R. C’è una vecchia barzelletta che narra di un cowboy che entra in un saloon con il suo cavallo. Si avvicina al bancone e dice al barista: “Un doppio wisky per il mio amico”. Il barista resta un poco perplesso, ma poi gli serve quanto chiesto. Il cavallo prende il bicchiere e scola tutto sino all’ultima goccia. Il barista, pur stupefatto, dice al cowboy: “Uno anche per lei?”. “No” fa l’altro “Io debbo guidare!”. Perché sto raccontando questa barzelletta, trattando di un problema su cui c’è poco da ridere? Perché quando le cose finiscono nelle barzellette, allora vuol dire che sono di conoscenza generale. Che l’alcol alteri il nostro modo di comportarci e di giudicare, come pure che ci possa indurre a creare situazioni ad alto rischio per noi e per gli altri, è a conoscenza di tutti; un poco come il fatto che se piove e non hai un ombrello, o un impermeabile, ti bagni. E questo è noto a tutti, da tanto tempo: si pensi alla Bibbia, dove viene tratteggiato efficacemente un Noè completamente ubriaco, che dà una pessima visione di sé ai propri figli. D. Ma anticamente, forse, la cosa non aveva tutta questa importanza che ha oggi… R. Tutt’altro. Gli antichi avevano ben chiaro il problema, come pure la sua importanza sociale: e questo almeno già sei secoli prima di Cristo. Come racconta Diogene Laerzio, Pittaco sosteneva che “l’ubriaco che commette una colpa deve essere punito con una pena doppia” (1); più o meno negli stessi anni, Solone – che era ancora più duro nelle cose - legiferava che “un magistrato colto in stato di ubriachezza deve essere punito con la morte” (2). Platone, il quale non disdegnava certo i convivi, suggeriva qualche anno dopo: “L’ebbro dovrebbe guardarsi allo specchio: solo così potrà astenersi da una tale sconvenienza” (3). E anche in Oriente, sempre in quegli anni, troviamo precisi segnali al proposito: Confucio consigliava: “Non farsi intorpidire dal vino” (4); Buddha osservava: “Il distacco, l’astensione dal male, l’astensione dalle bevande inebbrianti, la vigilanza sugli stati mentali, questa è la più grande benedizione” (5). D. Ma allora il problema non è nuovo… c’è da sempre… R. E’ proprio così. E che le bevande alcoliche alterino le nostre capacità, di giudizio e di performance, è un segreto di Pulcinella: nessuno può dire: “Non lo sapevo”. D. Deduco, quindi, che Lei è decisamente contrario all’uso delle bevande alcoliche. R. In assoluto, no. L’alcol viene da molto lontano: fa parte della nostra civiltà da almeno 4.000 anni. L’uso di bevande alcoliche è per molti gradevole; e, se si ha l’età giusta e una salute adeguata, un consumo limitato non è di per sé necessariamente riprovevole, né sembra comportare rischi di sorta. Tuttavia, anche a basse dosi, l’alcol può avere una nefasta influenza sulla nostra capacità di “intelligere” e di comportarci civilmente. E questo va tenuto sempre presente. Il tutto, poi dipende dal contesto: se alzare il gomito una rara volta non comporta necessariamente problemi per la salute (“Semel in anno licet insanire”, per dirla con una frase nuova), dobbiamo essere coscienti che questo vale in genere, ma non per alcune situazioni specifiche, una delle quali è la guida di un veicolo. Non si diventa cirrotici per aver bevuto troppo una rara volta; ma in occasione di quella rara volta, si può provocare un incidente grave o mortale se si va in giro guidando. L’alcol è così: per far danni alla salute gli ci vuole del tempo (e nemmeno tanto, a differenza di quello che credono alcuni); ma, a meno che non ci si intossichi disastrosamente, la sua azione non è per così dire “puntuale”. Sul versante della sicurezza, invece, l’alcol è sempre in agguato: anche una volta può essere di troppo. La guida, come pure altre attività a rischio, che richiedono precisa attenzione, dovrebbe avere sempre per protagonista un soggetto “lucido”, completamente. Come diceva Buddha nella sentenza ricordata: “… la vigilanza degli stati mentali…”. Il fatto è che l’alcol altera disastrosamente la nostra facoltà di giudizio e di azione; e quindi va fatta una netta distinzione