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Articoli 27/01/2003

Non si corre sulle strisce pedonali

La Cassazione: il comportamento pericoloso della vittima esclude il diritto al risarcimento

Non si corre sulle strisce pedonali 
La Cassazione: il comportamento pericoloso della vittima esclude il diritto al risarcimento

 
di Ugo Terracciano*

Vietato attraversare sulle strisce pedonali di corsa. Non per il rischio di vedersi appioppare la multa, ci mancherebbe, ma perché in caso di incidente non spetterà nessun risarcimento al pedone. A sfatare il mito dell’intangibilità del pedone, soprattutto quando attraversa la strada sui passaggi pedonali segnalati con la zebratura sull’asfalto, è stata la Corte di Cassazione (Sezione III, Sentenza 18 ottobre 2001, n. 12751) non riconoscendo alcun diritto al risarcimento del danno alla persona che, attraversando di corsa la strada, ha provocato un incidente rimanendo, come si suole dire, vittima di sé stessa. Insomma, per l’alta Corte, non è affatto vero che il pedone è sempre l’utente della strada più debole poiché, col suo comportamento, può essere lui a mettere a repentaglio la sicurezza dell’automobilista. Detta così sembra un paradosso, invece, dopo i canonici tre gradi di giudizio, un automobilista che aveva investito un pedone sulle strisce, se l’è cavata senza sborsargli nemmeno un euro di risarcimento. Del resto, pagare pegno malgrado una guida esemplare, al limite di quella che si pratica all’esame per la patente, aver rispettato tutti i segnali, tenuto una velocità da corteo funebre, osservata ogni cautela per evitare problemi a sé stessi e agli altri, sarebbe stata una punizione, più che per la condotta, per la semplice appartenenza alla categoria dell’automobilista ancorché scevro da censure di sorta. Invece, in questo caso abbiamo un raro esempio, nel caotico traffico delle nostre città, dell’incarnazione del principio informatore della circolazione, contenuto nell’articolo 140 del codice della strada che recita: "gli utenti della strada devono comportarsi in modo da non costituire pericolo o intralcio per la circolazione stradale ed in modo che sia in ogni caso salvaguardata la sicurezza stradale". L’auto procedeva ai trentacinque o quaranta chilometri orari, sul marciapiede non c’era nessuno, nessun motivo consigliava al conducente di rallentare ulteriormente nell’approssimarsi all’attraversamento segnalato. Proprio quando il paraurti anteriore stava per tagliare la linea della zebratura, però, sbuca fuori una persona di corsa che si lancia nell’attraversamento della carreggiata senza controllare le condizioni del traffico. L’impatto è istantaneo, né avrebbe potuto essere evitato con una manovra di fortuna. D’accordo che poteva fare più attenzione, ma il pedone è sempre il pedone: utente debole che, in quanto tale, pretende di essere risarcito per la semplice constatazione di preponderanza e la assoluta presunzione di vantaggio del veicolo a motore in quanto tale rispetto a chi procede a piedi. D’altra parte questa vittimizzazione del pedone — spesso più che fondata — rappresenta un’idea più che diffusa nel comune sentire. Una garanzia, anzi, idealizzata oltremaniera, se minimamente teniamo conto che l’articolo 140 si applica all’automobilista come al pedone. Sì perché la norma non parla restrittivamente di conducenti, ma in senso più ampio di utenti, abbracciando attorno al principio della sicurezza stradale tutti i fruitori di un bene pubblico — la strada, appunto - essenziale per la realizzazione del diritto costituzionalmente garantito alla libera circolazione. Il punto sul quale è intervenuta la Corte, però, è un altro, e verte in modo specifico sull’applicazione delle regole del codice civile in tema di danni nella circolazione stradale. Per l’articolo 2054 del codice civile spetta al conducente che ha provocato l’incidente dimostrare che non ne ha colpa, avendo osservato tutte le regole del codice della strada ed i criteri più generali di prudenza e sicurezza. Si tratta di una deroga al principio secondo cui è il danneggiato a dover provare in giudizio la colpa di chi gli ha arrecato