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Rassegna stampa Alcol e guida del 25 aprile 2006

 L’ADIGE

Licenziato dalla ditta dopo l’incidente
Era stato investito dall’auto che travolse anche Melania

Il 6 agosto scorso Melania Grassedonio, un’allegra bimbetta di 10 anni, venne travolta e uccisa da una macchina impazzita ad Arcade, nella Marca trevigiana. La piccola - nativa di Rovereto e residente ad Ala fino al trasferimento, lo scorso anno, della mamma in Veneto - ora riposa nel cimitero di San Marco a Rovereto. A voler traslare la salma dal camposanto di Arcade a quello della città della Quercia è stata la stessa madre, impressionata dal continuo, assurdo e sacrilego furto di fiori dalla tomba della bimba. Quell’immane tragedia, tra l’altro, la scorsa estate aveva fatto il giro d’Italia. Per la morte di una piccola innocente, per il ferimento di altre cinque persone ma anche per la dinamica dell’assurdo incidente. La procura di Treviso ha raccolto tutti gli elementi - la ricostruzione del folle scontro, l’esito delle analisi del sangue sul conducente del mezzo assassino e le testimonianze dei passanti - e dopo aver chiuso ufficialmente l’inchiesta ha chiesto il rinvio a giudizio dell’indagato Stefano Girardi. Le accuse mosse dal sostituto procuratore Francesca Torri nei suoi confronti sono quelle di omicidio colposo, lesioni personali gravi e guida in stato di ebbrezza. L’automobilista, tra l’altro, si era già giocato la patente per ubriachezza in una precedente occasione quando, sotto i fumi dell’alcol, si era messo al volante della sua macchina uccidendo un passante. La vicenda, però, non dovrebbe limitarsi all’udienza preliminare e al patteggiamento, se concesso, oppure al processo. Girardi, infatti, si è liberato nel procedimento penale della famiglia della bimba uccisa. La signora Grassedonio e gli altri figli non si costituiranno parte civile perché i danni sono già stati risarciti dall’assicurazione. Chi non ha ricevuto un euro, e ha tutto il diritto di essere ristorato per le lesioni subite, è l’uomo che quella tragica sera era con Melania, i fratellini e la mamma alla sagra di Arcade, Fabrizio Musa. La macchina impazzita di Girardi, quella volta lo travolse e non ammazzò pure lui per miracolo. Musa se la cavò con una triplice frattura, le due caviglie e un ginocchio. Dentro di sé porta ancora le placche di metallo che i medici sono stati costretti ad applicare dopo l’incidente. La malattia, dunque, continua ed ha già superato gli otto mesi.

E l’uomo, al di là della sofferenza fisica, ha perso anche il lavoro. Lui è tecnico manutentore di una ditta che ha un appalto dalla Rete ferroviaria italiana. Lo scorso agosto era stato incaricato di provvedere alla manutenzione di quattro nodi ferroviari in altrettante stazioni delle Ferrovie dello Stato della zona. Ovviamente, visto che si trovava all’ospedale, non ha potuto provvedere. La conseguenza è stata che la Rfi non ha pagato la sua ditta e lui, a gennaio, è stato licenziato. La società, comunque, ha già annunciato una causa civile nei confronti dell’assicurazione dell’automobilista per ottenere il ristoro del mancato guadagno. Per conto, lo stesso Musa si costituirà parte civile ma prima di ottenere un risarcimento anche minimo dovrà attendere, purtroppo, molto tempo. Oltre all’esistenza distrutta da un guidatore alticcio, quindi, si trova ora senza un conforto economico per quanto gli è capitato. Quell’assurdo incidente estivo, come detto, ha creato non poco clamore. A tal punto che lo stesso automobilista quella sera ha rischiato il linciaggio in piazza dopo aver travolto con la sua Bmw impazzita l’intera famiglia lagarina (Rita Allegro e quattro figli) e Fabrizio Musa che stavano passeggiando per la sagra di Arcade. N. G. (*)

 

(*) Nota: ho scelto questo articolo per iniziare la rassegna di oggi, perché credo che meriti particolare attenzione.

Questa vicenda è la descrizione esemplare di una situazione vergognosa che viviamo nel nostro paese: nessuno si può “chiamare fuori”, quello che è capitato a quest’uomo può capitare a ciascuno di noi.

La battaglia di Giovanni Delle Cave, che continua il suo sciopero della fame (vedi rassegna di ieri e articolo successivo) va sostenuta con tutto il nostro impegno.

Potete esprimere il vostro appoggio a Giovanni Delle Cave, scrivendogli al seguente indirizzo di posta elettronica stradasicuralt@yahoo.it


 

COMUNICATO AICAT

ASSOCIAZIONE ITALIANA DEI CLUB DEGLI ALCOLISTI IN TRATTAMENTO

L’AICAT esprime solidarietà a Giovanni Delle Cave per la sua campagna contro la facilità con la quale vengono rimesse in libertà le persone che si sono rese colpevoli di incidenti mortali sulle strade.

In particolare, in Italia contiamo ogni anno sulle strade oltre 1.500 morti di "alcol passivo" cioè persone inconsapevoli ed innocenti che vengono uccise da guidatori che hanno assunto alcol.

