N.
97/2003 del 10.03.2006 REPUBBLICA ITALIANA composta dai
signori: - Franco ILE Presidente - Giovanni Maria FLICK Giudice - Francesco AMIRANTE ” - Ugo DE
SIERVO ” - Romano VACCARELLA ” - Paolo MADDALENA ” - Alfio FINOCCHIARO ” - Alfonso QUARANTA ” - Franco GALLO ” - Gaetano SILVESTRI ” - Sabino CASSESE ” - Maria Rita SAULLE ” - Giuseppe TESAURO ” ORDINANZA nel
giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 180, comma 8, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice
della strada), promosso con ordinanza del 15 marzo 2005 dal Giudice di
pace di Bra, nel procedimento civile vertente tra AL.F. s.n.c. di B. G. e D. A. & C. e il Comune di Cherasco,
iscritta al n. 502 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell’anno 2005. Visto l’atto d’intervento del Presidente del
Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio dell’8 febbraio
2006 il Giudice relatore Alfonso Quaranta. Ritenuto che
il Giudice
di pace di Bra, con ordinanza del 15 marzo 2005, ha sollevato questione di
legittimità costituzionale – in riferimento agli artt. 2, 3 e 24 della
Costituzione – dell’art. 180, comma 8, del decreto legislativo 30 aprile 1992,
n. 285 (Nuovo codice della strada), «come modificato», a suo dire, dal
decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della
strada), convertito, con modificazioni, nella legge 1° agosto 2003, n. 214; che in forza della disposizione
censurata – sottolinea il Giudice a quo –
«chiunque senza giustificato motivo non ottempera all’invito dell’Autorità di
presentarsi, entro il termine stabilito nell’invito medesimo, ad Uffici di
polizia per fornire informazioni o esibire documenti ai fini dell’accertamento
delle violazioni amministrative», previste dal codice della strada, «è soggetto
alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da Euro 343,45 a Euro
1376,55»; che la norma
suddetta contrasterebbe con gli artt. 2, 3 e 24 della Costituzione, ed
esattamente: con il primo di tali articoli «perché limita il diritto di libertà
di autodeterminazione», con il secondo «perché introduce una vistosa
discriminazione tra i soggetti abbienti e meno abbienti» (ponendo questi ultimi
«in seria difficoltà se non addirittura nella impossibilità di pagare la
sanzione, la cui entità è tutt’altro che contenuta», costringendoli, così, «a
fornire il nominativo del trasgressore, anche in maniera mendace»), con il
terzo «perché, in conseguenza di quanto sopra, indebitamente comprime il
ricorso alla tutela giurisdizionale»; che, inoltre, secondo il rimettente – pur a
seguito della sentenza di questa Corte (la n. 27 del 2005), con la quale si è
riconosciuta «l’esistenza del principio di personalità della responsabilità
anche per le sanzioni amministrative personali» – occorrerebbe distinguere la
posizione del proprietario del veicolo «che omette di comunicare del tutto i
dati del trasgressore», da quella del proprietario «che confessa di non essere
in grado di fornire i dati richiesti, vuoi perché non ricorda, vuoi perché non
è a conoscenza di colui che al momento della violazione conduceva il veicolo»; che, a suo dire, di tali comportamenti
«sarebbe giusto» sanzionare – almeno in via di interpretazione – «solo la
condotta omissiva “pura”, ossia la mancanza di qualsivoglia risposta»
all’invito a fornire i dati richiesti; che la disposizione impugnata sarebbe
inoltre in contrasto con il principio secondo cui il «diritto di difesa è
inviolabile», elevando a «prova per l’identificazione del responsabile della
violazione» proprio «la confessione della persona sanzionata»; che in tal modo, infatti, o si «obbliga il
cittadino a fornire l’identità del trasgressore, chiunque esso sia, anche, quindi,
di fantasia» (al fine di evitare l’applicazione di una «sanzione assai
onerosa»), oppure lo si induce ad attribuire la responsabilità dell’infrazione
stradale «a persona di sua scelta (vedi nonno, padre, amico)», in base ad una
valutazione che può, indifferentemente, essere «casuale o mirata»; che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la
questione sia dichiarata inammissibile ovvero, in subordine, non fondata; che la difesa erariale ha preliminarmente eccepito che il giudice
rimettente «ha totalmente omesso la descrizione della fattispecie sottoposta al
suo esame e la motivazione sulla rilevanza» della questione sollevata, donde la
manifesta inammissibilità della medesima; che – quanto al merito della questione – l’Avvocatura generale dello
Stato deduce che la norma impugnata «si limita a sanzionare con l’irrogazione
della pena pecuniaria unicamente la condotta omissiva di chi, senza giustificato
motivo, non adempie all’obbligo di presentarsi all’autorità che ha formulato
