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Corte di Cassazione 31/03/2006

Giurisprudenza di legittimità - SANZIONI AMMINISTRATIVE – INFRAZIONE STRADALE – IMPUGNAZIONE DEL PROCESSO VERBALE DI CONTESTAZIONE – ORGANO LEGITTIMATO PASSIVAMENTE – ERRORE NELL’INDIVIDUAZIONE.

(Cass. Civ., sez. Unite, 14 febbraio 2006, n. 3117)

Giurisprudenza di legittimità
CORTE DI CASSAZIONE CIVILE
Sezioni Unite, 14 febbraio 2006, n. 3117

 
SANZIONI AMMINISTRATIVE – INFRAZIONE STRADALE – IMPUGNAZIONE DEL PROCESSO VERBALE DI CONTESTAZIONE – ORGANO LEGITTIMATO PASSIVAMENTE – ERRORE NELL’INDIVIDUAZIONE 

 Componendo un contrasto di giurisprudenza sul tema delle conseguenze dell’errore nell’individuazione dell’organo legittimato passivamente nei giudizi di impugnazione avverso il processo verbale di contestazione di un’infrazione stradale, le Sezioni Unite avallano la soluzione più liberale. L’erronea individuazione dell’organo legittimato – si afferma – non comporta la mancata costituzione del rapporto processuale, ma una mera irregolarità, sanabile attraverso: (a) la rinnovazione dell’atto nei confronti di quello indicato dal giudice; (b) la mancata eccezione dell’amministrazione; (c) la mancata deduzione di uno specifico motivo di cassazione. 

 
 
 § 1. Svolgimento del processo

  A.C. proponeva dinanzi al giudice di pace di Buccino, nei confronti del Prefetto di Salerno, opposizione avverso la cartella esattoriale con cui gli veniva richiesto il pagamento di sanzione per violazione dell’art. 142 del codice della strada, impugnando il processo verbale degli agenti accertatori della polizia stradale, i quali avevano rilevato che il C. aveva, alla guida di autovettura, superato il limite di velocità. Il giudice accoglieva la domanda con sentenza del 29 ottobre 2001, ritenendo che gli agenti non avevano proceduto all’immediata contestazione e che il verbale con conteneva alcuna motivazione circa l’impossibilità di adempiere a tale formalità.

 Avverso tale sentenza l’ufficio territoriale di Governo di Salerno, succeduto al Prefetto, ha proposto ricorso per cassazione. Denunciando violazione e falsa applicazione degli articoli 14 legge n. 689 del 1981, 200 e 201 d. l.vo n. 285 del 1992, 384 d.P.R. n. 495 del 1992, nonché difetto di motivazione, in relazione all’art. 360, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ., deduce che la decisione impugnata, ritenendo possibile un’immediata contestazione dell’infrazione, si pone in contrasto con principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, secondo i quali sono tipizzate, senza lasciare alcun margine di apprezzamento in sede giudiziaria, le ipotesi in cui nel verbale sia indicato, come nella specie è avvenuto, che l’accertamento è stato effettuato con apparecchiatura che consentiva la rilevazione dell’illecito in tempo successivo, ovvero dopo che il veicolo era già a distanza dal posto di accertamento. Poiché il verbale conteneva tale indicazione, il giudice di pace non poteva smentire la circostanza in mancanza di una specifica impugnazione del verbale per difetto di veridicità.

 L’intimato non svolgeva attività difensiva in questa sede.

 La prima Sezione civile della Corte, con ordinanza 9 agosto 2004, n. 15396, rilevava d’ufficio che sulla legittimazione ad causam nei giudizi d’impugnazione dei processi verbali di contestazione di violazioni del codice della strada la giurisprudenza di legittimità si era costantemente pronunciata nel senso che l’organo legittimato a resistere in giudizio, e quindi a proporre il ricorso per cassazione, fosse, non già il Prefetto, ma il Ministro dell’Interno, quale organo di vertice dell’amministrazione dalla quale dipende l’organo di polizia che aveva redatto il verbale. Nell’ordinanza si dava, però, atto, di un contrasto esistente nella giurisprudenza della Sezione circa le conseguenze dell’erronea identificazione dell’organo legittimato, avendo alcune sentenze ritenuto, in applicazione del principio contenuto nell’art. 4 della legge 25 marzo 1958, n. 260, che il vizio costituisca una mera irregolarità, potendo essere sanato ove non eccepito dall’amministrazione nella prima udienza dinanzi al giudice di pace; altre ritenuto la nullità o inammissibilità dell’opposizione, rilevabili d’ufficio (salva La formazione del giudicato) e sanabili solo nei casi e nei modi previsti dalla detta norma, in quanto proposta e notificata nei confronti di soggetto non legittimato, con conseguente mancata instaurazione del contraddittorio.