A causa della radicata cultura alcolica di questo paese, queste tragedie quotidiane vengono però rimosse, forse vengono considerate fatali, e quindi esiste uno strabismo per cui ci si preoccupa dei rischi degli OGM o dell’influenza aviaria anzichè di chi si mette alla guida dopo aver bevuto.

Ci auguriamo che la sua campagna possa contribuire a ridurre questo inaccettabile strabismo ed a convincere le autorità che occorre molta più severità, che occorrono pene esemplari che funzionino come dissuasori.

Ennio Palmesino - Presidente AICAT


 

CORRIERE DELLA SERA – Economia

FOCUS

Quella voglia di crescere della Campari

 Non è stata un’assemblea «di routine», quella di ieri tra i soci della Campari. Oltre ad approvare il bilancio 2005, infatti, gli azionisti hanno delegato agli amministratori la facoltà di aumentare il capitale e di emettere obbligazioni. La delega, che vale per i prossimi cinque anni, lancia un segnale molto chiaro: l’azienda, italiana e a proprietà familiare, vuole continuare sulla strada delle acquisizioni. Con la decisione di ieri, infatti, si snelliscono le procedure per raccogliere fondi: così, quando sul mercato spunta un boccone allettante, è più facile trovare in tempo utile le risorse per afferrarlo. E le «occasioni da non perdere» sembrano avere già alcune coordinate di riferimento: segmento degli alcolici, mercati tedesco e britannico. L’impegno finanziario? Solo un mese fa l’amministratore delegato Vincenzo Visone aveva parlato di 500 milioni di euro a disposizione della «campagna acquisti» 2006. A indicare come in questo settore il made in Italy avrà ancora un buon rappresentante. Anche perché, se gli attesi aumenti di capitale ci saranno, è difficile che si arrivi a grossi cambiamenti nella compagine sociale. Le acquisizioni del passato non hanno infatti «spodestato» la famiglia Garavoglia dal trono di primo azionista (oggi con una quota superiore al 50%). Famiglia che anzi ha riacquistato l’impero ceduto in parte nel passato. (g.str.)


 

L’ARENA di Verona

Dolore e rabbia a San Bonifacio e a Colognola ai Colli per i giovani fidanzati travolti da un guidatore in stato di ebbrezza

«E’ stato omicidio e il colpevole è fuori»

Funerale comune dei due giovani giovedì nella parrocchia della Prova

Incredulità e indignazione. Sono i sentimenti dominanti a San Vittore di Colognola ai Colli e a San Bonifacio, dove abitavano Giulia Biondani e Andrea Gecchele, i due ragazzi che sabato pomeriggio hanno trovato la morte in viale Piave. La moto sulla quale viaggiavano era stata investita da un’auto che procedeva contromano e alla cui guida c’era un operaio di nazionalità romena risultato ubriaco. Tra i famigliari dei fidanzati, entrambi dovevano ancora compiere 22 anni, al dolore si aggiunge la rabbia per la scarcerazione dell’investitore.

Per le due giovani vittime ci sarà un’unica cerimonia funebre, giovedì alle 16, nella parrocchia della Prova, a San Bonifacio. Tempo permettendo, si svolgerà all’aperto.

 
«No, non c’è più niente da dire. Nessuna parola, nessuna foto sui giornali ci potranno restituire il nostro ragazzo. Era partito da casa sano, pieno di vita e di allegria e ora non c’è più». La mamma di Andrea, Giuseppina, ci riceve sulla porta, ha gli occhi gonfi per le lacrime. Con lei c’è la sorella. Sono cortesi ma non se la sentono proprio di parlare della loro immensa pena.

In mattinata, davanti all’abitazione di via Corte Pezza, in località Gazzolo di San Bonifacio, era arrivata anche la troupe di una televisione milanese. «Sono venuti qui con telecamere e microfoni senza nemmeno avvisarci, senza chiedere permesso, ci vorrebbe più rispetto per una famiglia che soffre», sospira la zia del povero Andrea. L’incidente di sabato ha fatto il giro d’Italia. Ne hanno parlato tutti i telegiornali della Rai e di Mediaset. «Ma non ne capiamo il motivo», commentano le due donne. «Di tragedie così purtroppo ne succedono tante, perché fare tanto scalpore per questo fatto? Non si è fatto altro che aggiungere sofferenza a sofferenza e adesso chiediamo solo un po’ di silenzio».

L’abitazione, circondata da un giardino ben curato, si raggiunge da una stradina sterrata in mezzo alla campagna che si imbocca da via Madonna Pellegrina, lungo la quale si trovano una piccola zona industriale e, più avanti, oltrepassato un grande capitello dedicato alla Vergine, una serie di case. È lì che ci indicano il luogo in cui vive la famiglia Gecchele. «Povero ragazzo, e poveri genitori...», scuote la testa una signora. Tutto, nonostante il sole e la splendida giornata primaverile, è avvolto da un alone di tristezza.

