Le
Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione hanno definitivamente risolto
il contrasto giurisprudenziale che era sorto nei casi in cui, in presenza di
una C.A.I. (erroneamente chiamata CID dalla Corte) sottoscritta da entrambi i
conducenti -avente pertanto valore confessorio per costoro- ,ove la compagnia
assicuratrice del presunto responsabile avesse fornito prova contraria a tale
confessioni, il responsabile-confitenete dovesse o meno essere condannato al
risarcimento del danno. Infatti, la prevalente giurisprudenza aveva sino ad ora
stabilito che solo la compagnia assicuratrice, in caso di giudizio fondato su
C.A.I. sottoscritta, non potesse essere condannata al risarcimento dei danni
subiti dal danneggiato, mentre il danneggiante-assicurato, in virtù della
C.A.I. firmata non poteva andare assolto e, quindi, doveva comunque essere
condannato al risarcimento dei danni. Secondo le Sezioni Unite, invece,
l’accertamento deve essere unico ed uniforme e, pertanto, qualora la compagnia
assicuratrice riesca a fornire la prova che quanto contenuto nella C.A.I. non
corrisponda al vero e, pertanto, non c’è alcuna responsabilità a carico del
proprio assicurato anche quest’ultimo, nonostante si sia assunto la
responsabilità dell’accaduto nel modulo di constatazione amichevole, non potrà
essere condannato al risarcimento dei danni.
L’elemento
di diritto su cui le Sezioni Unite fondano tale principio è il comma 3
dell’articolo 2733 Cc, secondo il quale in caso di litisconsorzio necessario la
confessione resa da alcuni soltanto dei litisconsorzi è liberamente apprezzata
dal giudice; questa norma costituisce una deroga a ciò che dispone il secondo
comma, secondo cui la confessione fa piena prova contro chi l’ha fatta; infatti
viene esclusa la funzione di piena prova della confessione, la quale assume
soltanto la natura di elemento che il giudice apprezza liberamente, e ciò non
solo nei confronti di chi ha reso la dichiarazione ma anche nei confronti degli
altri litisconsorzi.
(Altalex,
11 maggio 2006. Nota di Fabio Quadri)
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE CIVILI Sentenza 13 ottobre 2005-5 maggio
2006, n. 10311
(Presidente Carbone – Relatore Lo Piano)
Svolgimento del processo
C.
S.e convenne in giudizio, davanti al Giudice di pace di Alghero, S. S. e la Spa
L. I., assicuratrice per la responsabilità civile dell’auto di quest’ultimo, e
ne chiese la condanna, in solido, al risarcimento dei danni subiti a seguito di
incidente stradale, la cui responsabilità era da attribuire al S., come dallo
stesso riconosciuto con la sottoscrizione del modulo di constatazione del
sinistro (c.d. CID).
Si costituì in giudizio la compagnia di assicurazione, che chiese il rigetto
della domanda, deducendo la inattendibilità di quanto risultante dal CID.
S. S. rimase contumace.
Il Giudice di pace, ritenuto il concorso di colpa del S., nella misura del 20%,
e del C., nella misura dell’80%, condannò il S. e la compagnia di
assicurazione, in solido, a pagare al C. il 20% dei danni da questi subiti,
condannandolo a pagare alla compagnia assicuratrice l’80% delle spese.
La sentenza fu appellata, in via principale, dal C., che chiese affermarsi
l’esclusiva responsabilità del S., con la conseguente condanna dello stesso e
della compagnia di assicurazione all’integrale risarcimento dei danni, e, in
via incidentale, dalla compagnia di assicurazioni, che chiese l’integrale
rigetto della domanda proposta nei suoi confronti.
S. S. rimase contumace anche nel giudizio d’appello.
Il Tribunale di Sassari, in accoglimento dell’appello incidentale, respinse la
domanda proposta dal C. nei confronti del S. e della compagnia di
assicurazione, sulla base delle seguenti considerazioni: La tesi del C.
