(ASAPS) PALERMO – Era il 20 maggio 1996 e il centro di Palermo venne squarciato da decine di sirene. “Hanno preso Brusca”, diceva la radio. Quattro anni dopo le esplosioni che uccisero Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e gli agenti delle rispettive scorte, i poliziotti scortarono il boss di San Giuseppe Jato in manette a scontare il debito che aveva contratto con la Giustizia. Furono grida di vittoria, lanciate al cielo dagli uomini e donne che erano state fino a quel momento nel suo mirino di uomo spietato e sanguinario al soldo di Cosa Nostra ed alle dirette dipendenze di Totò Rina, catturato dai Carabinieri qualche anno prima. Oggi la scena si ripete, con il medesimo giubilo di poliziotti abituati a poche chiacchiere per troppi anni, impegnati nella caccia più difficile che il nostro Paese ha dovuto condurre fino al neanche troppo sperduto casolare di Corleone, a due passi dalla piazza centrale, che porta il nome più volte violato dei suoi due più acerrimi nemici: Giovanni e Paolo. Con loro, oggi, ricevono soddisfazione i fantasmi di tutti i caduti di Mafia: giudici, poliziotti, carabinieri, giornalisti e tanta gente comune, che ha alzato la testa orgogliosa per dire no alla prepotenza tracotante della Cupola e che ha ricevuto in cambio pallottole e tritolo. {foto3s}Oggi il nostro cuore torna agli anni delle guerre di Mafia, alle continue edizioni straordinarie dei tiggì nazionali, alle stagioni dei maxiprocessi, al fisico minuto di Antonino Caponnetto che segue i feretri dei suoi amici più cari, saltati come fuscelli sui quintali di tritolo stesi sotto le autostrade come nel centro di Palermo, innescato da gente capace di togliere la vita come si stacca una spina delle corrente. Gente capace di sciogliere un bambino nell’acido. È una guerra lunga, quella contro la Mafia, cominciata ben prima del 1893, quando venne ucciso Emanuele Notarbartolo, sindaco siciliano ammazzato per il suo no alla Mafia. Una guerra passata per l’uccisione di Joe Petrosino, per la strage di Portella delle Ginestre, e poi per la grande guerra di Mafia degli anni ’50 fino a Piersanti Mattarella e poi i giudici, i giornalisti, gli imprenditori. Impossibile, oggi, ricordarli tutti. Lo faremo domani, quando tutto sarà più chiaro. Oggi ringraziamo con tutto il nostro cuore gli uomini e le donne, con la toga, con la divisa, con una penna o anche solo con la partecipazione e con il consenso, e perché no, anche con il Pentimento, che hanno permesso di chiudere questo cerchio. Uno degli ultimi che restavano. Le grida dei poliziotti coi passamontagna resteranno alte nel cielo di Palermo, più fragorose di uno scoppio, più risonanti di uno sparo. Bernardo Provenzano è in prigione, dopo 43 anni. Gli auguriamo di restarci per sempre.(ASAPS) Fotografie tratte da Repubblica.it |
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