A seguito dell’istituzione del servizio militare
professionale, realizzata dalla legge 14 novembre 2000 n. 331, entrata definitivamente
a regime il 31 ottobre 2005, deve ritenersi abolito il servizio militare
obbligatorio in tempo di pace e, di conseguenza, abrogato il delitto di rifiuto
di prestare lo stesso da parte dei cittadini ad esso tenuti per chiamata di
leva, ai sensi dell’art. 14, comma secondo, legge n. 230 del 1998.
E’ questo il principio stabilito dalla 1a
sezione penale della Cassazione, con la sentenza n. 7628 del 24 gennaio 2006,
con il duplice corollario, ai sensi dell’art. 2, comma secondo, cod. pen., che,
da un lato, non è punibile la condotta di chi in precedenza, quando detto
servizio era obbligatorio, ha rifiutato di prestarlo e, dall’altro, vengono a
cessare l’esecuzione e gli effetti penali della condanna eventualmente subita
(la Corte, nell’enunciare tale principio, ha infatti annullato senza rinvio la
sentenza di condanna dell’imputato “perché il fatto non è previsto dalla legge
come reato”).
(Altalex, 9 maggio 2006)
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
Sezione I penale
Sentenza
24 gennaio 2006 - 2 marzo 2006 n. 7628
(Presidente T. Gemelli,
Relatore L. Pepino)
OSSERVA
1. Con sentenza 1 febbraio 2005 la Corte di Appello
di Perugia ha confermato la sentenza 19 luglio 2000 del Tribunale di Orvieto
che ha dichiarato B.G. colpevole del reato di cui alla l. 230/1998, art. 14,
comma 2, (perché, non avendo chiesto l’ammissione al servizio civile, rifiutava
di prestare il servizio militare, prima di averlo assunto, adducendo motivi di
coscienza, in Orvieto il 18 agosto 1999) e lo ha condannato, concesse le
attenuanti generiche, alla pena di sei mesi di reclusione.
Ha osservato la Corte di merito che: a1) il B. è stato ammesso al servizio
civile sostitutivo, pur non avendone diritto (a causa di precedente
presentazione di domanda di arruolamento nella Guardia di finanza), in forza di
una falsa dichiarazione (per la quale è stato condannato, con sentenza 6 aprile
2001 del Tribunale di Orvieto, irrevocabile il 20 luglio 2001, alla pena di un
mese e dieci giorni di reclusione); a2) detta ammissione al servizio civile non
fa venir meno il reato contestato sia perché il provvedimento
dell’amministrazione sul punto era illegittimo e, dunque, doveva essere
disatteso dal Giudice penale sia perché, in ogni caso, l’impossibilità di
prestare il servizio civile esclude che il rifiuto opposto dal B. alla
prestazione del servizio militare possa essere considerato legittimo.
Ha proposto ricorso il B. deducendo: b1) nullità della sentenza per mancata
correlazione tra l’imputazione contestata (in cui si fa riferimento all’omessa
richiesta di ammissione al servizio civile) e quella ritenuta in sentenza
(nella quale si fa riferimento ad un’ammissione al servizio civile illegittima
perché ottenuta con false dichiarazioni in assenza delle condizioni di legge);
b2) illogicità della motivazione in punto di possibilità, per il Giudice, di
disapplicare l’atto amministrativo con cui esso ricorrente era stato ammesso al
servizio civile; b3) mancanza di motivazione sull’esistenza del necessario
elemento soggettivo.
Il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe.
2. Preliminare all’esame dei motivi di ricorso è la verifica della sussistenza
o meno, a seguito della entrata in vigore della l. 331/2000 (recante «Norme per
l’istituzione del servizio militare professionale»), di una situazione
rilevante ai sensi dell’art. 129 c.p.p.
2.1. La l. 331/2000, come noto, prevede: c1) che «le forze armate sono
organizzate su base obbligatoria e su base professionale secondo quanto
previsto dalla presente legge» (art. 1, comma 7); c2) che il «reclutamento su
base obbligatoria» è consentito solo: a) «qualora sia deliberato lo stato di
guerra ai sensi dell’art. 78 della Costituzione o una grave crisi
internazionale nella quale l’Italia sia coinvolta direttamente o in ragione
della sua appartenenza ad una organizzazione internazionale giustifichi un
aumento della consistenza numerica delle Forze Armate»; b) subordinatamente
alla circostanza che «il personale in servizio sia insufficiente e non sia
possibile colmare le vacanze di organico mediante il richiamo in servizio di
personale militare volontario cessato dal servizio da non più di cinque anni»
(art. 2, comma 1, lettera f). In tale ultima ipotesi «il servizio di leva è
ripristinato con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione
del Consiglio dei ministri» (d.lgs. 215/2001, art. 7, comma 3).