Ma a fare rabbia è il modo in cui Andrea e Giulia hanno incontrato il loro tragico destino. «Mio figlio e la sua ragazza», continua la madre, «sono stati uccisi, che altro si può dire? Stavano andando per la loro strada, regolarmente, rispettando il codice della strada. Come si può definire, invece, chi li ha uccisi? Eppure, il colpevole della tragedia, è già fuori, in libertà. Lo so che è la legge che lo prevede. Ma è giusto? Io credo di no, mi sembra che ci sia troppa burocrazia e poca umanità». La donna trattiene a stento le lacrime. «Andrea e Giulia», aggiunge facendosi forza prima di richiudere la porta dietro a sé, «si volevano bene, andavano d’accordo come se ne vedono pochi, e pensavano ad un futuro insieme. Adesso non ci sono più... e non serve più nemmeno parlarne».

Giulia era diplomata all’istituto alberghiero e faceva la barista in città. Viveva a qualche chilometro di distanza dal suo Andrea, sulla collina di San Vittore, frazione di Colognola. I suoi genitori sono i custodi di villa Zanella, in centro paese. Quel sabato maledetto la ragazza stava andando col fidanzato a comprare un regalo per il compleanno del papà Nerino. È lui a riceverci, poco dopo mezzogiorno, al grande cancello d’ingresso. Poi scuote la testa. «No, preferisco non dire nulla...». Per tutta la mattinata nessuno aveva risposto al campanello. «Sono usciti presto», dice una vicina di casa. Subito si riunisce un gruppetto di donne. «Una disgrazia terribile, e tutto per colpa di un individuo, uno straniero per di più, che guidava ubriaco», esclama una di loro. «Si fa presto a parlare», ribatte un’altra, «ma di gente così in giro ce n’è tanta, troppa». Arrivano anche due colleghi di lavoro del papà di Giulia. «Non ci sono parole», commenta un giovane, «e pensare che anche Simone, l’altro figlio, era stato vittima di un incidente in moto, grazie a Dio si era salvato anche se gli sono serviti un po’ di mesi per riprendersi del tutto».

Le due famiglie, ora accomunate da un immenso dolore, hanno deciso che nel loro ultimo viaggio Giulia e Andrea saranno salutati insieme. La cerimonia funebre sarà comune e avrà luogo giovedì alle 16 nella parrocchia della Prova, a San Bonifacio, che appartiene alla diocesi di Vicenza. Per agevolare la partecipazione, tempo permettendo, il funerale si svolgerà all’aperto e sarà concelebrato dai parroci di San Vittore, don Flavio, e della Prova, don Gianni. I due ragazzi sono stati ricordati durante le messe di domenica. Per loro sarà recitato il rosario, nelle rispettive chiese, anche questa sera. «In momenti come queste le parole non servono a molto, la cosa più importante è che due famiglie non siano lasciate sole», spiega don Flavio Silvestri.

Solidarietà alle famiglie la esprime anche il capogruppo dei Verdi in Consiglio comunale, Giorgio Bertani. «Concordo con loro che liberare l’automobilista che ha causato il duplice incidente mortale sia stato un atto di ingiustizia. Il magistrato doveva applicare la legge con la massima severità». (e.s.)


 

L’ARENA di Verona

Protesta l’associazione delle vittime

«Norme indulgenti Colpire con severità i pirati della strada»

La tragedia dei due fidanzati, assieme a quella dei coniugi Perissinotto, che hanno trovato la morte in moto andando a sbattere contro due automobili, ha riaperto il dibattito su una norma, quella dell’omicidio colposo stradale, ritenuta troppo blanda.

Ieri è intervenuta l’Associazione italiana familiari e vittime della strada per «denunciare dopo l’ennesimo incidente mortale per colpa di chi guida sotto l’effetto di alcool la non volontà da parte delle istituzioni nel voler cambiare questo quadro di morte a cui assistiamo impotenti».

L’Associazione ricorda come sia sottovalutato il fenomeno della guida in stato di ebbrezza o in condizioni fisiche e psichiche alterate da sostanze stupefacenti.

«Si ricordano anche i troppi casi di morti per incidente per mano di automobilisti ubriachi o drogati che continuano imperterriti a guidare perchè l’emendamento votato dal Senato secondo il quale chi provoca un incidente mortale guidando ubriaco incorrerà nella revoca definitiva della patente solamente se trovato con alcolemia superiore a sei volte il limite previsto dalla legge, limite sulla soglia del coma etilico, permette e consente alle persone che non sono in grado di mettersi al volante, di continuare ad uccidere, anzi, mettono loro in mano a questi assassini la licenza di uccidere», afferma Pierina Guerra, dell’Associazione italiana familiari e vittime della strada di Venezia.

Ma da Firenze il mese scorso è partito una nuova proposta di legge per rendere più dure le pene a chi, con il suo comportamento sulle strade, crea un reale pericolo alla propria vita e a quella degli altri.

Il testo, predisposto da avvocati assieme all’Associazione vittime della strada, ha proprio l’obiettivo introdurre un sistema sanzionatorio più efficace di quello attuale. In concreto si tratta di predisporre un’adeguata tutela penale alla sicurezza della circolazione stradale, individuando una serie di comportamenti che, per la loro obiettiva gravità, creano un pericolo per la sicurezza sulle strade. In concreto la proposta di legge trasforma una serie di comportamenti, oggi semplicemente contravvenzioni, in delitti punibili quindi secondo il codice penale.

