(ASAPS) VERONA –
Credevamo che ce l’avrebbe fatta. Lo speravamo con tutte le nostre forze e
ormai confidavamo che le preghiere fossero servite. Invece il maresciallo
Enrico Frassanito ha fatto appena in tempo a toccare il suolo italiano, appena
sceso dal volo governativo che l’aveva riportato in patria da Kuwait City, dove
era stato ricoverato dopo il terribile attentato che aveva provocato la morte
di due suoi colleghi Carabinieri e di un capitano dell’Esercito, a Nassiriya.
Ad ucciderlo è stato uno choc settico irreversibile, sopraggiunto in aereo.
Enrico è stato rianimato più volte e la sua fibra ha retto fino a quando la sua
barella non è entrata nell’ospedale "Borgo Trento" di Verona. Poi,
dopo altri 40 minuti di massaggio cardiaco, i medici e gli infermieri hanno
dovuto gettare la spugna. Il suo corpo, devastato dalle ustioni
dell’esplosione, ha ceduto. Che dire ora? Francamente non lo sappiamo. La
notizia dell’attacco irakeno e subito dopo quello afgano ci lascia sconvolti. I
nostri militari stavano cercando di costruire qualcosa, che vale certo di più
della loro stessa paura, che certo avevano ma che hanno messo da parte. Lo
dicono le popolazioni locali, lo dicono i media stranieri, lo dicono loro
stessi, i protagonisti di queste missioni lontane. Partono coi loro zaini pieni
di armi, certo, ma anche di attrezzi. Parole studiate in fretta per esprimersi
alla meno peggio in idiomi incomprensibili, per muoversi in mezzo a luoghi
remoti, ostili, dove il sorriso innocente dei bambini ripaga delle calure con
il kevlar sulla testa, di guanti e anfibi sempre calzati, di cuori che battono
e che rimbombano ad ogni curva, ad ogni faccia strana, ad ogni alito di vento.
Kabul, come Nassiryia, come tanti altri luoghi dove i soldati di pace tengono
alto il loro nome e la loro fama di costruttori, più che di invasori. Per
questo, per quel che può valere il nostro pensiero, diciamo ai parenti di chi
ha perso i propri cari in queste terre lontane, che siamo fieri di loro. Così
come siamo fieri di tutti, donne ed uomini anche senza divisa, che sono partiti
per andare laggiù a costruire, a insegnare a costruire, e che non sono tornati.
Lo stesso per chi è andato là per raccontare e che si è sacrificato per il
diritto di tutti noi di sapere. Gesti di generosità, di coraggio, che non
restano mai vani. (ASAPS) |
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