(secondo cui l’incidente si sarebbe verificato perché l’autoveicolo del S., che
egli stava sorpassando, in un tratto di strada rettilineo, aveva, a sua volta,
iniziato una manovra di sorpasso del veicolo che lo precedeva, intersecando
cosi la traiettoria. della propria auto e determinandone l’uscita di strada)
non era provata, cosi come non era provato il nesso di causalità tra i danni
lamentati dal C. ed il sinistro;
la ricostruzione del sinistro, contenuta nel modulo CID, non poteva costituire
prova nei confronti della compagnia assicuratrice, perché il detto modulo non
risultava essere stato ad essa tempestivamente trasmesso e perché non risultava
essersi verificato uno «scontro tra veicoli», requisito richiesto dall’articolo
5 del Dl 857/76; gli elementi risultanti dal modulo CID al quale poteva essere
attribuita soltanto il valore di prova atipica apparivano in insanabile
contrasto con la documentazione fotografica acquisita agli atti, con le
osservazioni svolte dal consulente tecnico d’ufficio e con la circostanza che
sull’auto del S. non erano state riscontrate tracce di collisione;
del tutto da condividere erano, quindi, le conclusioni cui era pervenuto il
consulente tecnico d’ufficio, secondo cui i danni riscontrati sull’autoveicolo
del C. non erano compatibili con la dinamica del sinistro descritta dalle
parti, cosicché, se l’incidente si era effettivamente verificato, non si era
svolto, comunque, con le modalità indicate;
pertanto, non era da ritenere sussistente la prova del fatto e del nesso di
causalità con i danni dei quali il C. aveva chiesto il risarcimento.
Per la cassazione della suddetta sentenza ha proposto ricorso C. S..
La Spa L. I. e S. S. non hanno svolto attività difensiva.
La causa, dapprima assegnata alla terza sezione civile, è stata rimessa alle Su
essendosi ravvisata una questione di massima di rilevante importanza in
relazione ai motivi addotti a sostegno del ricorso.
Motivi della decisione
Con
il primo motivo del ricorso si denuncia: Violazione degli articoli 112, 339,
342 Cpc in relazione all’articolo 360 n. 3 Cpc.
Si deduce che la sentenza di primo grado, che aveva pronunciato la condanna in
solido del S. e della Spa L. A., era stata impugnata solo da quest’ultima, che
aveva chiesto la reiezione della domanda contro di lei proposta dal C.; nessuna
impugnazione era stata invece proposta da S. S., con la conseguenza che il
giudice d’appello non avrebbe potuto rigettare la domanda, avanzata nei
confronti del predetto dal C. e già accolta, sia pure parzialmente, dal giudice
di primo grado.
Con il secondo motivo si denuncia: Violazione e falsa applicazione
dell’articolo 116 Cpc e degli articoli 2054, 2697 e 2735 Cc, nonché
dell’articolo 5, comma 1 e 2, del Dl 857/76 convertito nella legge 39/1977 in
relazione all’articolo 360 nn. 3 e 5 Cpc.
La censura svolge le seguenti argomentazioni:
Il Tribunale ha immotivatamente disatteso le risultanze del modulo CID, che con
riferimento al S. aveva valore di confessione stragiudiziale, nel quale erano
con precisione indicati l’ora ed il luogo del fatto, i mezzi coinvolti, il
teste presente, le modalità del sinistro, la dichiarazione del S. di avere
costretto con la sua manovra il C. a «stringere a sinistra», nonché il punto di
contatto tra i due mezzi;
- v’era la prova della collisione tra i due veicoli e la dinamica del sinistro
era stata confermata dal teste indicato nel modulo CID ed aveva trovato
riscontro nel l’interrogatorio libero e in quello formale del C.;
- la prova del sinistro e delle sue modalità era stata data dal C. a mezzo di
prove documentali ed orali e tale prova non poteva essere superata dalla
consulenza basata su mere deduzioni, tra l’altro, erronee e contraddittorie;
- la prova del nesso causale tra i danni ed il sinistro era stata fornita e del
resto la sentenza del giudice di pace sul punto non era stata impugnata; il
Tribunale ha erroneamente ritenuto che l’articolo 5 del Dl 857/76 trovi
applicazione soltanto nel caso di «scontro» tra i veicoli inteso nel senso di
contatto materiale tra gli stessi idoneo a cagionare danno ad entrambi, mentre
è da considerare «scontro» «qualsiasi contatto tra i mezzi cha causalmente
provochi, di per sé ovvero in conseguenza di manovre illegittime e colpose, un
sinistro»; il modulo CID era pienamente probante nei confronti della compagnia
assicuratrice, perché gli elementi in esso indicati avevano trovato riscontro
negli altri elementi di prova acquisiti al processo; la valenza probatoria del
modulo CID non poteva essere inficiata dal rilevato ritardo con cui, secondo il
Tribunale, esso era stata trasmesso alla compagnia assicuratrice; ciò perché:
nessun termine era previsto dalla legge per l’invio del modulo; nessuna
eccezione era stata sollevata in proposito dalla compagnia di assicurazione; il
modulo era stato consegnato tempestivamente dal C. alla propria compagnia
assicuratrice; il Tribunale ha immotivatamente ritenuto che la compagnia
assicuratrice avesse fornito la prova contraria, su di essa incombente, ai
sensi dell’articolo 5, secondo comma, Dl 857/76.