Comportamenti che vanno dal superamento di oltre 50 chilometri orari dei limiti di velocità allo stato di "grave" ebbrezza alcolica, alla guida in stato di alterazione da sostanze stupefacenti al lancio di oggetti sulla sede stradale, e a qualunque azione od omissione che causi un grave pericolo per la sicurezza della circolazione stradale.

Secondo gli estensori della proposta di legge in questo modo si ottiene una serie di risultati: prima di tutto porre l’utente della strada dinanzi alla consapevolezza che il legislatore considera alcune azioni come oggettivamente pericolose e punibili in quanto tali perché si caratterizzano come reati di pericolo, indipendentemente dal verificarsi o meno di danni concreti (questi rimangono comunque punibili e quindi concorrono al calcolo delle sanzioni).

In secondo luogo consentire alla polizia giudiziaria un immediato intervento di natura coercitiva, ovvero l’arresto in flagranza, non soltanto in caso di incidenti ma semplicemente quando nel corso dei controlli emerge a carico del conducente una delle fattispecie previste dalla normativa. In questo modo è quindi previsto il processo con giudizio direttissimo. Ancora inculcare nell’automobilista la prospettiva che, ponendosi in determinate situazioni o superando certi limiti di velocità, rischia concretamente il carcere. Infine inasprire le sanzioni amministrative accessorie, quale la sospensione della patente, che restano quelle più avvertite dalla mentalità comune.

La recente introduzione della patente a punti ed esperienze di altri paesi (fra i quali, particolarmente significativo è il caso della Francia) dimostrano che il rafforzamento del sistema sanzionatorio mirato alla sicurezza stradale produce risultati apprezzabili in termini di riduzione di sinistri mortali e con feriti. Un sistema sanzionatorio dove le pene non siano più soltanto un deterrente ipotetico ma vengano percepite come reale prospettiva di concrete sanzioni anche in termini della libertà personale.


 

L’ARENA di Verona

- Il comandante della Polizia municipale

«Alcol, problema sottovalutato da chi guida»

Altamura: «Il romeno che ha investito la moto in viale Piave aveva conseguito la patente in Italia»

C’è poco altro da fare se non adeguare la normativa, che dovrebbe essere più severa. Non c’è altro modo per contenere questa strage continua (*). È quanto si deduce dalle parole del comandante della Polizia municipale Luigi Altamura alla luce dei recenti incidenti mortali.

Comandante, un aprile di sangue sulle strade veronesi. C’è un filo comune tra le ultime tragedie, per esempio quella dei coniugi Perissinotto a Verona sud e quella dei fidanzati di viale Piave?

«Direi di no. Ogni incidente ha una storia a sè. E tutte le infrazioni al codice della strada sono potenzialmente fonte di tragedie stradali. L’inversione di marcia come la marcia contromano come il passaggio con il rosso».

Può esserci allora un problema di segnaletica e di sicurezza di alcuni punti?

«Voglio ricordare che per ogni incidente stradale, chi interviene per i rilievi, siano i vigili o la stradale o i carabinieri, ha l’obbligo di verificare le condizioni della strada e la segnaletica sia verticale che orizzontale per comunciare poi eventuali problemi all’ente gestore della strada dove si è verificato il sinistro. Posso dire che per l’incidente dei motociclisti accaduto a Verona sud non sono stati rilevati elementi che possono far pensare all’esistenza di problemi legati alla sicurezza stradale».

Il problema della guida in stato di ebbrezza è sottovalutato?

«Da noi no e per questo siamo molto rigorosi. Ma senza dubbio gli automobilisti prendono il problema sottogamba. Pensiamo che ben 123 incidenti sono stati provocati da guidatori in stato di ebbrezza. È un problema molto serio».

Può essere che gli stranieri fanno fatica a guidare qui da noi?

«Chi viene da fuori fa fatica a districarsi nel nostro traffico, soprattutto poi se guida veicoli che non conosce. Però va detto che il conducente romeno che ha provocato la tragedia di viale Piave, essendo residente in Italia da molti anni, aveva la patente conseguita qui da noi e aveva fatto i nostri esami. Non era, insomma, una patente straniera poi convertita in Italia».

 

(*) Nota: l’adeguamento della normativa è importante, ma la soluzione non è solo la severità della legge, ma soprattutto il farla rispettare.

Io penso che occorra moltiplicare i controlli, sulla scia degli altri paesi che in questo modo stanno ottenendo eccellenti risultati.

Controlli a tappeto, a tutte le ore, utilizzando i precursori…: chi si mette al volante dopo aver bevuto deve avere ben chiara la percezione che può essere sottoposto ad un controllo del suo tasso alcolico.


 

L’ARENA di Verona

- Indagini e polemiche

Il magistrato: «Ho applicato la legge»

Lo sconcerto dell’avvocato Scaravelli: «Al dolore si aggiunge la beffa»

«L’alcotest è stato fatto a entrambi i passeggeri della Opel perchè non era ancora chiaro chi dei due fosse alla guida ma per l’incidente in viale Piave c’è un solo indagato per duplice omicidio colposo, il conducente, mentre nessun addebito può essere mosso, ed è evidente, nei confronti del passeggero che quindi non concorre in alcun tipo di reato», pochissime frasi quelle del sostituto procuratore Marco Zenatelli, il pm in turno sabato Pur comprendendo e rispettando il dolore e la disperazione dei genitori delle vittime, il pm sottolinea che il ruolo di un magistrato è di rimanere «terzo», nel rispetto delle norme. Esse non prevedono, di regola, misure restrittive in caso di incidenti stradali.