tra i suoi effetti sulla salute del singolo e quelli relativi alla sicurezza degli altri. Per fare un ulteriore esempio, se un pilota si beve due o tre bicchieri e poi si mette in poltrona a leggere o ad ascoltare musica, o a riordinare i francobolli della sua collezione, va tutto bene; se invece poi va a pilotare un aereo, non va bene niente. D. Quindi… uso moderato di alcol, se la situazione lo consente… R. Un uso moderato… se uno ne fa uso. Di bere alcolici, non ce lo consiglia certo il medico. Se uno non beve, meglio così. D. Sembra però che l’alcol, in piccole dosi, faccia bene a livello cardiovascolare… Per quanto riguarda gli effetti cardioprotettivi dell’alcol, almeno da un punto di vista epidemiologico, credo che il tutto vada inquadrato considerando anche che l’alcol è un forte fattore di rischio nel determinare tumori, e che per il manifestarsi di alcuni di questi il rischio cresce enormemente se il soggetto fuma. D. Per quanto riguarda la sicurezza stradale, le conoscenze sul fenomeno “Alcol & Guida” sono definitive? R. Completamente. E possono essere sintetizzate in tre punti principali: il rischio di provocare un incidente grave o mortale cresce rapidamente con l’alcolemia del conducente. In altre parole, se ad una certa alcolemia il rischio è x, quando questa raddoppia, il rischio non è 2x, come verrebbe semplicisticamente da pensare, ma molto più consistente: 6x, 10x…: anche di più: dipende dai livelli; a parità di alcolemia, il rischio è assai più elevato per chi fa meno frequentemente uso di alcol (con buona pace del “Semel in anno…”); a parità di alcolemia, il rischio è molto più elevato per i soggetti più giovani. Nei diversi studi effettuati nel mondo, sono sempre emerse queste evidenze, le quali peraltro hanno loro precise spiegazioni, che sarebbe tuttavia non agevole approfondire in questa sede. D. Da questo discende un preciso segnale per i giovani conducenti… R. Per i giovani e per i meno giovani. Anzi, per quanto riguarda la guida in stato di ebbrezza alcolica, sono i meno giovani a dare il cattivo esempio e a costituire una parte importante del problema. D’altronde, non dimentichiamo che in base ai dati della Società Italiana di Alcologia (SIA), viviamo in un paese dove si contano circa un milione di alcolisti e tre milioni di bevitori eccessivi: quattro milioni di soggetti, in gran parte possessori di patente, che potremmo incontrare sulla nostra strada. Il dato è rilevante: se togliamo dai 58.331.691 italiani (stima ISTAT per il 2006) i bambini e i soggetti anziani (diciamo quelli di 70 o più anni di età), restano 41.755.125 persone. I predetti quattro milioni di soggetti, alcolisti e bevitori eccessivi, costituiscono quindi circa il 10% di questa massa! E non è banale sottolineare che 10% vuol dire uno su dieci. E’ un dato su cui riflettere: un italiano su dieci ha problemi rilevanti o devastanti in relazione all’alcol. Si rifletta attentamente sul fatto che questo dato non riguarda solo la sicurezza stradale, ma anche aspetti quali la famiglia, il lavoro, l’ordine pubblico. D. Quanto ci ha detto sinora, forse spiega perché nei controlli su strada ci siano così tanti conducenti al di sopra del limite legale… R. Il dato relativo ai controlli delle FF.OO. va interpretato, in quanto si tratta di controlli mirati. In altre parole, le FF.OO. fermano di preferenza quei soggetti che mostrano comportamenti di guida che destano un “fondato sospetto”, come si suol dire. E’ il loro lavoro, ed è bene che sia così, per la sicurezza di tutti noi. La prevalenza di soggetti positivi a tali controlli sovrastima, quindi, la reale prevalenza di soggetti che guidano sotto l’influenza di bevande alcoliche. Tuttavia, quei pochi dati che si hanno in relazione a controlli puramente casuali, sono comunque allarmanti. In certe ore, specie quelle serali o notturne, la guida sotto l’influenza di alcol non è rara, bensì piuttosto comune. D. Se questa è la situazione per quanto riguarda l’alcol, che può dirci in merito alla guida sotto l’influenza di sostanze psicotrope… sostanze d’abuso, per