Con riferimento ai detti motivi, la terza sezione civile di questa Corte, ha
rilevato che gli stessi pongono una questione di massima di particolare
importanza (articoli 374 e 376 Cpc) e, pertanto, ha rimesso gli atti al Primo
Presidente, che ha disposto la trattazione della causa da parte di queste Su.
L’ordinanza, richiamata la giurisprudenza di questa Corte, osserva che in essa
sono rinvenibili due principi:
uno, secondo cui il litisconsorzio previsto dall’articolo 23 della legge
990/69, che impone al danneggiato che esercita l’azione diretta (articolo 18) nei
confronti dell’assicuratore di chiamare in giudizio il responsabile del danno,
«soddisfa l’esigenza che sulla responsabilità dell’assicurato e
dell’assicuratore si statuisca in un unico contesto, in modo uniforme»,
cosicché l’impugnazione proposta dal solo assicuratore impedisce che sulla
responsabilità del danneggiante, chiamato in giudizio, si formi il giudicato.
L’altro, secondo cui «il modulo di constatazione amichevole di sinistro
stradale redatto ai sensi del Dl 857/76, convertito con modificazioni in legge
39/1977, (quando è sottoscritto dai conducenti coinvolti e completo in ogni sua
parte, compresa la data) ha valore probatorio di confessione esclusivamente nei
riguardi del suo autore, mentre genera soltanto una presunzione iuris tantum
nei confronti dell’assicuratore, come tale superabile con prova contraria», con
la possibilità, quindi, che la responsabilità dell’assicurato venga affermata
in base alla sua confessione, mentre l’azione diretta nei confronti del
l’assicuratore venga respinta ove egli fornisca la prova contraria.
Con riferimento al caso in esame l’ordinanza osserva che il Tribunale ha
respinto la domanda proposta nei confronti del responsabile del danno che, con
la sottoscrizione del modulo, aveva ammesso fatti per sé sfavorevoli; con ciò
il Tribunale aveva fatto applicazione del primo principio, secondo cui la
decisione deve essere unitaria, sia per l’assicurato, sia per l’assicuratore,
ma aveva disatteso il secondo principio, secondo cui la dichiarazione di fatti
sfavorevoli al responsabile del danno, contenuta nel modulo da lui
sottoscritto, ha valore di confessione stragiudiziale.
Il Tribunale osserva ancora che se il Tribunale avesse affermato la
responsabilità dell’assicurato, in base alla sua confessione, e rigettato la
domanda nei confronti dell’assicuratore, ritenendo che questi avesse offerto la
prova contraria rispetto a quanto dichiarato dall’assicurato nel modulo CID,
avrebbe rispettato il secondo principio, ma avrebbe disatteso il primo.