E ricorda un episodio accaduto anni fa, quando sulla 434 si verificò un incidente con due morti. Mentre le forze dell’ordine stavano eseguendo i rilievi il conducente dell’auto che aveva provocato il sinistro cercò di allontanarsi e lui stesso dispose l’arresto che il giorno dopo non fu convalidato.

Chi per il mancato arresto è rimasto senza parole è l’avvocato Paolo Scaravelli, già capogruppo di Alleanza nazionale in Regione: «Da cittadino e da avvocato sono sconcertato. Le condizioni per procedere all’arresto dell’automobilista ubriaco c’erano tutte. Credo che il pericolo di fuga dell’automobilista sia concreto anche se l’uomo è regolare e ha un lavoro, potrebbe andarsene dal nostro Paese. Negli ultimi giorni sono morti quattro motociclisti in città, per responsabilità evidente di extracomunitari. E in nessun caso s’è proceduto al loro arresto. Il fatto che il reato sussistesse», continua Scaravelli, «non è stato sufficiente per i magistrati per far emettere misure cautelari che garantissero ai familiari delle vittime che queste persone pagheranno per le loro gravissime responsabilità. Il fatto che il romeno al volante non sia stato arrestato cozza contro il più elementare senso di giustizia. Ricordo che tempo addietro, specie quando si trattava di guida in stato d’ebbrezza la Procura di Verona in più di un’occasione ha proceduto all’arresto di automobilisti».

Aggiunge l’avvocato Scaravelli: «I familiari di queste vittime, oltre al dolore per la perdita di una persona che amavano subiscono la beffa di una sensazione di abbandono da parte di chi dovrebbe garantire giustizia».


 

L’ARENA di Verona

Una scia di sangue sulle nostre strade dove la media è di una vittima ogni due giorni per l’inosservanza delle regole

Incidenti, il triste record di Verona

Manovre contromano, alcol e la velocità delle moto sono un mix mortale

Nove motociclisti morti in questo mese, che salgono a 14 dall’inizio dell’anno.

I vigili hanno rilevato 123 scontri collegati all’abuso di alcolici, un fenomeno ancora sottovalutato.

La nostra provincia resta tra le prime in Italia con una media di 160 sinistri l’anno 

 di Elena Cardinali

Basta poco per trasformarsi in killer della strada. Qualche bicchiere di vino o di birra, un paio di bicchierini di superalcolico, una «riga» di cocaina, qualche pastiglia di ecstasy. Basta poco per uccidere o uccidersi quando si è al volante di un’automobile, di una moto o di un mezzo pesante avendo in corpo un livello pericoloso di alcol o di sostanze stupefacenti. La legge parla chiaro:con 50 milligrammi di alcol per litro di sangue si è oltre il livello di guardia. E per arrivarci basta poco, meno di quanto si possa pensare.

La guida in stato d’ebbrezza rappresenta uno degli aspetti più preoccupanti del più vasto fenomeno dell’infortunistica stradale che, a sua volta, si rivela allarmante, in particolare per i veicoli a due ruote. Solo nel Veronese, dall’inizio del mese, sono nove le vittime della strada che erano alla guida o passeggeri di una moto mentre dall’inizio dell’anno i motociclisti morti a causa di schianti sono stati 14.

In Italia dal primo gennaio 1995 al 31 dicembre 2004 il numero dei motociclisti morti in incidenti stradali è aumentato del 31,7 per cento. È quanto risulta dai dati elaborati dall’Asaps (Associazione amici Polizia stradale). In dieci anni si sono contati fra i «dueruotisti» 13.429 morti e 786.985 feriti, «cifre come quelle di una guerra», ha commentato il presidente dell’ Asaps, Giordano Biserni.

Se nel 1994 si contavano 1.178 vittime, nel 2004 si è toccata quota 1.552 (+ 31,7 per cento). I feriti sono passati da 62.381 a 90.035 (+44,3 per cento). In pratica il 27,6 per cento dei morti sulle strade e il 28,4 per cento dei feriti viaggiava sulle due ruote. L’Italia è prima in Europa nella graduatoria delle vittime, seguita da Francia, Germania e Spagna.

Anche l’abuso di alcol si sta rivelando sempre più incisivo nel settore dell’infortunistica. L’anno scorso le pattuglie della polizia municipale hanno rilevato 200 violazioni legate alla guida in stato d’ebbrezza, con il conseguente ritiro di 93 patenti di guida. Sempre i vigili hanno rilevato 123 incidenti stradali collegati all’abuso di alcol, su un totale di 2229 episodi (*).