 La Sezione rimetteva, quindi, il ricorso al Primo Presidente, che ne disponeva l’assegnazione alle Sezioni Unite.

 
 § 2.
Il contrasto di giurisprudenza

  Nell’ordinanza della Prima Sezione civile si rileva che, secondo una consolidata giurisprudenza della Corte (fra le altre, sentenze 14 giugno 1998, n. 5827; 7 novembre 1998, n. 11244; 15 novembre 2001, n. 14319; 7 maggio 2003, n. 6934; 24 agosto 2004, n, 16726; 29 settembre 2004, n. 19541), nel caso in cui sia proposta opposizione avverso il verbale di contestazione della violazione, la legittimazione passiva spetta all’amministrazione centrale dalla quale dipendono gli agenti accertatori. Quindi, se il verbale è stato redatto dalla polizia stradale, legittimato a resistere all’opposizione è il Ministro dell’Interno.

 Circa le conseguenze dell’erronea identificazione dell’organo passivamente legittimato, e specificamente il Prefetto, anziché il Ministro dell’Interno, l’ordinanza coglie i seguenti orientamenti giurisprudenziali:

 a) un primo orientamento ritiene che il vizio di vocatio in jus costituisca una mera irregolarità, sanabile, sia nel caso in cui la parte provveda, nel termine assegnato dal giudice, a rinnovare la notifica nei confronti dell’organo legittimato, indicato dall’Avvocatura erariale, sia se l’eccezione non è tempestivamente formulata dall’amministrazione costituita, sia se la stessa è rimasta contumace (sentenze 6 dicembre 1996, n, 10890; 6 agosto 1998, n. 8471; 19 dicembre 2001, n. 16031) ;

 b) secondo un diverso orientamento, il vizio costituisce nullità sanabile, e pertanto dà luogo a inammissibilità della domanda se non sanato nei casi e nei modi previsti dall’art. 4 della legge 25 marzo 1958, n. 260;

 c)  altre sentenze, sul presupposto della natura eccezionale del citato art. 4, hanno ritenuto che l’erronea individuazione dell’organo determini inammissibilità dell’azione, non emendabile attraverso rinnovazione ai sensi dell’art. 4 della legge n. 260 del 1958, non trattandosi di errore che investe la notifica, ma la parte del giudizio.

 
 
§ 3. Motivi della decisione

  3.1. Una pluriennale e consolidata giurisprudenza della Corte ha seguito l’orientamento secondo cui l’art. 23 della legge n. 689/81 attribuisce all’autorità che ha emesso il provvedimento la legittimazione processuale per l’intero procedimento, con conseguente inapplicabilità, ove si tratti di organo periferico dello Stato, dell’art. 11 del r.d. n. 1611 del 1933, per cui destinataria della notifica della sentenza che conclude il procedimento di opposizione, ai fini della decorrenza del termine breve d’impugnazione, è soltanto tale autorità, non dovendosi effettuare la notifica presso l’Avvocatura distrettuale. Pertanto, nel caso in cui sia il prefetto competente ad emettere il provvedimento, essendo tale organo munito di autonomia funzionale (art. 330 cod. proc. civ.), lo stesso non può essere sostituito dall’organo centrale dell’amministrazione, né nell’emanazione del provvedimento, né nella partecipazione al giudizio.

 Alcune sentenze (ad esempio, 19 novembre 2003, n. 17546) hanno osservato che, dato il carattere di specialità della disciplina contenuta nella legge n. 689 del 1981, i predetti principi non possono essere applicati oltre l’ambito ivi previsto.

 Per tracciare un quadro più completo è opportuno richiamare l’interpretazione, data da una giurisprudenza consolidata, dell’art. 4, secondo comma, del d.l.vo n. 113 del 1999 in materia di espulsione dello straniero, secondo il quale «l ’autorità che emesso il decreto di espulsione può stare in giudizio personalmente o avvalersi di funzionari appositamente delegati». L’identità del tenore di tale norma rispetto a quello dell’art. 23 della legge n. 689 del 1981 ha determinato la giurisprudenza a riaffermare il prevalente orientamento formatosi sull’interpretazione di tale articolo, e cioè la legittimazione del prefetto in tutte le fasi del giudizio, compresa quella di legittimità, con conseguente inammissibilità - non sanabile del ricorso per cassazione proposto nei confronti del Ministro dell’Interno. La ratio di tale legittimazione esclusiva viene individuata nell’interesse pubblico ad un’immediata risposta in sede locale.

