Giurisprudenza
di legittimità La Direzione provinciale del lavoro di Ascoli Piceno ha
proposto ricorso per cassazione, in base a un motivo, poi illustrato anche con
memoria. A. G. e la s.a. s. …. Omissis di G. A. & C. non hanno svolto
attività difensive nel giudizio di legittimità. In materia, nella giurisprudenza di legittimità, ai è
verificato un contrasto, per la cui composizione la causa è stata assegnata
alle sezioni unite. In grande prevalenza questa Corte si é orientata nel senso
propugnato dalla ricorrente, sulla scorta soprattutto di dati di natura
testuale, rivelatori dell’inconciliabilità della norma di cui si tratta con la
disciplina delle sanzioni amministrative, contenuta nella L. 24 novembre 1981,
n. 689: v., tra le più recenti, Cass. 16 aprile 2003 n. 6014, 11 giugno 2003 n.
9357, 17 giugno 2003 n. 9680, 11 luglio 2003 n. 10920, 22 novembre 2003 n.
17779, 22 dicembre 2003 n. 19617, 21 gennaio 2004 n. 874, 30 marzo 2004 n. 6337,
6 aprile 2004 n. 6762, 6 aprile 2004 n. 6769, 10 novembre 2004 n. 21406, 28
dicembre 2004 n. 24053, 26 agosto 2005 n. 17386. Con alcune altre pronunce è stata però adottata la
soluzione opposta, in considerazione del carattere generale della L. 7 agosto
1990, n. 241, che si riferisce indistintamente a tutti i procedimenti
amministrativi: v. Cass. 15 giugno 1999 n. 5936, 21 marzo 2001 n. 4042, 4
settembre 2001 n. 11390, 23 luglio 2003 n. 11434, 6 marzo 2004 n. 4616. Ritiene il collegio che debba essere seguito l’indirizzo
giurisprudenziale maggioritario. Non impedisce di pervenire a questa conclusione la
"universalità" della legge citata, che per la prima volta ha
regolamentato in maniera uniforme i procedimenti amministrativi. Per il principio
di specialità, che prescinde dalla successione cronologica delle norme, quelle posteriori
non comportano la caducazione delle precedenti, che disciplinano diversamente
la stessa materia in un campo particolare. E appunto in questo rapporto si
pongono la L. 7 agosto 1990, n. 241 e la L. 24 novembre 1981, n. 689, riguardanti
l’una i procedimenti amministrativi in genere, l’altra in specie quelli
finalizzati all’irrogazione delle sanzioni amministrative, caratterizzati da
questa loro funzione del tutto peculiare, che richiede una distinta disciplina.
D’altra parte, le disposizioni della L. 24 novembre 1981, n. 689 costituiscono
un sistema organico e compiuto, nel quale non occorrono inserimenti dall’esterno:
necessità che infatti è stata costantemente esclusa, con riferimento ad altre
norme della legge generale sul procedimento amministrativo, come quelle
relative alla "partecipazione dell’interessato" v . tra le altre,
Cass. 27 novembre 2003 n. 18114) e al diritto di accesso ai documenti v. , per
tutte, Cass. 15 dicembre 2005 n. 27681). Un tale innesto non è. comunque praticabile, in particolare,
relativamente all’art. 2 - I11 comma L. 7 agosto 1990, n. 241, che stabilisce
il termine entro il quale il procedimento amministrativo deve essere concluso,
ove non ne sia fissato uno diverso per legge o regolamento. Sia quello di
novanta giorni, ora previsto dalla norma come modificata da ultimo dal1 ’art.
