunque prodotto una prima sentenza di condanna davvero «esemplare»: 9 e 8 anni di reclusione per Robertino «Ringo» Maior e Diego «Elvis» Karis. I due fratelli, per altro, si erano costituiti spontaneamente ma per la procura l’accusa è sempre stata quella di tentato omicidio, lesioni personali e una serie di reati minori. Per i due zingari, dunque, un capo d’imputazione corposo ma, soprattutto, pesante. Da ieri, invece, il futuro di libertà è un orizzonte più vicino: la corte d’appello presieduta da Tito Garibba, infatti, non ha riconosciuto il tentato omicidio ed ha quindi condannato entrambi a tre anni e mezzo per violenza privata aggravata dall’uso della pistola. In primo grado, l’avvocato difensore Nicola Canestrini aveva provato a far emergere le incongruenze e le assenze di prove certe. Tanto più che, dopo una sparatoria a distanza ravvicinata durata oltre tre ore, le vittime dello sfogo dei due fratelli se l’erano cavata senza un graffio. Il collegio del tribunale, presieduto da Ettore Di Fazio, condannò invece i due sparatori per l’omicidio tentato sparando contro il camper di Cristian Cari. Già al termine di quel processo, la mazzata beccata dai due sinti aveva il sapore di una risposta allo scompiglio sociale, o allarme pubblico che dir si voglia, che aveva creato il fattaccio. In verità, che tra i Cari e i Karis non corra buon sangue è risaputo. Di quando in quando, soprattutto dopo feste bagnate dall’alcol, scoppiano risse ma tutto si ferma lì: né feriti finiti al pronto soccorso né gente portata in carcere. Quella sparatoria senza armi sequestrate perché sparite all’arrivo dei carabinieri ha dunque più i connotati di un avvertimento che di un tentato omicidio reale. Il procuratore generale Diez, ieri mattina durante il processo d’appello, ha fatto suo quel concetto di allarme sociale e ci ha infarcito la requisitoria. Chiedendo la conferma delle pene, ha infatti ricordato che l’opinione pubblica si aspettava un risposta commisurata ai gravi fatti di quella domenica estiva. Sono zingari, in fin dei conti, e dunque, questo è parso il concetto, devono imparare a vivere civilmente. Concetti duri, quelli espressi dalla pubblica accusa, che hanno a tratti indignato anche i due avvocati difensori Nicola Canestrini e Beniamino Migliucci. E la difesa, infatti, oltre a ristabilire almeno una parità di trattamento tra le «etnie» in ballo, ha pure smontato l’accusa più grave. Secondo i legali, la sentenza di primo grado fa acqua perché non si può ricondurre tutto al modus vivendi dei sinti che, secondo giudici e magistrati, si fanno giustizia da soli. E questo ignorando che la telefonata ai carabinieri, il giorno della sparatoria, era arrivata proprio dal campo

Venerdì, 03 Marzo 2006
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