La pronuncia in oggetto, invero non innovativa nelle sue motivazioni, consente di approfondire brevemente l’analisi della contravvenzione di cui all’articolo 707 del cod. pen., norma molto discussa sotto il profilo della compatibilità costituzionale e che, nella sentenza in esame, viene in considerazione per la sua realizzazione in forma concorsuale ex art. 110 cod. pen. L’ipotesi monosoggettiva del reato esaminato si realizza allorquando un soggetto, già condannato per delitti determinati da motivi di lucro o per contravvenzioni concernenti la prevenzione di delitti contro il patrimonio, venga trovato in possesso di chiavi alterate, contraffatte o genuine, grimaldelli, ovvero strumenti atti ad aprire e forzare le serrature, in assenza di valida giustificazione circa la loro attuale destinazione. Tradizionalmente tale fattispecie è stata inquadrata come reato di sospetto, rientrante, cioè, in quella categoria di illeciti previsti in funzione repressiva, atteso che le condotte perseguite sono meramente indizianti della commissione, non accertata in concreto, di un altro reato; nel caso dell’art. 707 cod. pen., la situazione di sospetto sarebbe determinata dai “precedenti” del soggetto attivo e dall’uso di strumenti di scasso che questi potrebbe o abbia potuto fare. Ad avviso di altra dottrina (per tutti Caringella), invece, tale reato andrebbe ascritto alla categoria dei reati ostativi, fattispecie che mirano a prevenire la realizzazione di condotte concretamente lesive attraverso la sanzione di atti che ne costituiscono idonea premessa: dunque in funzione di tutela anticipatoria. Ed in effetti, nella sentenza della V sezione della Corte di Cassazione n°7601 del 12/07/1975, si legge che “la norma ha lo scopo di impedire che il reo… possa servirsi degli strumenti stessi per commettere reati determinati da motivi di lucro”. Ciò chiarito, si rileva come la previsione dell’art. 707 cod. pen. abbia da sempre posto questioni di costituzionalità, di volta in volta sollevate con riferimento agli artt. 3, 24, 25 e 27 della Costituzione, supponendosi il contrasto con i principi di uguaglianza, di difesa, principi di materialità ed offensività. Tuttavia la Corte Costituzionale ha sempre negato i profili d’incostituzionalità, da ultimo con la sentenza 07/07/2005, n° 265: relativamente al principio di materialità (art. 25 comma 2 Cost.), sostiene il Collegio che l’art. 707 cod. pen. non punisca una mera intenzione del soggetto, bensì una circostanza reale e concreta (il possesso di determinati utensili); dubbi potrebbero residuare, però, nel raffronto con il principio di difesa (art. 24 comma 2 Cost.) e di offensività, constatato che ci si trova di fronte ad un’incriminazione “arretrata”, giustificabile -per la dottrina più attenta- solo in vista della tutela di beni primari, tra cui non può configurarsi il patrimonio (cfr. Mantovani). La Corte Costituzionale, pertanto, afferma che l’offensività, in tali ipotesi, vada valutata in concreto, tenendo conto delle modalità, dei tempi e luoghi e di tutte quelle circostanze contingenti da cui sia dato desumere l’effettiva pericolosità del possesso delle chiavi o grimaldelli; con ciò, si conferma il leitmotiv presente anche nelle ultime pronunce della giustizia di legittimità sul tema (Cass. sentenze nn° 30930/2001, 198/2001, 10475/1999), in forza delle quali il possesso indicato nell’art. 707 cod. pen. designa un rapporto attuale e costante di contiguità fisica, la disponibilità immediata ed attuale degli oggetti. Ecco perché, per la sentenza n°3626 del 19/01/2006 (depositata il 30/01/06), pur contemplando l’art. 707 cod. pen. “un reato a soggetto attivo qualificato” (già condannato per reati inerenti al patrimonio), è possibile ammettere il concorso di persone anche per colui che non abbia precedenti penali, quando questi sia consapevole di accompagnarsi a persona già condannata e sia cosciente della concreta ed immediata disponibilità degli arnesi predetti, dal momento che si ritiene indice di pericolo, diretto o eventualmente indiretto, anche la semplice possibilità che i correi se ne servano, o l’uno aiuti l’altro a servirsene. In conclusione, nonostante l’indirizzo ormai consolidato sulla costituzionalità della contravvenzione di cui all’art. 707 cod. pen., si sottolinea come il profilo del rispetto del principio di offensività non sia scevro da critiche. (Altalex, 21 marzo 2006. Nota di Deborah Cimellaro) CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE OSSERVA Il difensore di C.C. e L.M.C. propone ricorso per Cassazione avverso l’ordinanza pronunciata dal Tribunale di Matera il 28 settembre 2005, con la quale è stata respinta la richiesta di riesame proposta avverso il decreto di convalida del sequestro probatorio effettuato a carico di entrambi gli indagati in ordine a vari oggetti atti allo scasso rinvenuti sulle loro persone in sede di perquisizione personale. Nel primo motivo viene dedotta la nullità del decreto di perquisizione e del pedissequo sequestro in quanto la perquisizione degli indagati sarebbe stata originata da una telefonata anonima che non poteva costituire legittima notitia criminis; la nullità della perquisizione si riverbererebbe, pertanto, anche sul sequestro. Si lamenta, poi, assenza di fumus in ordine al reato di cui all’art. 707 cod. pen. nei confronti della L. M., in quanto, contrariamente a quanto riferito dalla polizia giudiziaria, la stessa sarebbe incensurata. Si lamenta, infine, vizio di motivazione rilevante nella specie anche sul piano della violazione di legge, unico vizio deducibile in sede di ricorso in tema di cautele reati, attesa la radicale mancanza di motivazione in ordine alla necessità di apprendere il corpus delicti ai fini dell’accertamento del reato. Il ricorso non è fondato. A proposito del primo motivo di ricorso, infatti, nel quale il ricorrente, sul presupposto della illegittimità della perquisizione, in quando disposta sulla base diuna notizia anonima, pretende desumerne un automatico effetto caducatorio anche in ordine al provvedimento di sequestro del corpo di reato - rispetto al quale è nella specie obbligatoria la confisca a norma dell’art. 240 cpv. cod. pen., n. 2), trattandosi di cose la detenzione delle quali costituisce reato (Cass., Sez. 5^, 27 marzo 1996, Berlingieri) - può osservarsi che la cosidetta teoria dei "frutti dell’albero avvelenato", fortemente resistita da autorevole dottrina, e rievocata, anche in tempi recenti, sotto il profilo della inutilizzabilità della prova incostituzionale, ha rinvenuto significative smentite da parte della giurisprudenza di questa Corte, più volte chiamata a pronunciarsi sul tema. Si è infatti in varie occasioni affermato, proprio in tema di sequestro, che l’accertata illegittimità della perquisizione non produce alcun rilievo preclusivo, qualora vengano acquisite cose costituenti corpo di reatoo a questo pertinenti, dovendosi considerare che il potere di sequestro, in quanto riferito a cose obiettivamente sequestrabili, non dipende dalle modalità con le quali queste sono state reperite, me è condizionato unicamente dalla acquisibilità del bene e dalla insussistenza di divieti probatori espliciti o univocamente enucleabili dal sistema; sottolineandosi, al riguardo, che le cose sequestrate nel corso di una perquisizione illegittima, devono comunque considerarsi apprese in forza del potere-dovere attribuito alla polizia giudiziaria dall’art. 354 cod. proc. pen., comma 2. D’altra parte, la autonomia strutturale e funzionale che contraddistingue i presupposti e le forme della attività di ricerca della res, da un lato, e quella di apprensione ed assicurazione della cosa reperita, dall’altro, giustifica - sul piano della stessacoerenza sistematica - una valutazione differenziata tra la "perquisibilità" e la "sequestrabilità" che impedisce agli eventuali vizi della prima di infirmare, per "contaminazione", la validità e l’efficacia della seconda, anche per ciò che attiene ai profili di utilizzazione processuale. Le stesse Sezioni unite di questa Corte, infatti, hanno a tal proposito avuto modo di sottolineare - pronunciandosi, proprio, in una fattispecie relativa a perquisizione illegittima ed a successivo sequestro di cose pertinenti a reato, ritenuto atto dovuto - che l’inosservanza delle formalità prescritte dalla legge ai fini della legittima acquisizione della prova nel processo non è, di per sè, sufficiente a rendere quest’ultima inutilizzabile, per effetto di quanto disposto dal primo comma dell’art. 191 cod. pen. Ed invero, quest’ultimanorma, se ha previsto l’inutilizzabilità come sanziona di carattere generale, applicabile alle prove acquisite in violazione ai divieti probatori, non ha, per questo, eliminato lo strumento della nullità, in quanto le categorie della nullità e della inutilizzabilità, pur operando nell’area della patologia della prova, restano distinte e autonome, siccome correlate a diversi presupposti: