Uno dei fenomeni dilaganti nell’universo criminale che
affligge la nostra società è la prostituzione. Da quando, nel 1958, sono state
abolite le cosiddette “case chiuse”, lo sfruttamento della prostituzione si
svolge in massima parte sulla strada, di notte, sulle vie più trafficate
(circonvallazioni, automare, grandi arterie di collegamento come, ad esempio,
la via Emilia), ad opera di gruppi organizzati che, per poter convivere fra
loro e operare senza scontrarsi, hanno bisogno di una pax reciproca, e
quindi di spartirsi il territorio. Cioè, di spartirsi la strada.
Soprattutto da
quando è caduto il Muro di Berlino e le frontiere a Est si sono aperte, lo
sfruttamento della prostituzione ha registrato un impulso vertiginoso. Bande di
extracomunitari hanno trovato uno sbocco fertile nell’occupazione sic et simpliciter di un bene alla
portata di tutti, disponibile, tangibile, appunto la strada, ove piazzare le
ragazze che essi stessi fanno arrivare dai posti più disparati e smistano con
frequenze mirate al ricambio continuo per evitare che la stessa persona sia
colpita da uno o più provvedimenti di espulsione. Si tratta, comunque, di
attività tipiche non solo di albanesi, rumeni, slavi in genere, ma di un
mercato che abbraccia anche altri paesi e altri continenti (Africa e
Sudamerica, soprattutto). Senza contare, poi, la sopravvivenza dei lenoni italiani. Dato comune a questo fenomeno, come dicevamo, è l’uso
della strada pubblica, la sua “conquista”, la sua “invasione”. Ovvio, lo
sfruttamento della prostituzione si svolge anche con modalità più sofisticate,
in bordelli clandestini, in circoli all’apparenza privati dove, ufficialmente,
si dànno solo spettacolini a base di lap-dance, in case di appuntamenti per
pochi e collaudati clienti. La strada, però, resta sempre un’opportunità di
massa, a costo zero, per tanti che non hanno soldi da spendere ad allestire
un’organizzazione “strutturale”. A questo punto, è bene ribadire, per il lenone che offre
servizi sulla strada, diventa fondamentale l’acquisizione di zone di pertinenza
propria, ossia di “proprietà”. Il fatto che una piazzola sia o no “mia”.
Sono questi i termini con cui, normalmente, gli sfruttatori si disputano e si
dividono le “piazzole”, bene preziosissimo per l’esercizio della
prostituzione, vere e proprie vetrine dove la merce viene esposta e altresì
fungono da box o da stand (tanto per prendere in prestito definizioni dal mondo
delle corse o delle fiere), dove le prostitute stazionano in attesa di compiere
un altro “giro”. Nei dialoghi intercettati fra, costantemente, si constata
che le piazzole sono trattate come oggetti di proprietà personale, intangibili,
non usurpabili, che all’occorrenza possono anche essere cedute dietro compenso
adeguato per far stazionare una ragazza controllata da un altro sfruttatore
professionista, o anche per essere cedute integralmente per una o più sere.
Frequenti sono anche i casi di intimidazioni, atti di violenza e spedizioni
punitive contro chi osi contravvenire a questi possessi consolidati. Vi è, quindi, un’appropriazione consapevole e sistematica
di un suolo pubblico a fini tutt’altro che pubblici, e tutt’altro che leciti. Quali potrebbero essere, allora, le conseguenze giuridiche
di questo specifico versante illecito, a prescindere da quanto si può
altrimenti contestare in ordine allo sfruttamento della prostituzione in sé? L’art. 633 del codice penale (“invasione di terreni o
edifici”) prevede che sia punito con la reclusione fino a due anni o con la
multa da euro 103,00 a euro 1.032,00 “chiunque invade arbitrariamente terreni o
edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti
profitto”.
E’ incontestabile che in questo caso ci troviamo di fronte
all’occupazione abusiva e continuata di suolo pubblico, strada e piazzole e
aree di sosta, a comportamenti “uti
dominus”, per uno scopo di profitto.La Suprema Corte ha chiarito che, perché si realizzi
l’occupazione rilevante ai sensi dell’art. 633 del codice penale, è sufficiente
che essa non sia momentanea, che sia protratta per lungo tempo e abbia per
scopo altre utilità. Si può dire, quindi, che queste situazioni rispecchino in
pieno la previsione penale.Ovviamente, in questo caso ci troviamo di fronte a
un’occupazione “arbitraria” in re ipsa, in quanto priva di una
legittimazione conferita da una qualsiasi norma giuridica o da un’autorizzazione
amministrativa. Si tratta, inoltre, di una condotta che assume connotati anche
spinti, per non dire eccessivi. Chi occupa piazzole e aree di sosta per
praticare lo sfruttamento della prostituzione si arroga uno “ius excludendi”, ed è incline a usare
anche la forza fisica per mantenere queste posizioni acquisite. Ossia, non è
estraneo all’impiego, al bisogno, di una violenza fisica soverchiante (quasi
una “polizia privata”). Questi sono i fondamenti elementari, semplicissimi, su cui
si potrebbe fondare un’imputazione ai sensi dell’art. 633 cp nei confronti di
lenoni. Sembra che ricorrano, davvero, tutti i fattori integrativi della
fattispecie. Certo, si potrebbe obiettare che questi uomini e le loro
donne, in fin dei conti, stazionano su un’area pubblica, come potrebbero fare
tutti, e che alla vista di una volante della Polizia o di una gazzella dei
Carabinieri si dileguano, segno che, poi, non sono tanto consapevoli di poter
stare in quel posto. Ma provate voi, normali cittadini, in abiti civili, a fermarvi
in una di quelle piazzole, senza una divisa, senza mostrare di voler usufruire
del servizio che lì viene offerto, ma con la pretesa di star a fare
qualcos’altro di innocente e perfettamente lecito (non dico un pic-nic con
quattro sedie e un tavolino smontabile, ma anche una semplice telefonata al
cellulare). Vi accorgerete che è molto, molto rischioso...
Gip presso il Tribunale di Forlì
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