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Articoli 15/03/2006

PROSTITUZIONE E OCCUPAZIONE ABUSIVA DI SUOLO PUBBLICO

Uno dei fenomeni dilaganti nell’universo criminale che affligge la nostra società è la prostituzione. Da quando, nel 1958, sono state abolite le cosiddette “case chiuse”, lo sfruttamento della prostituzione si svolge in massima parte sulla strada, di notte, sulle vie più trafficate (circonvallazioni, automare, grandi arterie di collegamento come, ad esempio, la via Emilia), ad opera di gruppi organizzati che, per poter convivere fra loro e operare senza scontrarsi, hanno bisogno di una pax reciproca, e quindi di spartirsi il territorio. Cioè, di spartirsi la strada.


Soprattutto da quando è caduto il Muro di Berlino e le frontiere a Est si sono aperte, lo sfruttamento della prostituzione ha registrato un impulso vertiginoso. Bande di extracomunitari hanno trovato uno sbocco fertile nell’occupazione sic et simpliciter di un bene alla portata di tutti, disponibile, tangibile, appunto la strada, ove piazzare le ragazze che essi stessi fanno arrivare dai posti più disparati e smistano con frequenze mirate al ricambio continuo per evitare che la stessa persona sia colpita da uno o più provvedimenti di espulsione. Si tratta, comunque, di attività tipiche non solo di albanesi, rumeni, slavi in genere, ma di un mercato che abbraccia anche altri paesi e altri continenti (Africa e Sudamerica, soprattutto).
Senza contare, poi, la sopravvivenza dei lenoni italiani.
Dato comune a questo fenomeno, come dicevamo, è l’uso della strada pubblica, la sua “conquista”, la sua “invasione”. Ovvio, lo sfruttamento della prostituzione si svolge anche con modalità più sofisticate, in bordelli clandestini, in circoli all’apparenza privati dove, ufficialmente, si dànno solo spettacolini a base di lap-dance, in case di appuntamenti per pochi e collaudati clienti. La strada, però, resta sempre un’opportunità di massa, a costo zero, per tanti che non hanno soldi da spendere ad allestire un’organizzazione “strutturale”.
A questo punto, è bene ribadire, per il lenone che offre servizi sulla strada, diventa fondamentale l’acquisizione di zone di pertinenza propria, ossia di “proprietà”. Il fatto che una piazzola sia o no “mia”. Sono questi i termini con cui, normalmente, gli sfruttatori si disputano e si dividono le “piazzole”, bene preziosissimo per l’esercizio della prostituzione, vere e proprie vetrine dove la merce viene esposta e altresì fungono da box o da stand (tanto per prendere in prestito definizioni dal mondo delle corse o delle fiere), dove le prostitute stazionano in attesa di compiere un altro “giro”.
Nei dialoghi intercettati fra, costantemente, si constata che le piazzole sono trattate come oggetti di proprietà personale, intangibili, non usurpabili, che all’occorrenza possono anche essere cedute dietro compenso adeguato per far stazionare una ragazza controllata da un altro sfruttatore professionista, o anche per essere cedute integralmente per una o più sere. Frequenti sono anche i casi di intimidazioni, atti di violenza e spedizioni punitive contro chi osi contravvenire a questi possessi consolidati.
Vi è, quindi, un’appropriazione consapevole e sistematica di un suolo pubblico a fini tutt’altro che pubblici, e tutt’altro che leciti. 
Quali potrebbero essere, allora, le conseguenze giuridiche di questo specifico versante illecito, a prescindere da quanto si può altrimenti contestare in ordine allo sfruttamento della prostituzione in sé?
L’art. 633 del codice penale (“invasione di terreni o edifici”) prevede che sia punito con la reclusione fino a due anni o con la multa da euro 103,00 a euro 1.032,00 “chiunque invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto”.

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E’ incontestabile che in questo caso ci troviamo di fronte all’occupazione abusiva e continuata di suolo pubblico, strada e piazzole e aree di sosta, a comportamenti “uti dominus”, per uno scopo di profitto.La Suprema Corte ha chiarito che, perché si realizzi l’occupazione rilevante ai sensi dell’art. 633 del codice penale, è sufficiente che essa non sia momentanea, che sia protratta per lungo tempo e abbia per scopo altre utilità. Si può dire, quindi, che queste situazioni rispecchino in pieno la previsione penale.Ovviamente, in questo caso ci troviamo di fronte a un’occupazione “arbitraria” in re ipsa, in quanto priva di una legittimazione conferita da una qualsiasi norma giuridica o da un’autorizzazione amministrativa. Si tratta, inoltre, di una condotta che assume connotati anche spinti, per non dire eccessivi. Chi occupa piazzole e aree di sosta per praticare lo sfruttamento della prostituzione si arroga uno “ius excludendi”, ed è incline a usare anche la forza fisica per mantenere queste posizioni acquisite. Ossia, non è estraneo all’impiego, al bisogno, di una violenza fisica soverchiante (quasi una “polizia privata”).
Questi sono i fondamenti elementari, semplicissimi, su cui si potrebbe fondare un’imputazione ai sensi dell’art. 633 cp nei confronti di lenoni. Sembra che ricorrano, davvero, tutti i fattori integrativi della fattispecie.
Certo, si potrebbe obiettare che questi uomini e le loro donne, in fin dei conti, stazionano su un’area pubblica, come potrebbero fare tutti, e che alla vista di una volante della Polizia o di una gazzella dei Carabinieri si dileguano, segno che, poi, non sono tanto consapevoli di poter stare in quel posto.
Ma provate voi, normali cittadini, in abiti civili, a fermarvi in una di quelle piazzole, senza una divisa, senza mostrare di voler usufruire del servizio che lì viene offerto, ma con la pretesa di star a fare qualcos’altro di innocente e perfettamente lecito (non dico un pic-nic con quattro sedie e un tavolino smontabile, ma anche una semplice telefonata al cellulare). Vi accorgerete che è molto, molto rischioso...

 

Gip presso il Tribunale di Forlì


© asaps.it

di Michele Leoni

da "Il Centauro" n.101 gennaio 2006
Mercoledì, 15 Marzo 2006
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