Ma scavando tra i dati forniti dalla polizia municipale emergono altri dati significativi relativamente la binomio guida-alcol. La constatazione, ad esempio, che uno scontro su otto riguarda veicoli in cui viene coinvolto solamente il conducente in quanto unico occupante del veicolo. L’aspetto interessante è che in tre casi su otto questo tipo di incidenti è determinata da una momentanea incapacità di controllare il mezzo guidato a causa dei fumi dell’alcol, che inducono distrazione, sonnolenza oppure, nel peggiore dei casi, perdita della coscienza.

Ma c’è dell’altro. È stato calcolato che un incidente su 30 riguarda una fuoriuscita autonoma di strada, cioè veicoli che senza concorso di altri mezzi vanno a finire nei fossi, centrano alberi e piloni dell’illuminazione stradale o si schiantano contro cancellate o muri. Tra gli incidenti che avvengono in questo modo autonomo, dicono i dati della polizia municipale, uno ogni undici è determinato dalle condizioni di ebbrezza alcolica del conducente.

Questi dati rivelano solo la punta dell’iceberg. Negli ultimi anni, in cui la normativa in materia di guida in stato d’ebbrezza o sotto gli effetti degli stupefacenti si è fatta sempre più rigorosa, sono proliferati i controlli su strada per individuare i conducenti ubriachi e, di conseguenza, anche le statistiche hanno subìto un’impennata.

Basta pensare all’introduzione della patente a punti. Dopo soli 15 mesi dall’entrata in vigore della normativa il calo del beneficio avvertito inizialmente è andato assottigliandosi in modo costante. L’anno scorso, a livello nazionale, tra luglio e settembre il numero delle vittime, in particolare di quelle sotto i 30 anni, è tornato su livelli allarmanti.

Se dopo i primi due mesi, infatti, la riduzione era apparsa consistente (meno 26 per cento dei morti), dopo 15 mesi è risalita fino a meno 14 per cento). I numeri danno l’idea della gravità della situazione. Le statistiche parlano di quasi ottomila morti l’anno. In un quarto dei casi, a perdere la vita sono giovani al di sotto dei 23 anni. Per ogni persona che muore, per di più, due restano gravemente invalide.

Dati eloquenti, specie considerando che, secondo l’Istat, il 64 per cento degli incidenti e oltre il 60 per cento dei morti sono riconducibili a comportamenti a rischio degli automobilisti, come eccesso di velocità, guida distratta, uso del cellulare, assunzione di stupefacenti e alcol. Dati inquietanti anche dal punto di vista economico, visto che per fronteggiare i costi sociali e sanitari della sicurezza stradale si spendono 15 miliardi di euro all’anno.

Intanto la provincia di Verona continua a mantenersi ai primi nella poco invidiabile classifica degli incidenti stradali, con una media di 160 vittime l’anno. Solo in questo sono già 16 i morti a causa di schianti, di cui nove conducenti o passeggeri di una moto. Gli ultimi due sono stati ammazzati da un’automobile che filava contromano in viale Piave, guidata da un autista ubriaco. Solo pochi giorni fa, nel Lazio, sulla statale Pontina, un giovane alterato dall’alcol ha causato un incidente che ha provocato la morte di tre persone.

 

(*) Nota: siamo intorno al 5 per cento, un dato lontanissimo dalla realtà del fenomeno guida in stato di ebbrezza e incidenti stradali.

Significa che a Verona, nel 2005, in un migliaio di incidenti stradali alcolcorrelati non sono stati sottoposti a verifica dell’alcolemia i conducenti delle vetture coinvolte.

Chi guidava in stato di ebbrezza, pur avendo provocato un incidente, l’ha fatta franca.

Per avere dati realistici in futuro, tutti i conducenti coinvolti in sinistri, anche senza feriti, devono sempre essere sottoposti ad alcoltest.


 

IL GIORNALE

«Troppi killer impuniti La colpa è dei giudici»

di Andrea Acquarone

da Milano

Era una sera del 1997, sua figlia Valeria aveva 17 anni. Con suo fratello Marcello e un amico stava rincasando. Sentì il motore della loro auto rallentare e spegnersi, la mamma. E finalmente si sentì tranquilla. Erano tornati, tutto bene.
Il destino, invece, stava aspettando. Beffardo e crudele. Ebbero giusto il tempo di chiudere le portiere quei tre giovani. Ed ecco la morte materializzarsi nel buio. Una macchina, guidata da un ragazzotto forse ubriaco, sbucò nella stradina a velocità folle. Lo schianto fu tremendo. Valeria morì, gli altri due rimasero gravemente feriti.
Marcello, il fratello della vittima, oggi ha 28 anni e fa l’avvocato. Sua mamma, ma in questo caso soprattutto la madre di quella giovanissima morta senza senso, da cinque anni dedica la sua esistenza all’Associazione familiari e vittime della strada. Ne è la presidente. Si chiama Giuseppa Cassaniti, ex dirigente scolastica, una laurea in filosofia. Pina per gli amici. Il tempo non e riuscito a mettere la sordina al suo dolore.

E lei oggi si fa carico anche di quello altrui. Combattendo per ottenere giustizia. A colpi di manifestazioni, denunce, segnalazioni a governo e prefetti e assistenza legale alle troppe vittime di questa giungla mortale che sono le strade del Belpaese.
Qualcosa non funziona nella legge: che cosa, dottoressa Cassaniti?
«Il problema sta nelle istituzioni e nella giustizia che ancora sottovaluta questi reati di strage applicando pene risibili che offendono le vittime e chi a loro sopravvive lasciando liberi gli assassini.