intenderci? R. Il discorso è analogo a quello fatto per l’alcol, solo ancor più serio perché riguarda soprattutto le nuove generazioni, i giovani: così come stanno andando le cose, il problema “Sostanze & Guida” appare “minore” tra quelli che derivano dall’uso di sostanze. D. La sento preoccupato al riguardo… R. Molto, davvero molto. Preferirei limitare l’intervista all’alcol, se non le dispiace. Magari, parleremo di droghe un’altra volta: è un discorso amaro, grave, lungo e difficile. D. Mi permetto di insistere… teniamo molto ad esplorare anche questo aspetto. R. D’accordo. Ma non lo faccio volentieri: il problema è complesso e delicato; e non appare facile trattarlo negli spazi di un’intervista. Comunque… per quel che riguarda il rischio di incidente stradale, pur non essendo disponibili studi definitivi sull’andamento funzionale del rischio in base alla concentrazione ematica delle sostanze (come invece è per l’alcol), tale relazione appare del tipo di quella già vista per l’alcol: il rischio di provocare un incidente stradale grave o mortale aumenta rapidamente all’aumentare dei livelli ematici della sostanza. Ma le cose, come dicevo, sono assai complesse. In primo luogo, oggi siamo in presenza di una generale tendenza alla poliassunzione: e quindi c’è anche da tener conto dell’interazione tra le diverse sostanze assunte; poi c’è il problema che in molti casi oltre alla sostanza (le sostanze…) viene spesso assunto anche alcol. E quindi va considerata pure l’interazione tra sostanze ed alcol. Deve essere chiaro, inoltre, che l’alcol è una sola sostanza (l’etanolo): le “sostanze”, che a fronte dell’alcol sembrano semplicemente l’altra faccia del problema, sono invece tante, innumerevoli molecole diverse, con effetti diversi. E sul mercato ne compaiono continuamente di nuove, oggetti perversi di sintesi chimica. Da tutto questo si dovrebbe ben comprendere come mai i controlli delle sostanze siano più problematici di quelli relativi all’alcol, ed enormemente più costosi. D. E intanto sembra che l’uso cresca anche tra i più giovani… R. A proposito del crescere dell’uso di certe sostanze, anche tra i giovanissimi, mi viene da fare una riflessione: la mia generazione, quella dei nati degli anni ’40, come pure le precedenti, era caratterizzata dal fatto che non era semplice farci prendere una medicina: assumere un semplice farmaco - magari davvero necessario – era cosa sgradita a priori. Le generazioni successive, almeno così a me sembra, hanno invece in questo senso sviluppato una particolare propensione ad “assumere”; ed in alcuni – non pochi, a quanto pare - questo sembra arrivare sino a delegare a certe molecole esperienze interiori intense. L’assunzione come “metodo”, in un certo senso. D’altra parte, il mondo cambia, è giusto che sia così. Ma resta il fatto che le sostanze non fanno bene alla salute, al naturale sviluppo del cervello, come pure alla sicurezza di tutti. Un solo esempio: l’uso della cocaina sta crescendo da tempo. A parte i problemi che possono crearsi per la sicurezza stradale, come pure per altri aspetti della sicurezza sociale, la cocaina è assai dannosa per il sistema cardiovascolare, specie se c’è uso congiunto con alcol. Credo (e spero tanto di sbagliarmi) che assisteremo tra qualche anno ad un’epidemia di infarti in persone giovani. Peraltro, l’uso di questa sostanza favorisce la morte improvvisa. A questo proposito, ho avuto già modo di rilevare con un’analisi dei dati di mortalità, che le morti improvvise dei giovani sono aumentate vertiginosamente in concomitanza con la diffusione della cocaina. Per fare un solo esempio, nella fascia di età tra 25-29 anni, fino al 1980 morivano circa 5 persone ogni anno: nel 2002 i casi sono saliti a circa 70, nonostante che di giovani in questa fascia di età ce ne siano di meno. Non sono ancora in grado di affermare che tutto questo sia dovuto principalmente ad uso di cocaina; ma tra le diverse possibilità, questa appare la spiegazione più convincente. D. Ma a fronte di tutto questo, a suo parere cosa si può fare? R. A mio parere… ha