 L’applicabilità dell’art. 4 - nei casi in cui non opera una speciale competenza funzionale (come quelle sopra richiamate) e la conseguente deroga al disposto dell’art. 11 del r.d. n. 1611 del 1933, comporta che la mancata identificazione dell’organo abilitato a rappresentare lo Stato non implica - secondo la giurisprudenza prevalente - un difetto di legittimazione passiva,

ma una mera irregolarità, non rilevabile d’ufficio, bensì solo con le modalità e conseguenze previste dall’art. 4 (così le sentenze 26 novembre 1996, n. 10457; 19 dicembre 2001, n. 16031; 19 novembre 2003, n. 16546. Ne consegue, altresì, che se nel giudizio di primo grado è presente l’Avvocatura, ed essendo la sentenza emessa nei confronti del Prefetto, senza che sia stato proposto un motivo d’impugnazione al riguardo, resta definitivamente preclusa ogni questione circa l’inesatta identificazione dell’organo abilitato a rappresentare lo Stato.

 3.2. Le Sezioni Unite ritengono che debba essere seguita la via indicata dalla giurisprudenza maggioritaria delle Sezioni semplici.

 Il problema si risolve attraverso una corretta interpretazione dell’art. 4 della legge 25 maggio1958, n. 260.

 A tal fine non pare necessario uno sforzo di ricostruzione dogmatica del fenomeno dell’individuazione di specifiche figure soggettive, senza personalità giuridica ma aventi una propria legittimazione, nell’ambito di uno stesso ente pubblico. Tale sforzo, infatti, si traduce spesso in questioni meramente definitorie. Basterà, quindi, constatare che l’ordinamento, per evidenti esigenze di carattere pratico, non si limita a riconoscere alle singole articolazioni organizzatorie di un ente rilevanza esterna, ma attribuisce alle stesse una specifica legitimatio ad causam, facendole diventare - pur essendo prive ex definitione di personalità giuridica - soggetti processuali, in relazione a rapporti giuridici di cui è parte l’ente di pertinenza. Tale fenomeno, per quanto riguarda l’ordinamento statale, ha da tempo comportato gravi difficoltà per l’individuazione della figura soggettiva legittimata: già la tabella allegata al regolamento approvato con r.d. 25 giugno 1865, n. 2361, conteneva un elenco degli organi amministrativi dotati di legitimatio ad causam in relazione alle loro specifiche competenze. Si consideri, inoltre, la regola dettata in materia di giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo, coerente con la natura impugnatoria di tale giurisdizione, secondo la quale parte necessaria del giudizio e sempre l’autorità che ha emesso l’atto o provvedimento impugnato (art. 36 del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, e 21 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034).

 Nel variegato panorama degli organi dello Stato forniti di capacita a rappresentare quest’ultimo in giudizio, r.d. l. 30 ottobre 1933, n. 1611 non aveva risolto le difficoltà d’individuazione di quello legittimato, con evidente aggravio dell’esercizio della tutela giurisdizionale. Tali difficoltà non erano risolte attraverso l’applicazione, richiamata dall’art. 52 del citato r.d., della tabella annessa al già menzionato regolamento 25 giugno 1865, i cui aggiornamenti, imposti dall’evoluzione dell’organizzazione amministrativa, erano spesso inadeguati per consentire una corretta individuazione dell’organo competente. Tale difficoltà comportava una frequente dichiarazione di nullità insanabile della citazione, anche nei casi in cui l’Avvocatura dello Stato si era costituita, stante la formazione di un consolidato orientamento giurisprudenziale in tal senso, che non aveva seguito l’isolata indicazione della sentenza delle Sezioni Unite del 4 luglio 1949.

 La legge n. 260 del 1958 venne emanata con l’evidente scopo di semplificare l’individuazione dell’organo competente a rappresentare lo Stato, indicando lo stesso nel Ministro competente e prevedendo, inoltre, un regime di sanatoria nei casi definiti come errore della persona cui la notifica deve essere fatta (art. 4) Appare evidente che tale norma, nel quadro delle esigenze di una più rapida ed efficiente tutela, non può essere letta in modo riduttivo, e quindi riferita ai casi di erronea identificazione della persona fisica titolare dell’organo o ad esso addetta, ma proprio all’errore nell’identificazione dell’organo legittimato.

 Senza entrare negli specifici problemi sollevati in relazione alla tutela nei confronti dell’ordinanza-ingiunzione e nei provvedimenti di espulsione dello straniero, che non costituiscono oggetto della decisione di cui le Sezioni Unite sono investite, appare chiaro che una visione riduttiva del regime di sanatoria introdotto con la legge 260 del 1958 ha non poco influito su un’interpretazione particolarmente rigida del regime d’invalidità conseguente all’erronea individuazione dell’organo fornito di legittimazione.

 Una corretta interpretazione di tale regime non può comunque, qualunque fosse la reale intenzione del legislatore al tempo della sua introduzione, prescindere dai vincoli derivanti dai principi costituzionali di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale, ulteriormente rafforzati dal nuovo testo dell’art. 111 Costituzione. A ciò si aggiunga che, nei campi in cui si chiede la tutela giurisdizionale di diritti derivanti dall’ordinamento comunitario - divenuti assai numerosi - il principio di effettività osta ad una disciplina processuale che renda eccessivamente difficile l’esercizio di tali diritti.

