Brevi considerazioni
sulla nuova appellabilità delle pronunce secondo equità emesse dal Giudice di
Pace
Prima di tale modifica, le pronunce secondo equità
non erano appellabili ma ricorribili esclusivamente per Cassazione. La norma transitoria di cui all’art. 27 D.Lgs 40/2006 prevede inoltre
che la disciplina è di immediata applicazione ai giudizi pendenti alla data di
entrata in vigore del decreto (2 marzo 2006) e tuttavia, ai provvedimenti del
giudice di pace pubblicati entro la data di entrata in vigore del decreto, si
applica la disciplina previgente. Non v’è chi non veda in questa disposizione se non
la abrogazione di fatto del giudizio pronunciato secondo equità, almeno un
forte ridimensionamento di tale giudizio, secondo le brevi osservazioni che
seguono. La norma di riferimento che abilita il Giudice di
Pace a decidere secondo equità, è il secondo comma dell’art. 113 c.p.c.: Il
giudice di pace decide secondo equità le cause il cui valore non eccede
millecento euro, salvo quelle derivanti da rapporti giuridici relativi a
contratti conclusi secondo le modalità di cui all’articolo 1342 del codice
civile. Quindi, salvo il limite dei contratti conclusi su
moduli o formulari con le modalità di cui all’art. 1342 c.c., il Giudice decide
sempre secondo equità se la causa è inferiore al valore di 1100 euro. La
presunzione di pronuncia secondo equità è ribadita da Cass. civ., Sez. III,
25/02/2005, n.4079: Le sentenze del giudice di pace rese in controversie di
valore non superiore a euro 1100 sono da considerare sempre pronunciate secondo
equità per testuale disposizione normativa anche se il giudicante abbia
applicato una norma di legge ritenuta corrispondente all’equità, ovvero abbia
espressamente menzionato norme di diritto senza alcun riferimento all’equità,
dovendosi, in tale ultima ipotesi, presumere implicita la corrispondenza,
"sic et simpliciter", della norma giuridica applicata alla regola di
equità. Ne consegue che la sentenza del giudice di pace, pronunciata a norma
del citato art. 113, comma secondo, cod. proc. civ., non è impugnabile con
ricorso per cassazione per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. sotto il
profilo che il giudicante avrebbe fatto applicazione di una norma di legge non
invocata dalla controparte. Tale assunto, introdotto dal D.L. 8 febbraio 2003,
n. 18, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, L. 7 aprile 2003,
n. 63, è stato oggetto di attenzione da parte della Corte Costituzionale che,
con sentenza 206/2004 ha dichiarato “costituzionalmente illegittimo
l’art. 113, comma 2, c.p.c., nella parte in cui non prevede che il giudice di
pace debba osservare i principi informatori della materia” Il Giudice delle Leggi aggiunge che “il giudizio
di equità, in sostanza, non è e non può essere un giudizio extra-giuridico,
poiché una equità priva dei limiti normativi insidia alla base la certezza
delle relazioni giuridiche, con la conseguenza della ricorribilità per
cassazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, numero 3, c.p.c., delle sentenze
per violazione dei suddetti principi” In pratica, il Giudice di Pace, nel decidere
secondo equità, non può discostarsi dalle norme giuridiche che si occupano del
caso concreto, né può prescindere dal principio iura novit curia. Farà
quindi riferimento anzitutto alla esistenza o meno di riserve di Legge o
regolamenti, e al rispetto di norme costituzionali o comunitarie. La
giurisprudenza tra l’altro è stata costante nell’affermare che l’equità del
Giudice di Pace si riferisce alle norme sostanziali e mai processuali (ex
multis Cass. civ., Sez. III, 08/07/2005, n.14454). La nuova appellabilità
per violazione di norme sul procedimento introdotta dal D.Lgs. 40 si limita a
recepire tale interpretazione giurisprudenziale. D’altro canto, la pronuncia secondo diritto, anche
in presenza di cause di valore inferiore a 1100 euro, era pacificamente ammessa
nel caso di riunione di processi o nel caso di domanda riconvenzionale che
eccedesse tale limite. Si è pacificamente ammesso, nel caso in cui siano
proposte al Giudice di pace domanda principale di valore non eccedente i limiti
(millecento Euro) previsti per la decisione secondo equità e domanda
riconvenzionale, connessa con quella principale a norma dell’art. 36 c.p.c., la
quale, pur rientrando nella competenza del Giudice di pace, superi il limite di
valore fissato dalla legge per le pronunce di equità, che l’intero giudizio
deve essere deciso secondo diritto, con la conseguenza che il mezzo di
impugnazione della sentenza è, non già il ricorso per Cassazione, ma l’appello,
a nulla rilevando che sulla domanda riconvenzionale sia stata emanata una
pronuncia a contenuto meramente processuale che non abbia formato oggetto di
impugnazione (Cass. civ. (Ord.), Sez. Unite, 06/06/2005, n.11701) Così come si sono ammessi mezzi diversi di
impugnazione nel caso di separazione di processi o nel caso di domanda
riconvenzionale non “connessa” alla causa principale: “Nel caso in cui siano
proposte al giudice di pace una domanda principale che debba essere decisa
secondo equità ai sensi dell’art. 113, secondo comma, cod. proc. civ., perchè
di valore inferiore ai millecento euro, e una domanda riconvenzionale da
decidere secondo diritto, in quanto di valore superiore, e il giudice di pace
abbia escluso la connessione tra le due domande, le distinte ed autonome
statuizioni su di esse sono soggette a diversi mezzi di impugnazione, e cioè la
pronuncia sulla domanda principale (di equità) è soggetta a ricorso per
cassazione e quella sulla riconvenzionale (di diritto) ad appello” (Cass.