fatto bene a sottolinearlo, perché altro è dire quello che secondo la propria opinione andrebbe fatto, altro è farlo. Nel “dire” si deve solo badare ad essere coerenti e a non uscirsene con stupidaggini; nel “fare”… ci sono mille problemi, di natura diversa, le cosiddette “condizioni al contorno”, come si dice in fisica, che limitano le possibilità del nostro operare. Che fare, dunque? Difficile dirlo. Ma non voglio sottrarmi alla domanda. Le risponderò segnalandole un certo numero di punti che terrei in debita considerazione. D. D’accordo. E quali sono questi punti? Quali punti da tenere in debita considerazione? R. Li elencherò brevemente. In primo luogo, visto come stanno le cose, la lotta al problema Alcol, Sostanze & Guida parte dalla lotta all’Alcol e alle Sostanze. Questo “dogma” è stato più volte ribadito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, e deve essere sempre tenuto presente. Bisogna fare tutto e più di tutto per ridimensionare i problemi che discendono dall’uso dell’alcol e delle droghe, di cui la guida in stato alterato è uno dei tanti. Molto si fa già: si può e si deve migliorare ancora, tenendo conto che le azioni possibili si pongono su piani diversi: attenzione di base su quel che riguarda l’alcol (ad es. pubblicità palese od occulta, orari e luoghi di vendita, alcol e minori, alcol e lavoro, alcol e salute, ecc. ecc.); fermezza totale sul mercato criminale delle sostanze d’abuso; evitare che si realizzino situazioni a rischio, operando in termini di prevenzione di base, in particolare sui soggetti più suscettibili di venirsi a trovare in tali situazioni; offrire precocemente aiuto a chi lo necessita, onde far sì che la situazione in cui si trova non si consolidi; offrire concrete possibilità di aiuto a chi è, per così dire, in una situazione “avanzata”; sostenere il soggetto che ha risolto i suoi problemi per quanto riguarda gli inevitabili successivi aspetti di carattere sociale (nella famiglia, nello studio, nel lavoro, ecc.); operare in termini generali per far sì che i problemi connessi con alcol e droga siano visti dalla gente come “cose che possono succedere” e dalle quali si può venir fuori con un po’ di buona volontà e con il sostegno e la comprensione di tutti. Quest’ultimo punto mi sembra particolarmente importante: chi ha problemi di questo tipo non è visto generalmente di buon occhio dalla gente, è segnato. In questo, io credo, sia necessario cambiare il punto di vista corrente: può succedere, e succede a moltissimi. La vita a volte ti prende la mano. L’importante è che il problema poi si risolva. La riprovazione sociale corrente peggiora a mio parere le cose, e non aiuta chi è nei guai ad uscirne più facilmente. Fermezza sì, ma anche comprensione. Come ho già detto, per fortuna, molto già viene fatto: si potrebbe, però, cercare di farlo meglio, con maggiore intensità, diversificazione e la collaborazione di tutti. Mitigare il peso di questi problemi all’origine non può che riflettersi positivamente sul problema che stiamo trattando. D. Questo, però, riguarda l’alcolismo e le tossicodipendenze, le aree da cui partire, come prima diceva. E per quanto concerne più specificamente la guida? R. Per quanto riguarda invece i problemi relati alla guida, credo sia bene riflettere su un fatto: coloro che guidano in stato di ebbrezza o sotto l’influenza di droghe, non bevono o si drogano perché poi debbono mettersi a guidare: bevono e assumono sostanze, e poi si trovano a guidare. Nella guida, quindi, si manifesta un loro stato di essere, un loro modo di comportarsi correntemente, che – e va detto con decisione – è incompatibile con una guida sicura. E questa è, come detto, la ragione per cui bisogna partire dalla lotta all’alcolismo e alle tossicodipendenze. D’altra parte, la strada può essere di grande utilità nell’identificare soggetti che hanno dei problemi con alcol o sostanze. Al proposito, ho recentemente dimostrato in un articolo tecnico pubblicato da “Polizia Sanitaria” (6) che se un conducente controllato su strada risulta positivo per due o più