Per questo da anni chiediamo controlli più efficaci sulle strade e forti misure sanzionatorie e penali per chi guida in stato di ebbrezza. Ciascuno ha facoltà di scelta, di decidere se rispettare i limiti o no, di sorpassare o meno. Di non rischiare la vita altrui. Chi uccide “scientemente” deve pagare. Ma qui nessuno fa mai un giorno di galera...».
Cosa fare, dunque?
«Primo, è necessario che si consideri il guidare sotto l’effetto di alcol o droghe una pesante aggravante del reato. In tali casi ci vorrebbe il ritiro definitivo della patente, oltre alla piena applicazione delle pene previste dall’articolo 589 del codice penale, riferite al limite massimo (12 anni di carcerazione ndr) e non al limite minimo, ovvero un anno ridotto di un terzo e sempre con sospensione condizionale della pena come fino ad ora è stato arbitrariamente fatto nei tribunali italiani. In tal modo una magistratura troppo “disinvolta” ha contribuito alla reiterazione del reato».
Colpa dei giudici, quindi...
«I casi eclatanti di mala giustizia nella gestione degli incidenti stradali non rappresentano l’eccezione, bensì costituiscono una prassi consolidata, la regola. Chi uccide resta di fatto impunito. Dove sta la perpetrazione dell’ingiustizia, nella legge o nei comportamenti arbitrari dei professionisti della giustizia?

È possibile che la vittima debba essere anche vittima di giudici capaci con i loro comportamenti iniqui di annullare il valore della legge?».
Loro rispondono che si limitano ad applicarla...
«È vero solo in parte. In Italia nessuno finisce in cella per aver col proprio comportamento dissennato al volante tolto la vita ad altri.

I giudici applicano sempre e solo il minimo della pena. Anche questo è uno dei motivi che ci hanno spinti a sollecitare l’approvazione del disegno di legge 3337 che, pur se non pienamente rispondente alle nostre attese, indica tuttavia un’inversione di tendenza nella trattazione del reato da incidente stradale, non più cosa da poco, ma da stigmatizzare con l’incremento della pena e della sospensione della patente, con lo svolgimento di lavori socialmente utili non retribuiti. Fino a una maggiore attenzione verso le vittime da un punto di vista dei risarcimenti.

Con l’assegnazione di una provvisionale dal 30 al 50% del presumibile risarcimento».
Secondo lei bisogna modificare la normativa, quindi
«Rispondo così: sia il patteggiamento che il rito abbreviato sono due obbrobri giudiziari. Con questo genere di processi si ottiene in partenza lo sconto di un terzo della pena. E anche in caso di condanna, se non superiore a due anni, grazie alla condizionale, l’imputato resta libero. Questi sono processi solo a favore dei colpevoli».


 Brescia oggi

Drammatico appello dell’Acat, l’associazione di via San Faustino che informa sui rischi fisici e psichici per i bevitori

«Non date l’alcol ai ragazzini»

Il primo bicchiere a 11 anni. Il 7% degli adolescenti si ubriaca tre volte la settimana

In 5 anni +139 % di alcolisti

Giovanissimi in classe con la birra

 di Elisabetta Reguitti

Alcuni «Vip» come Fiorello il popolare volto televisivo - che nei giorni scorsi ha sferzato un «attacco mediatico» contro l’alcolismo giovanile -, prestano voci e volti contro questo fenomeno che, secondo i dati diffusi Oms, rappresenta il terzo fattore di rischio di mortalità e disabilità e che in Italia ogni anno «miete» circa 40 mila vittime.

C’è una legge dello Stato (la 833/78) che ne regolamenta e vieta la somministrazione ai minori e, il comune di Brescia è stato capofila, insieme ad altre città d’Italia nel pubblicare un’ordinanza che vieta la vendita di bevande alcoliche da asporto dopo le 21.

Nonostante tutto l’associazione alcolisti in trattamento (Acat) di Brescia, per voce del presidente Fausto Cappa, lancia un grido d’allarme: «Serve più responsabilità da parte anche da parte degli esercenti che devono avere il coraggio di non vendere e somministrare bevande alcoliche a chi è già "alticcio" e, soprattutto, ai minori. E non si tratta di carta d’identità o meno - incalza Cappa-, perchè i fenomeno è diffuso anche tra i molto giovani che si riconoscono anche a occhio nudo». E a supporto della sua teoria Cappa porta ad esempio un ragazzino di 11 anni di una scuola media della provincia di Brescia scoperto dagli insegnanti con una bottiglia di birra nascosta nello zainetto tra libri e quaderni.