la prima, attenendo sempre e soltanto all’inosservanza di alcune formalità di assunzione della prova - vizio che non pone il procedimento formativo o acquisitivo completamente al di fuori del parametro normativo di riferimento, ma questo non rispetta in alcuni dei suoi peculiari presupposti - la seconda, presupponendo, invece, la presenza di una prova "vietata" per la sua intrinseca illegittimità oggettiva, ovvero per effetto del procedimento acquisitivo, la cui manifesta illegittimità lo pone certamente al di fuori del sistema processuale (Cass., Sez. un., 27 marzo 1996, Sala; v., anche, Cass., Sez. 6^, 9gennaio 2004, Scollo). Ma ancor più dirimente, agli effetti dell’odierno sindacato, è rilevare che, nella specie, appare destituita di qualsiasi fondamento la stessa premessa da cui ha tratto origine la riferita doglianza e, financo, la sua stessa ammissibilità. E’ del tutto evidente, infatti, che l’eventuale questione di nullità della perquisizione perchè scaturita da fonte anonima, evocando, per di più, un accertamento di fatto, si sarebbe potuta (e dovuta) proporre nella conferente sede del gravame di merito; circostanza, questa, che non risulta essersi realizzata. Ma v’è di più. Dalla stessa ordinanza impugnata, invero, emerge che la perquisizione degli indagati non si fondò affatto soltanto sulla segnalazione anonima pervenuta alle forze dell’ordine, giacchè, a seguito di quella segnalazione, la polizia giudiziaria individuò l’auto segnalata con a bordo gli indagati, la cui condotta successiva fu tale da ingenerare quegli elementi di convincimento e di sospettosulla cui base fu effettuata la perquisizione: dunque, fattori indizianti autonomamente acquisiti e tali da legittimare la successiva attività di perquisizione. E’ infondato anche il secondo motivo di ricorso, nel quale si sottolinea la mancanza, in capo alla indagata L.M., della qualità di già condannato, che costituisce presupposto del reato di cui all’art. 707 cod. pen., con il conseguente venire meno del relativo fumus ai fini del disposto sequestro. Si trascura, infatti, la circostanza che - attese le modalità dei fatti - l’ipotesi di accusa sia di tipo concorsuale, con le ovvie conseguenze che da ciò scaturiscono. Benchè, infatti, l’art. 707 cod. pen. contempli un reato a soggetto attivo qualificato - giacchè la norma, stando alsuo tenore letterale, è applicabile solo a chi, essendo stato condannato per motivi di lucro, o per contravvenzioni concernenti la prevenzione di delitti contro il patrimonio, è colto nel possesso ingiustificato degli oggetti o strumenti previsti nello stesso articolo - non per questo è da escludersi la possibilità del concorso ad opera di chi non versi nelle condizioni soggettive e oggettive richieste dalla norma stessa; con la conseguenza che concorre nel reato chi, pure immune da precedenti penali, si accompagna a persona che sa essere stata già condannata per uno dei reati previsti dallo stesso art. 707 cod. pen. ed è consapevole degli oggetti o strumenti da essa detenuti per la possibilità che ha di servirsi di detti strumenti o, per precedenti intese, di aiutare il compagno a servirsene. Pertanto, in tema di possesso ingiustificato di chiavi alterate e grimaldelli, è sufficiente, ai fini della configurabilità del concorso nel reato, anche da parte di incensurati, la consapevole disponibilità concreta ed immediata, da parte di più persone, degli arnesi predetti, mentre si appalesa del tutto irrilevante che tali oggetti appartengano originariamente ad uno soltanto dei correi, giacchè occorre dare rilievo alla possibilità di questi di servirsene ovvero di aiutare il proprietario a servirsene (Cass., Sez. 1^, 21 maggio 1977, Sardisco; Cass., Sez. 2^, 2 maggio 1983, Pastorboni; Cass., Sez. 2^, 16 aprile 1999, Dellerba). Ugualmente destituito di fondamento è anche l’ultimo motivo di ricorso, in quanto, come adeguatamente puntualizzato nella ordinanza impugnata, il provvedimento di sequestro ha congruamente dato atto delle esigenze e della destinazione probatoria del sequestro stesso ai fini delle indagini, attraverso il chiaro riferimento alla necessità di svolgere i doverosi sviluppi investigativi allo scopo di accertare caratteristiche, provenienza e titolo di detenzione degli oggetti sottoposti al vincolo cautelare. Al rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2006. Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2006.
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