Per disciplinare il reclutamento nel periodo intercorrente tra l’entrata in
vigore della legge e il funzionamento a regime del nuovo sistema in essa
previsto nonché per regolamentare «la graduale sostituzione [...] dei militari
in servizio obbligatorio di leva con volontari di truppa e con personale civile
del Ministero della difesa» (l. 331/2000, art. 3, comma 1) è stato emanato il
d.lgs. 215/2001 il cui art. 7, comma 1, dispone che «il servizio militare di leva
è sospeso a decorrere dal 1° gennaio 2007» e «fino al 31 dicembre 2006, le
esigenze delle Forze armate sono soddisfatte ricorrendo ai giovani soggetti
alla leva nati entro il 1985». Tale iter è stato, poi, modificato con l.
226/2004, il cui art. 1 prevede che «le chiamate per lo svolgimento del
servizio di leva sono sospese a decorrere dal 1° gennaio 2005» e che «fino al
31 dicembre 2004 sono chiamati a svolgere il servizio di leva [...] i soggetti
nati entro il 1985». Per effetto di tale complesso normativo l’ultimo
contingente per il servizio militare obbligatorio è stato chiamato alle armi il
31 dicembre 2004 ed ha terminato il servizio il 31 ottobre 2005, data in cui la
«istituzione del servizio militare professionale» è andata a regime.
2.2. Così definito il nuovo quadro normativo (e le relative tappe di
realizzazione) si pone il problema degli effetti della sua entrata in vigore
sul sistema preesistente.
Un dato appare incontestabile: le disposizioni del decreto presidenziale
237/1964 e dalla l. 958/1986 (e successive modifiche) concernenti le modalità
di prestazione del servizio militare obbligatorio di leva sono abrogate ai
sensi dell’art. 15, seconda parte, delle preleggi essendo le nuove disposizioni
contenute nella l. 331/2000 incompatibili con le precedenti e regolando la
nuova legge l’intera materia già disciplinata da quella anteriore. A tale
conclusione non osta - non essendovi alcuna incompatibilità logica - la
circostanza che l’abrogazione si sia verificata gradualmente (l. 331/2000, art.
3, comma 1) secondo un iter dettato da appositi decreti legislativi (e leggi
modificative) conclusosi definitivamente solo il 31 ottobre 2005. Né vi osta il
disposto della l. 331/2000, art. 3, lettera h, n. 2, che anzi, prevedendo
l’adozione di un decreto legislativo per «indicare espressamente le norme
abrogate in materia di servizio militare obbligatorio coordinando le restanti
norme in vigore con quelle emanate in attuazione della presente legge», dà
espressamente atto che l’abrogazione delle norme incompatibili o estranee al
nuovo sistema si è ormai verificata e si limita a prevedere - come di regola
accade nella emanazione di testi unici in materie complesse - una (opportuna)
opera di chiarificazione finalizzata ad evitare incertezze e contrasti.
Più delicata è la questione del complesso normativo colpito dalla abrogazione
de qua. In particolare, è discusso in dottrina (ed anche nella giurisprudenza
di questa Corte) se detta abrogazione investa solo le disposizioni in tema di
modalità di prestazione ovvero la stessa esistenza del servizio militare
obbligatorio (a cominciare dalla l. 958/1986, art. 1, comma 3, nella parte in
cui prevede che «sono soggetti agli obblighi di leva tutti i cittadini»). La
risposta, nonostante alcune imprecisioni terminologiche contenute nella legge
citata e nella produzione normativa che vi ha dato attuazione, è quella più
radicale. Il criterio distintivo tra modifica di un istituto giuridico e sua
abrogazione tacita sta infatti - come noto - nella esistenza o meno di una continuità
normativa tra la nuova disciplina e quella precedente (ovvero nel permanere o
meno di identità degli elementi costitutivi fondamentali delle due fattispecie
e dell’interesse tutelato). Orbene, nel caso di specie, la disciplina dettata
dalla l. 331/2000 ha inciso proprio sugli elementi fondamentali del servizio
militare obbligatorio (abolendolo in toto in tempo di pace e prevedendolo solo,
e in termini eventuali, in caso di guerra o situazioni assimilate e
subordinatamente alla insufficienza quantitativa del personale militare
professionale) e sulla ratio dello stesso (ritenuta maggiore idoneità ad
assicurare la difesa militare dello Stato di forze armate formate da
professionisti rispetto al coinvolgimento di tutti i cittadini dotati dei
necessari requisiti). La radicalità della modifica determina una evidente
soluzione di continuità tra i due sistemi e non appare qualificabile altrimenti
che come abrogazione del servizio militare obbligatorio di leva e introduzione
di un diverso apparato di difesa caratterizzato dal professionismo e dalla
partecipazione su base volontaria [con possibilità di integrazione su base
obbligatoria solo in via eventuale e residuale e in caso di guerra (o ipotesi
assimilate), alle condizioni stabilite dalla legge]. Né contrasta con questa
interpretazione del dato normativo la circostanza che l’art. 7, comma 1, del
d.lgs. 215/2001 e la l. 226/2004, art. 1 - nel disciplinare il periodo
transitorio tra l’entrata in vigore della l. 331/2000 e la sua applicazione a
regime - usino, con riferimento al servizio militare e alle relative chiamate,
il termine «sospensione»: è, infatti, evidente che la terminologia utilizzata
per regolamentare l’iter della riforma (garantendo «la graduale sostituzione
dei militari in servizio obbligatorio di leva con volontari di truppa e con
personale civile») non può mettere in dubbio o modificare il contenuto e le
caratteristiche delle stesse.