36 bis D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito con L. 14 maggio 2005, n, 80, sia
quello di trenta giorni, indicato nel testo originario, applicabile nella specie
ratione temporis, sono incompatibili
con le disposizioni della L. 24 novembre 1981, n. 689, che delineano un
procedimento di carattere sostanzialmente contenzioso, scandito in fasi i cui
tempi sono regolati, nell’interesse dell’incolpato, in modo da non consentire
il rispetto di termini tanto brevi da parte dell’amministrazione: la
contestazione, se non è stata effettuata immediatamente, può avvenire fino a
novanta giorni dall’accertamento per i residenti in Italia e fino a
trecentosessanta per i residenti al1 ’estero (art. 14) ; se ne viene fatta
richiesta entro ulteriori quindici giorni, deve poi provvedersi alla revisione
delle analisi eventualmente compiute (art. 15) ; nei successivi sessanta giorni
è ammesso il pagamento in misura ridotta (art. 16); se questo non avviene,
viene trasmesso i1 rapporto all’autorità competente (art. 17); ad essa gli
interessati possono far pervenire scritti difensivi e documenti, nonché
prospettare argomenti, dei quali si deve tenere conto nel provvedere (art. 18)
. Né l’ostacolo può essere superato, come si è opinato con
la sentenza impugnata, applicando il termine in questione alle singole fasi in
cui il procedimento è articolato, o comunque a quella conclusiva. In tal modo
verrebbe operata un’arbitraria manipolazione della norma, la quale considera
unitariamente il procedimento amministrativo e dispone che i1 termine per la
sua conclusione decorre non dall’esaurimento di ognuno dei vari segmenti che
eventualmente lo compongono, bensì «dall’inizio di ufficio del procedimento o
dal ricevimento della domanda se il procedimento è ad iniziativa di parte». Peraltro, nell’ambito in cui la disposizione è operante,
l’inosservanza del termine da essa stabilito, secondo la prevalente
giurisprudenza amministrativa (v. CdS V sez. 3 giugno 1999 n. 621, V sez. 19
settembre 2000 n. 4844, VI sez. 13 maggio 2003 n. 2533, IV sez. 10 giugno 2004
n. 3741; contra: Cds VI sez. 19 dicembre 1997 n. 1869), non è causa di
invalidità del procedimento che sia stato emesso tardivamente, poiché anche
dopo la scadenza non viene meno il potere e dovere dell’amministrazione di
attivarsi comunque, per i1 soddisfacimento degli interessi pubblici affidati
alla sua cura. Resta naturalmente salva la necessità che la pretesa
sanzionatoria venga fatta valere entro il termine di prescrizione di cinque
anni dalla commissione della violazione, stabilito dall’art. 28 L. 24 novembre
1981, n. 689: termine che non ha tuttavia natura procedimentale, ma
sostanziale, poiché il suo inutile decorso comporta l’estinzione del diritto
alla riscossione. Rimane altresì fermo che invece, per le violazioni di
norme sulla circolazione stradale, la validità dell’ordinanza ingiunzione è
subordinata al rispetto dei termini stabiliti per la sua emissione dall’art.
204 - I comma D. Lgs. 30 aprile 1992, n. 285: termini che il successivo comma I
bis, introdotto dall’art. 4 D.L. 27 giugno
2003, n. 151, convertito con L. 1 agosto 2003, n. 214, definisce espressamente
come «perentori», disponendo altresì che il ricorso al prefetto, in mancanza
della tempestiva adozione del provvedimento sanzionatorio, deve intendersi accolto.
In questo senso si è costantemente pronunciata questa Corte (v., tra le più
recenti, Cass. 17 marzo 2005 n. 5813) anche con riferimento al testo originario
della norma, in considerazione della natura a sua volta speciale che la caratterizza,
rispetto a quelle dettate dalla L. 24 novembre 1981, n. 689 per il generale
ambito delle sanzioni amministrative. Il ricorso deve essere pertanto accolto, con conseguente
cassazione della sentenza impugnata. La causa, poiché gli attori avevano fatto valere anche
altre ragioni di opposizione, che il Tribunale di Ascoli Piceno ha considerato
assorbite, non può essere decisa nel merito in questa sede, sicché va rinviata
ad altro giudice, che si designa nel Tribunale di Macerata, cui viene anche
rimessa la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità. Il giudice di rinvio, nel riesaminare la questione decisa
dal Tribunale di Ascoli Piceno, si uniformerà al seguente principio di diritto:
«Il termine stabilito dall’art. 2 - 111 coma L. 7 agosto 1990, n. 241, non è
applicabile nei procedimenti di irrogazione di sanzioni amministrative».
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata;
rinvia la causa al Tribunale di Macerata, cui rimette anche la pronuncia sulle
spese del giudizio di legittimità.
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