Sarà capitato sicuramente a tutti di non ricordare dove
abbiamo parcheggiato l’auto. Questo non rappresenta certo un problema. Chi non
ha la fortuna di possedere un garage o un posto auto è spesso costretto a
parcheggiare nei luoghi più disparati, soprattutto nelle grandi città. Il
parcheggio e la chiusura dell’auto sono operazioni divenute ormai automatiche,
che ci consentono pertanto di dedicare la nostra attenzione ad altri pensieri o
progetti, indebolendo così il processo di memorizzazione della collocazione
geografica dell’auto stessa. Così, paghiamo la nostra distrazione dovendo fare il giro dell’isolato o dovendoci
soffermare per ripercorrere meticolosamente le azioni che abbiamo compiuto la
sera prima mentre tornavamo a casa, nella speranza di recuperare un indizio
prezioso che ci aiuti a sciogliere il dilemma. Ma il problema sorge nel momento
in cui un accadimento del genere si presenta con regolarità. Essere fisicamente in grado di guidare non risolve la
completa capacità di guida. Allo stesso modo, sapere dove e perché andare è
un’altra funzione che partecipa in misura importante in questa complessa
capacità. La qualità della vita di un numero sempre maggiore di anziani nella
civiltà industrializzata attuale dipende dalla propria capacità di guida (OECD,
2001). D’altro canto, i disturbi collegati all’età, come la demenza,
rappresentano una minaccia concreta per la sicurezza del conducente
che ne è affetto e per l’intero sistema
traffico. La malattia di Alzheimer è la più
comune causa di demenza (http://www.alzheimer.it). Tra il 50 e il 70% delle
persone affette da demenza soffrono di malattia di Alzheimer. Si tratta di un
processo degenerativo cerebrale che provoca un declino progressivo e globale
delle funzioni intellettive associato ad un deterioramento della personalità e
della vita di relazione. Può insorgere poco prima dei 65 anni, ma generalmente
in fase successiva. Progressivamente il malato perde l’autonomia
nell’esecuzione degli atti quotidiani della vita e diventa completamente
dipendente dagli altri. Può durare dagli 8 ai 15 anni. La caratteristica essenziale delle demenze (DSM-IV-TR,
APA, 2000) è la compromissione della memoria, oltre ad almeno un’altra
alterazione cognitiva, come afasia
(deterioramento delle funzioni del linguaggio), aprassia (incapacità ad eseguire attività motorie), agnosia (incapacità di riconoscere ed
identificare oggetti) e alterazioni del
funzionamento esecutivo (incapacità di pensare in astratto, pianificare,
monitorare o interrompere l’esecuzione di compiti complessi). La compromissione della memoria si risolve nell’incapacità di
apprendere nuove informazioni. Non vengono generalmente intaccate la memoria
remota, né quella di tipo procedurale (il tipo di memoria che raccoglie “il
saper fare”, ad esempio come si prepara il caffé o come si guida l’auto). Benché la compromissione
della memoria, così come si manifesta nelle demenze, e dunque
nell’Alzheimer, e l’afasia non
appaiano essere una minaccia alla sicurezza di guida, gli altri fattori
concomitanti (aprassia, agnosia e le alterazioni del funzionamento esecutivo) sembrano decisamente
minare in maniera importante le capacità di guida di un ipotetico conducente.
Ciò che è importante considerare, però, è che queste alterazioni cognitive non
si manifestano improvvisamente in maniera clinicamente significativa, ma
degenerano gradualmente nel tempo (ricordiamo che la durata della malattia è di
8-15 anni), non risultando così invalidanti per la guida, almeno per i primi
anni. Dunque, la domanda è: fino a che punto si deve impedire la
guida al malato di Alzheimer, anche se con trattamenti farmacologici, o
comunque trattamenti che ne peggiorino le capacità di guida? Recentemente è stato introdotto negli Stati Uniti un nuovo
test virtuale (una sorta di simulatore di guida) che determina i tempi di
risposta dei guidatori. Tali controlli vengono attuati per i malati di
Alzheimer ogni sei mesi dopo la diagnosi, con lo scopo di controllarne la
salute e le capacità cognitive, e di confermarne o meno l’idoneità alla guida.
Molti esperti sono concordi nel ritenere che pazienti con uno stato medio o
avanzato di Alzheimer non dovrebbero guidare. Ma poiché i sintomi e la
progressione variano fra i pazienti c’è disaccordo sulla loro capacità di
guida. In effetti, siamo tenuti a dare per scontato che chi presenta segni di
questa malattia sia immediatamente incapace di guidare, ma non è affatto così.
Alcuni studi, infatti, dimostrano che molti pazienti guidano per almeno tre
anni dopo che hanno ricevuto una diagnosi di Alzheimer. Quindi, l’Alzheimer è una malattia invalidante per la
guida di veicoli, sì, ma sicuramente non da subito. Davanti ad una patologia
del genere nasce pertanto una doppia esigenza: da un lato salvaguardare il sistema traffico, effettuando frequenti
controlli medici e limitando la guida di chi purtroppo non possiede ormai più i
requisiti per condurre un veicolo; dall’altro garantire la Qualità della Vita
del paziente, quindi non privandolo prima del tempo di un diritto che è ancora
in grado di esercitare, in forza di una diagnosi che ci può dare precisi
elementi prognostici sull’esito, ma sicuramente non sul decorso e sui tempi di
risoluzione.
Bibliografia
American
Psychiatric Association (2000). Diagnostic
and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM), Fourth Edition, Text
Revision. Washington DC: Author.
OECD
(2001). Ageing and Transport. Mobility needs and safety issues. Paris: Author.
http://www.alzheimer.it/
* Dottore
in Psicologia, operatore di Polizia Stradale |