L’ordinanza, a questo punto, prospetta, sia pure in via dubitativa, le seguenti
possibili soluzioni:
- un’applicazione dell’articolo 2733 Cc in linea coi primo principio, nel senso
che la confessione di uno soltanto dei litisconsorti necessari sia bensì
liberamente apprezzabile dal giudice, ma in modo conforme per tutti i
litisconsorti, come affermato da Cassazione, 198/87; ma a ciò, secondo
l’ordinanza, sembra ostare la lettera e la ratio dell’articolo 5, comma 3, Dl
857/76, che ha anche funzione dissuasiva di tentativi di frode in danno
dell’assicuratore;
- ritenersi che l’impossibilità di un apprezzamento (e di conseguenze) difforme
per il confitente e per il litisconsorte non confitente sia da riservarsi ai
soli casi di litisconsorzio sostanziale in cui sia dedotto un unico rapporto,
con la conseguente possibilità di valutare diversamente la confessione
dell’assicurato nei casi di cui all’articolo 23, legge 990/69: ammettendosi,
cioè, che la sua confessione (tramite il modulo di constatazione amichevole)
non abbia effetto solo per l’assicuratore che abbia offerto la prova contraria
ai sensi dell’articolo 5, comma 3, Dl 857/76; ciò, però, secondo l’ordinanza,
comporterebbe lo scostamento dal primo principio, dovendo allora riconoscersi
la possibilità che lo stesso fatto sia ritenuto vero per l’assicurato, e non
vero per l’assicuratore, quantomeno nei casi in cui sia il solo assicuratore
del responsabile (e non anche il solo assicurato) a dover essere mandato
indenne dalla pretesa risarcitoria del danneggiato.
Sembra a queste Su che, al fine di dare una risposta ai quesiti posti con
l’ordinanza di cui sopra che trovano fondamento nelle questioni poste con i
motivi del ricorso occorra partire dall’analisi della struttura dell’azione
diretta del danneggiato nei confronti dell’assicuratore, disciplinata
dall’articolo 18 della legge 990/69, e dall’accertamento delle ragioni del
litisconsorzio che il successivo articolo 23 impone di realizzare nei confronti
del responsabile del danno.
In particolare occorre verificare se il procedimento litisconsortile
disciplinato dai suddetti articoli tolleri che si possa giungere ad una
decisione che non sia unica per tutte le parti che vi devono necessariamente
partecipare.
Tale accertamento appare necessario perché, se ben si osserva, più o meno
consapevolmente, la tesi prevalente nella giurisprudenza, che, pure
riconoscendo nella fattispecie considerata la ricorrenza di un litisconsorzio
necessario previsto dalla legge, afferma che la confessione del danneggiante
assicurato fa piena prova nel rapporto tra questi ed il danneggiato, mentre può
essere liberamente apprezzata dal giudice nel diverso rapporto tra assicurato
ed assicuratore, si fonda sulla tesi che non in tutti i casi in cui è
necessaria la partecipazione al giudizio di una pluralità di parti sussiste
anche la necessità che la sentenza sia unica per tutte, donde il diverso senso
da attribuire all’espressione lifisconsorzio necessario, che nell’articolo 102
Cpc, esprime solo l’esigenza che al giudizio partecipino più soggetti, mentre
nell’articolo 2733, comma 3 del codice civile, si riferisce non a tutti i casi
di litisconsorzio ma solo a quelli in cui la decisione deve essere uguale per
tutte le parti in causa.
Ai sensi dell’articolo 19 17 Cc, che disciplina l’assicurazione della
responsabilità civile, di cui l’assicurazione obbligatoria per la
responsabilità derivante dalla circolazione dei veicoli costituisce una specie,
l’assicuratore è tenuto a tenere indenne l’assicurato di quanto questi, in
conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione, deve pagare
a un terzo, in dipendenza della responsabilità dedotta nel contratto.