2.3. Resta, a questo punto, da affrontare la questione degli effetti
dell’abrogazione del servizio militare obbligatorio sulle violazioni,
anteriormente commesse, delle norme penali che sanzionano, in vario modo, il
rifiuto di prestarlo. In altri termini occorre verificare se trovi o meno
applicazione, nella specie, l’art. 2 c.p., comma 2, secondo cui «nessuno può essere
punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato».
Il dato di partenza è noto: «l’istituto della successione delle leggi penali
nel tempo riguarda le norme che definiscono la struttura essenziale e
circostanziata del reato e conseguentemente, ai fini dell’applicabilità
dell’art. 2 c.p., si deve tenere conto anche di quelle fonti normative che, pur
non comprese nel precetto penale, ne integrano tuttavia il contenuto» (così,
per tutte, Cass., sez. III, 1° febbraio-10 marzo 2005, Pitrella, rv. 231228, e
Cass., sez. III, 12 marzo-14 maggio 2002, Pata, rv. 221943). Ciò posto, è di
tutta evidenza, alla stregua di quanto si è detto, che la normativa in tema di
leva obbligatoria è decisiva per individuare il contenuto e i limiti della
fattispecie delittuosa di rifiuto della prestazione del servizio militare.
La conseguenza è obbligata: l’abolizione del servizio militare obbligatorio (a
seguito dell’introduzione di forze armate esclusivamente professionali,
realizzata dalla l. 331/2000, art. 1, comma 6) abroga il delitto di rifiuto di
prestare detto servizio da parte dei cittadini ad esso tenuti per chiamata di
leva e determina - in forza dell’art. 2 c.p., comma 2 - la non punibilità della
condotta di chi in precedenza, allorché detto servizio era obbligatorio, ha
rifiutato di prestarlo ovvero la cessazione dell’esecuzione e degli effetti
penali della condanna eventualmente intervenuta (cfr., in senso conforme,
Cass., sez. I, 10 febbraio-31 marzo 2005, Pg in proc. Caruso, rv. 231721 nonché
Cass., sez. I, 6 maggio-24 giugno 2005, Taboni, rv. 231763 e, con riferimento
ad ipotesi affini, Cass., sez. III, 4 febbraio-27 marzo 2003, Pertot, rv.
224243, secondo cui «sussiste abolitio criminis del reato di contrabbando
doganale (d.P.R. 43/1973, art. 282) consistente nell’omissione del pagamento
del dazio ad valorem del 6% gravante sull’alluminio in pani proveniente dalla
Repubblica Federale Iugoslava in virtù della sopravvenienza del regolamento
comunitario 2007/2000, integrato e modificato dal regolamento 2563/2000 che ha
sottratto tale merce ai diritti di confine sulla stessa gravanti, in quanto le
norme impositive del dazio costituiscono norme extrapenali integratrici del
precetto penale e, in quanto tali, rientranti nell’ambito di applicazione
dell’art. 2 c.p.», e Cass., sez. VI, 9 dicembre 2002-16 gennaio 2003, Di Campli
Finore, rv. 223341, secondo cui «non integra il reato di esercizio abusivo di
una professione la condotta del praticante avvocato, abilitato al patrocinio,
il quale abbia assunto la difesa di un minore nell’udienza di convalida
dell’arresto tenuta dal Gip del Tribunale per i minorenni, in quanto, nei
limiti in cui tale attività difensionale è consentita dalla norma sopravvenuta
di cui alla l. 47/1999, art. 7, la modifica della norma extrapenale si riflette
sulla struttura stessa del precetto penale ed opera, dunque, il principio di
retroattività della legge più favorevole (art. 2, cpv. c.p.)».
3. Alla stregua di quanto precede deve, nella specie, trovare applicazione
l’art. 129 c.p.p., comma 1, e la sentenza impugnata deve essere annullata senza
rinvio perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato (assorbendo
tale pronuncia i motivi di ricorso).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata
perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.
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