l’invito», sicché essa «sanziona null’altro che l’inottemperanza al dovere di
“presentarsi” all’autorità e non postula ex
se, pertanto, un generalizzato obbligo di rendere specifiche dichiarazioni
e men che meno di fornire dati ed indicazioni che l’interessato non sia in
grado di fornire»; che, pertanto, la scelta legislativa di sanzionare «sul piano
patrimoniale» il contegno del proprietario, il quale ometta di comunicare i dati personali e della patente del
conducente, appare del tutto coerente con l’obbligo di vigilanza posto a norma
di legge – e segnatamente dagli artt. 196 e 214, comma 1-bis, dello stesso codice della strada, oltre che dall’art. 6 della
legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale) – «a carico di chi
ha la disponibilità del veicolo». Considerato che
il Giudice
di pace di Bra, con ordinanza del 15 marzo 2005, ha sollevato questione di
legittimità costituzionale – per contrasto con gli artt. 2, 3 e 24 della
Costituzione – dell’art. 180, comma 8, del decreto legislativo 30 aprile 1992,
n. 285 (Nuovo codice della strada), «come modificato», a suo dire, dal
decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della
strada), convertito, con modificazioni, nella legge 1° agosto 2003, n. 214; che – anche a voler prescindere dalla
carenza, nel provvedimento di rimessione, tanto di qualsiasi descrizione della
fattispecie concreta oggetto del giudizio principale, quanto di una adeguata
motivazione in ordine alla rilevanza del prospettato dubbio di costituzionalità
(evenienze entrambe comportanti l’esito processuale della declaratoria di
manifesta inammissibilità della questione sollevata: cfr., da ultimo, le
ordinanze n. 396 e n. 297 del 2005) – appare dirimente il rilievo che il
Giudice a quo ha errato
nell’individuazione della norma da impugnare; che, difatti, il censurato comma 8
dell’art. 180 del codice della strada si limita, in via generale, a sanzionare
– nell’ambito di una norma che disciplina il possesso dei documenti di
circolazione e di guida – il contegno di chi «senza giustificato motivo non
ottempera all’invito dell’autorità di presentarsi, entro il termine stabilito
nell’invito medesimo, ad uffici di polizia per fornire informazioni o esibire
documenti ai fini dell’accertamento delle violazioni amministrative» previste
dal medesimo codice; che, per contro, è il precedente art. 126-bis, comma 2, sia a prevedere – nel caso
di mancata immediata identificazione del conducente responsabile di
un’infrazione stradale comportante l’applicazione della misura della
decurtazione del punteggio dalla patente di guida – l’obbligo, a carico del
proprietario del veicolo, di comunicare «entro trenta giorni dalla richiesta,
all’organo di polizia che procede, i dati personali e della patente del
conducente al momento della commessa violazione», che a stabilire, in caso di
omessa comunicazione, l’applicazione nei confronti del soggetto inadempiente
della «sanzione prevista dall’art. 180, comma 8»; che, pertanto, l’iniziativa del giudice
rimettente – diretta, in definitiva, a censurare la equiparazione, sotto il
profilo delle conseguenze sanzionatorie, del contegno di chi abbia omesso «di
comunicare del tutto i dati del trasgressore» e della condotta di chi confessi
«di non essere in grado di fornire i dati richiesti, vuoi perché non ricorda,
vuoi perché non è a conoscenza di colui che al momento della violazione
conduceva il veicolo» – avrebbe dovuto indirizzarsi avverso il predetto art.
126-bis, comma 2, del codice della
strada; che l’art. 180, comma 8, viene in rilievo,
difatti, solo ai fini dell’identificazione del tipo di sanzione da irrogare; che ricorre, quindi, quell’ipotesi di non
corretta individuazione della norma concretamente applicabile nel giudizio a quo – come conferma anche l’erroneo
riferimento del rimettente ad una inesistente modificazione apportata al testo
dell’art. 180, comma 8, del codice della strada – che comporta la manifesta
inammissibilità della sollevata questione di legittimità costituzionale (cfr.,
da ultimo, l’ordinanza n. 237 del 2005). Visti gli
artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, comma 2, delle
norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara
la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale
dell’art. 180, comma 8, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo
codice della strada), sollevata – in riferimento agli artt. 2, 3 e 24 della
Costituzione – dal Giudice di pace di Bra, con l’ordinanza di cui in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 marzo 2006. F.to: Franco
BILE, Presidente Alfonso
QUARANTA, Redattore Giuseppe
DI PAOLA, Cancelliere Depositata
in Cancelleria il 10 marzo 2006. Il
Direttore della Cancelleria F.to:
DI PAOLA |
|
|
© asaps.it |