 Si consideri, ancora, l’indicazione della giurisprudenza della Corte Costituzionale (sentenza n. 189 del 13 giugno 2000) per un’interpretazione, se necessario adeguatrice, del sistema processuale nel senso di restringere le ipotesi di inammissibilità dei rimedi giurisdizionali.

 Il risultato di tali indicazioni, provenienti da norme o ordinamenti di rango superiore, è un vero e proprio effetto di irraggiamento nei confronti della disciplina legislativa che regola i modi di esercizio della tutela giurisdizionale. Tale effetto adeguatore del sistema normativo, allorché sia in gioco la tutela di diritti fondamentali, è stato riconosciuto dalla giurisprudenza di questa Corte proprio in materia processuale (Sezioni Unite, sentenza del 2 dicembre 2004, n. 22601).

 Pertanto, l’espressione «errore nella persona che deve ricevere la notificazione» deve essere, quindi, letta, come «errore nell’indicazione dell’organo legittimato», intendendosi per persona il soggetto (e cioè la specifica articolazione dell’organizzazione statale) fornito di legittimazione. Non si tratta, pertanto, di estensione analogica della norma al di là dei casi da essa contemplati. Del resto, la stessa lettera dell’art. 52 del r.d. n. 1611 del 1933 le notificazioni alle Amministrazioni dello Stato debbono essere fatte alla persona che le rappresenta nel luogo ove risiede l’autorità giudiziaria che sarebbe competente secondo le norme ordinarie della procedura civile») si riferiva chiaramente all’organo, pur attraverso la persona fisica che ne era titolare.

 La corretta interpretazione, conforme ai principi costituzionali e a quelli derivanti dall’ordinamento comunitario, è, pertanto, nel senso che l’erronea individuazione dell’organo legittimato non comporta la mancata costituzione del rapporto processuale, ma mera irregolarità, sanabile attraverso la rinnovazione dell’atto nei confronti di quello indicato dal giudice, la mancata eccezione dell’amministrazione, o la mancata deduzione di specifico motivo di cassazione. Nella specie, la stessa Avvocatura ha dedotto nella memoria di non avere interesse a svolgere censure circa l’individuazione dell’organo legittimato e ha concluso nel merito.

 3.3. Pertanto, risolta la questione nel senso di ritenere ritualmente costituito, ai fini della validità della pronuncia sul merito, il rapporto processuale, si deve passare all’esame del ricorso dell’Amministrazione.

 Le censure meritano accoglimento.

 Secondo una consolidata giurisprudenza della Corte, nel caso di violazione di superamento dei limiti di velocità rilevata tramite «autovelox», l’indicazione nel verbale dell’impossibilità di procedere ad immediata contestazione della violazione nel caso in cui, come quello in esame, secondo la previsione dell’art. 384, lett. e), del regolamento di esecuzione al codice della strada, si tratti di un caso d’impossibilita tipizzata, ancorché si tratti di formula di stile, dà adeguata ragione della mancata contestazione immediata, e non è consentito al giudice un apprezzamento consistente in un sindacato sulle scelte organizzative del servizio, attraverso l’indicazione di modalità alternative, quali il posizionamento di un agente in divisa o la predisposizione di apparecchiatura che consentisse la rilevazione della violazione in tempo successivo, ovvero dopo che il veicolo si trovava ad una certa distanza dal luogo dell’accertamento. Le Sezioni Unite fanno riferimento, fra le altre, alle sentenze 28 gennaio 2001, n. 4571; 21 febbraio 2002, n. 4048; 1 agosto 2003, n. 11722; 7 novembre 2003, n. 16713; 18 maggio 2005, n. 944; 17 marzo 2005, n. 5861; 4 maggio 2005, n. 9222.

 Pertanto, considerato che il giudice ha compiuto un indebito sindacato sull’esercizio della potestà organizzativa dell’amministrazione, senza considerare che il verbale conteneva sufficienti indicazioni per dare ragione della mancata, immediata contestazione, la sentenza deve essere cassata. Poiché la cassazione viene pronunciata per violazione di norme di diritto (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.) e non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte, nell’esercizio del potere di decisione della causa nel merito ad essa attribuito dall’art. 384, comma 1°, cod. proc. civ., rigetta l’opposizione.

 Ricorrono giusti motivi per compensare le spese dell’intero giudizio.

 
P.Q.M.

 
 La Corte di Cassazione a Sezioni Unite;

 accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’opposizione; compensa le spese dell’intero giudizio.

 Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite, il 15 dicembre 2005.

 

 

Depositata in cancelleria il 14 febbraio 2006


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Venerdì, 31 Marzo 2006
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