civ., Sez. I, 31/05/2005, n.11490) L’esigenza pratica di “sottrarre” il più possibile
al Giudice di Pace una sorta di “discrezionalità equitativa” nelle cause di
valore inferiore ai 1100 euro, ha indotto prima la giurisprudenza di
legittimità, poi quella costituzionale e poi il Legislatore a definire in
termini il più possibile chiari gli spazi concessi al Giudice di Pace nel
pronunciarsi secondo equità. Tali spazi, a modesto parere di chi scrive, oggi
sono strettissimi se non inesistenti. Rendendo appellabili infatti tutte le sentenze
pronunciate secondo equità per violazione della Costituzione, del diritto
comunitario, dei princìpi informatori dell’ordinamento e delle norme
processuali, non deve tacersi l’obiettiva difficoltà di trovare sentenze che
non saranno “appellabili” perché non violano tali norme, anche se pronunciate
secondo equità. Una delle poche eccezioni che mi permetto di sottolineare,
dovrebbe riferirsi ai giudizi di opposizione alle sanzioni amministrative ex
Legge 689/1981, per i quali espressamente non può applicarsi il giudizio di
equità e che sono ricorribili esclusivamente per Cassazione. In termini più semplici, la Costituzione, il
diritto comunitario, i princìpi informatori dell’ordinamento e le norme
processuali credo esauriscano quasi del tutto il panorama giuridico del diritto
vivente entro i quali il Giudice di Pace possa pronunciare secondo equità ! Conseguentemente, potrebbe ben dirsi che “sono
appellabili tutte le decisioni del Giudice di Pace, a nulla rilevando se sono
pronunciate o meno secondo equità, tranne quelle di opposizione alle sanzioni
amministrative”. Tale mia severa interpretazione è data anche dal fatto che non
può adottarsi un giudizio “preventivo” sulla eventuale violazione che
giustifica l’appello. In altri termini, l’appello sarà sempre possibile per il
solo fatto di invocare la violazione di norme costituzionali, comunitarie,
dell’ordinamento e processuali e ammesso che il Tribunale in composizione
monocratica (che è il Giudice di Appello avverso le sentenze del Giudice di
Pace) rigetti l’appello, quest’ultimo sarà a sua volta ricorribile per
Cassazione secondo i princìpi generali, non essendovi altro rimedio o
limitazione a che ciò accada. Ovviamente le decisioni del Giudice di Pace saranno
ricorribili per Cassazione immediatamente, quando rientrano tra quelle previste
dall’art. 360 c.p.c. Non ha più ragion d’essere, quindi, se non in
residui e rarissimi casi, la pronuncia secondo equità ammessa per le cause
inferiori al valore di 1100 euro perché la sua appellabilità per i casi ora
previsti dal terzo comma dell’art. 339 c.p.c. di fatto annulla o comunque
restringe fotemente la portata del secondo comma dell’art. 113 c.p.c. Indirettamente,
sembra peraltro non toccato dai limiti suddetti il contenuto dell’art. 114
c.p.c. che riguarda la pronuncia secondo equità, priva dei limiti imposti dall’ordinamento,
quando è richiesta concordemente da entrambe le parti. |
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