LA SITUAZIONE - «Per Acat è difficile inquadrare il problema i termini numerici dell’abuso di bevande alcoliche e supealcoliche su Brescia - spiega Cappa -, bisognerebbe incrociare i dati di più realtà coinvolte in questo problema come Asl e forze dell’ordine di certo è che, alla luce delle iniziative di sensibilizzazione e informazione che stiamo svolgendo - continua il presidente ricordando l’alcol-test gratuito fatto qualche sera fa in piazzale Arnaldo a circa 200 ragazzi - i giovani prendono sottogamba il problema». E Cappa rivela che dopo il test e il risultato che evidenziava un livello decisamente sopra la norma di tasso alcolico nel sangue - per legge il limite è di 0,050 grammi di alcol per ogni litro di sangue ma alcuni dei «testati bresciani» raggiungeva anche i 2,3 grammi -, i ragazzi confessavano «beatamente» di continuare la loro serata andando nei locali e nelle discoteche del Lago. «Ma dove andate in questo stato» chiedeva ai ragazzi Cappa mentre si allontanavano verso le loro auto. Bere aiuta a sentirsi sicuri ma, secondo i dati nazionali forniti in occasione della quinta edizione della giornata per la prevenzione dell’alcol, è la prima causa di morte alla guida. Dal 1998 al 2003, il numero degli alcoldipendenti è aumentato del 136 per cento per gli uomini e del 144 per cento fra le donne.

DONNE E LAVORO - Lo fanno tra le mura domestiche, lontano da occhi indiscreti e per rimuevare da mente e cuore situazioni di infelicità familiare, stati di depressione e problemi che temono di condividere con altre persone. Le donne sono le nuove «vittime» dell’alcol; è forse un fenomeno meno evidente - afferma il presidente della sezione bresciana di Acat -, solamente perchè dopo essersi "stordite" con l’alcol, anzichè uscire, si mettono a letto e dormono e, al ritorno dei familiari, fanno finta di niente paventando serenità». E i danni provocati dall’alcol hanno ripercussioni anche sul fronte lavorativo con i 940 mila infortuni sul lavoro denunciati all’Inail il cui 4,20 per cento del totale, pari a un numero compreso tra i 37 e i 188 mila incidenti è - secondo quanto pubblicato sull’opuscolo «Alcol e lavoro» del ministero della salute, delle regioni e dell’Iss - provocato dall’alcol.

DIVIETO DI PUBBLICITÀ - È dello scorso febbraio il testo di legge che «approva il divieto di pubblicità di tutti i prodotti alcolici in tv nella fascia oraria che va dalle 16 alle 19». «È un piccolo passo in avanti contro l’affollamento pubblicitario televisivo all’interno dei programmi destinati ai minori» dice Cappa riportando i dati emessi dall’associazione dei consumatori «Altro Consumo» che ha registrato, nel corso delle passate feste natalizie ben 90 passaggi di pubblicità di bevande alcoliche e superalcolici.

I NUMERI - Secondo la pubblicazione «Alcol: sai cosa bevi?- più sai, meno rischi», frutto della collaborazione di più realtà legate dall’obiettivo comune della prevenzione; in Italia il primo bicchiere viene consumato a 11-12 anni di età; l’età più bassa nell’Unione Europea in cui l’età media è intorno ai 14 anni e mezzo. Sulla base dei dati Istat il 75 per cento degli italiani consuma alcol. Sono circa 3 milioni i bevitori a rischio e 1 milione gli alcolisti; 817 mila giovani di età inferiore ai 17 anni hanno consumato, nel 2000, bevande alcoliche e circa 400 mila eccedono nei consumi alcolici. il 7 per cento dei giovani dichiara di ubriacarsi almeno 3 volte a settimane ed è in costante crescita il numero di adolescenti che consumano alcol (birra, alcolpops e superalcolici) fuori dai pasti (+ 103 per cento nel periodo 1995 - 2000 per le ragazze tra i 14 e i 17 anni).

L’ACAT A BRESCIA - L’associazione dei club degli alcolisti in trattamento è un’Onlus che ha sede in via San Faustino 38. E’ un’associazione privata che si riunisce una volta alla settimana seguendo la metodologia di «gruppo» del professor Hudolin. «Si rivolge a tutte le famiglie coinvolte direttamente e non con le problematiche legate all’alcolismo», spiega Cappa ricordando anche la funzione di informazione e divulgazione svolta dall’associazione istituita nel 1990. È una delle tante associazioni che tra Brescia e provincia si occupano di questo grave fenomeno del «bere a rischio» e dei problemi alcol-correlati. Attualmente sono 15 le famiglie (denominate club) che fanno parte dell’associazione (*) che ha attivato un protocollo d’intesa con l’Asl - per fini conoscitivi delle attività svolte dai club (famiglie) -, e opera in stretta collaborazione con comune di Brescia e della provincia, con Ircss Centro San Giovanni di Dio e numerose circoscrizioni cittadine nell’organizzare incontri aperti al pubblico sui problemi legati all’alcol. «Il nostro obiettivo principale è informare - dice Cappa -; lo facciamo con pubblicazioni, incontri e giornate particolari come "l’analcoholic party 3" in programma a maggio, ma se non c’è la volontà di tutti a contrastare l’alcolismo non possiamo farcela». Per quanti volessero contattare o semplicemente avere informazioni sulle attività svolte da Acat Brescia è disponibile il numero della sede: 030 - 3756270.

 
(*) Nota: se sono 15 i Club, le famiglie sono almeno un centinaio.


 

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