il danno. In sostanza, contrariamente alla generale regola, si presume sempre la responsabilità di chi guida (o di entrambi i conducenti), salvo che non si scagioni con quella che in senso tecnico si dice prova liberatoria. Ora, la Cassazione, nella sentenza 12751 introduce una specificazione non affatto di secondo momento: è vero che l’automobilista deve munirsi della prova che lo liberi da responsabilità — sostiene la Corte - ma questa prova non deve necessariamente essere fornita in modo diretto. Quando risulta dagli accertamenti che il comportamento della vittima sia stato determinante nel provocare il sinistro, l’automobilista non dovrà provare un bel niente. Nel caso di specie, se l’imprevedibile comparsa del pedone sulla propria traiettoria di marcia ha reso inevitabile l’evento dannoso, tenuto conto della breve distanza di avvistamento, se non c’era la velocità pericolosa e non si rendeva possibile, nelle circostanze concrete, nessuna possibilità di tentare manovre di fortuna, nessun giudice deve attendere la prova diretta della diligenza da parte del conducente (Cass. 2.12.1986, n. 7113 e Cass. 16.6.1993, n. 6707). Il pedone, quindi, non ha ragione per statuto anche se, a suo vantaggio, gioca una presunzione di colpa del guidatore: quest’ultimo, infatti, non dovrà risarcire il danno se dagli accertamenti sul sinistro emerga chiara la responsabilità della vittima la quale attraversando pericolosamente la strada ha peraltro impedito ogni possibilità di evitare l’investimento (Cass. 27.4.1990, n. 3554). Si giunge a pretendere (Cass. 30.8.1984, n. 4737) che per evitare il danno l’automobilista metta in atto manovre acrobatiche modello Munari, che si cimenti in queste manovre con la massima perizia e diligenza ma, se non c’è tempo e spazio per abbozzare anche il minimo colpo di sterzo, quale rimprovero si potrebbe muovere al conducente? Chi guida deve fare attenzione quando sorpassa un tram alla fermata perché un passeggero potrebbe attraversare la strada sbucando all’improvviso (Cass. 20.7 1993, n. 8066). Non ha ragione anche se prova che il pedone ha attraversato col semaforo rosso, perché anche in questo caso deve dimostrare che il soggetto, debitamente avvistato, non avesse fatto intuire, con nessun gesto, l’intenzione di attraversare seppure abusivamente (Cass. 7.7.1994, n. 6395). E’ tenuto a procedere a velocità ancora più moderata quando in prossimità dell’attraversamento sia collocato un ostacolo (tipo un camion o un cartello pubblicitario). Deve fare tutto questo, però non si può pretendere una superdiligenza tale da prevedere ciò che non è possibile ipotizzare. L’automobilista, cioè, non deve dimostrare di aver tenuto una prudenza eccezionale, essendo sufficiente provare di avere osservato tutte le cautele dell’uomo di normale diligenza (Cass. 17.2.1987, n. 1724). Ecco il valore dell’ultima decisione della Cassazione: oggetto della prova liberatoria diviene allora, non la condotta del conducente come improntata a criteri di particolare diligenza e prudenza, quanto il collegamento causale con l’evento dannoso. In sostanza la responsabilità del conducente viene esclusa ogni volta che si accerti che l’investimento del pedone era imprevedibile ed inevitabile anche se la vittima attraversava sulle strisce pedonali (vedi anche Cass. 2.12.1986, n. 7113; Cass. 14.2.1987, n. 1633; Cass. 13.5.1987, n. 4370; Cass. 16.6.1993, n. 6707; Cass. 29.7.1993, n. 8451; Cass. 2.12.1993, n. 11928; Cass. 7.8.2000, n. 10352). Cade il mito delle strisce pedonali, zona franca per il pedone utente debole della strada. Non correte sui passaggi pedonali, invertirete una regola del vangelo stradale per la quale il mezzo più grosso è sempre sospetto in quanto potrebbe abusare della propria preponderanza fisica ignorando i diritti del più debole. Quando attraversate, occhio ai "limiti di velocità": nessuno è più forte — quando si decide sul risarcimento del danno - del pedone tartaruga. 

* Funzionario della Polizia di Stato - Comandante della P.M. di Forlì



di Ugo Terracciano

da "Il Centauro" n. 73
Lunedì, 27 Gennaio 2003
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