volte agli accertamenti, allora si tratta quasi certamente di un soggetto che ha rapporti problematici con alcol o droghe; e, quindi, dovrebbe riottenere la patente di guida solo dopo aver effettivamente risolto questi suoi problemi. Questi soggetti debbono essere presi in carico da un alcologo o da un esperto di tossicodipendenze, i soli che possono certificare se i problemi che esistevano sono stati risolti o meno, al di là di una rinormalizzazione di parametri ematochimici. Naturalmente, sto parlando di soggetti fermati per controllo, non di conducenti responsabili di incidenti con lesioni alle persone: in questo caso la normativa deve essere molto più rigida. Tempo fa, ricordo di aver letto sul vostro sito (il sito dell’ASAPS, ndr) la notizia che un tale era stato condannato a cinque anni di carcere per aver investito ed ucciso due donne, guidando ubriaco. Quello che mi ha colpito, però, è che – se non ricordo male – in precedenza al tale gli avevano già tolto la patente sei volte per guida in stato di ebbrezza. Fatti come questo non dovrebbero accadere. In generale, credo che andrebbe ribadito questo principio: chi non guida seguendo stili minimali di sicurezza (per sé, ma soprattutto per gli altri), ed insiste in un atteggiamento antisociale - e io aggiungerei volgare in relazione ai diritti naturali altrui - va escluso dal sistema circolazione, senza esitazioni e senza arzigogoli. Proprio a questo fine, penso sia necessario rivedere, e standardizzare, i criteri di giudizio delle Commissioni Mediche Locali (CML), per fare in modo che – raccogliendo i dati degli utenti in un data base comune – sia sempre disponibile per il giudizio l’intera storia di guida del soggetto. Andrebbero poi introdotti dei “tempi minimi” per riottenere la patente dopo una positività ai controlli su strada, tempi che dovrebbero essere sempre più dilatati al persistere di certi comportamenti. Tanto per fare un esempio concreto di quello che intendo, una regola potrebbe essere quella desumibile dalla tabellina sottostante, che considera anche situazioni estreme come quella del conducente di cui prima si parlava:
Questa progressività “veloce” della durata del tempo minimo per riottenere dalla CML la patente di guida, credo avrebbe due conseguenze interessanti: un notevole effetto deterrente, specie sui giovani; l’allontanamento pratico dalla guida di soggetti particolarmente pericolosi. A prima vista il tutto può sembrare forse un po’ punitivo; ma, d’altra parte, se uno persiste in certi comportamenti ad alto rischio vuol dire che non è tagliato per una guida sicura: e quindi non sembra irragionevole concludere (in base a fatti, non ad opinioni) che egli non è idoneo alla guida. Esistono tante situazioni analoghe in cui la legge inibisce a certe persone alcune attività: non credo, ad esempio, che alcuno possa scandalizzarsi se ad un individuo affetto da una pericolosa malattia infettiva venga impedito di fare il cuoco. D. E per quanto riguarda i controlli su strada dei conducenti? R. I controlli ordinari (quelli per fondato sospetto) andrebbero intensificati ulteriormente, affiancandoli però con una quota di controlli puramente casuali, i soli che possano darci una corretta visione dell’andamento nel tempo e sul territorio del fenomeno. D. C’è ancora molto da fare, dunque… R. Certo. E si può fare, come alcuni paesi, quali l’Australia o il Regno Unito, hanno già ampiamente dimostrato. Peraltro, impegnarsi con decisione per ridurre la prevalenza della guida sotto l’influenza di alcol e sostanze, non è soltanto un modo per raggiungere l’obiettivo dell’Unione Europea di ridurre per il 2010 del 50% gli incidenti stradali e le loro conseguenze, ma anche una strada obbligata per cancellare dalla nostra vita di tutti i giorni episodi tragici, profondamente ingiusti, che non possono essere accettati in una Società che voglia definirsi “civile”. BIBLIOGRAFIA (1) Pittaco, VI sec. a.C., riportato da Diogene Laerzio in “Vite dei filosofi”, Libro I, cap.IV, 76) | |||||||||||||||
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