E giurisprudenza costante di questa Corte che l’assicurazione della
responsabilità civile non può essere inquadrata tra i contratti a favore dei
terzi giacché per effetto della stipulazione non sorge alcun rapporto giuridico
diretto ed immediato tra il danneggiato e l’assicuratore, ma l’obbligazione
dell’assicuratore relativa al pagamento dell’indennizzo all’assicurato è
distinta ed autonoma rispetto all’obbligazione di risarcimento cui l’assicurato
è tenuto nei confronti del danneggiato. Talché quest’ultimo non ha azione
diretta contro l’assicuratore (v. in tal senso Cassazione 8382/93 e
successivamente, Cassazione 2678/96; 4364/97; 4364/00; 10418/02; nonché
Cassazione 8650/96, la quale ha precisato che il principio opera anche quando
l’indennità sia stata pagata direttamente al terzo danneggiato, ai sensi
dell’articolo 1917, comma 2, Cc).
In deroga a questa disciplina, l’art 18 della legge n. 990 del 1969, dispone
che il danneggiato per sinistro causato dalla circolazione di un veicolo o di
un natante, per i quali a norma della medesima legge vi è obbligo di
assicurazione, ha azione diretta per il risarcimento del danno nei confronti
dell’assicuratore, entro i limiti delle somme per le quali è stata stipulata
l’assicurazione. Con il secondo comma, la suddetta norma inoltre dispone che
fino alle somme minime per cui è obbligatoria l’assicurazione, indicate nella
tabella A allegata alla legge, l’assicuratore non può opporre al danneggiato,
che agisce direttamente nei suoi confronti, eccezioni derivanti dal contratto,
né clausole che prevedano l’eventuale contributo dell’assicurato al
risarcimento del danno, ed altresì stabilisce che l’assicuratore ha tuttavia diritto
di rivalsa verso l’assicurato nella misura in cui avrebbe avuto
contrattualmente diritto di rifiutare o ridurre la propria prestazione.
Fin da Cassazione Su, 5218 e 5219/83 la giurisprudenza di questa Corte è
costante nel ritenere che la legge 990/69, prevedendo l’azione diretta del
danneggiato contro l’assicuratore, ha creato accanto al rapporto, sorto dal
fatto illecito, tra il danneggiato e l’assicurato ed al rapporto contrattuale
fra il responsabile e l’assicuratore un terzo rapporto che, sul presupposto del
primo ed in attuazione del secondo, obbliga ex lege l’assicuratore verso il
danneggiato; in sostanza l’assicuratore non resta più estraneo al rapporto tra
il suo assicurato ed il terzo danneggiato, ma viene inserito quale parte e
protagonista attivo nel rapporto risarcitorio dipendente dall’illecito di cui
l’assicurato è responsabile, con la conseguenza che la richiesta del
danneggiato lo rende contraddittore diretto e p rimario per l’accertamento e la
quantificazione dell’obbligazione risarcitoria dell’assicurato e lo costituisce
debitore verso lo stesso terzo della relativa prestazione.
Secondo lo schema delineato dalla legge 990/69, il danneggiato, allorquando,
trascorso inutilmente il termine di cui all’articolo 22, agisce nei confronti
dell’assicuratore per essere risarcito del danno, non chiede che l’assicuratore
sia condannato ad adempiere in suo favore l’obbligo che il predetto ha nei
confronti dell’assicurato in base al contratto, ma fa valere un diritto suo
proprio nei confronti del predetto assicuratore. Ciò è sufficientemente provato
dal fatto che, secondo la legge, l’assicuratore non può opporre al danneggiato,
che agisce direttamente nei suoi confronti, eccezioni derivanti dal contratto,
né clausole che prevedono l’eventuale contributo dell’assicurato al
risarcimento del danno.
L’ accoglimento della domanda del danneggiato presuppone che siano accertate:
l’esistenza di un contratto di assicurazione tra l’assicuratore convenuto e
colui che è indicato come responsabile del danno; l’esistenza di una danno e la
responsabilità del soggetto assicurato.
Tali accertamenti, anche so non esplicitamente formulati, costituiscono oggetto
della domanda che il danneggiato propone nei confronti dell’assicuratore, la
quale ha quindi il seguente contenuto:
a) si accerti che Tizio è responsabile dei danni che Caio ha subito a seguito
di incidente stradale;
b) si accerti che Tizio è assicurato per la responsabilità civile con la
società X;
c) si condanni la società X, obbligata ai sensi dell’articolo 18 della legge
990/69, al risarcimento dei danni subiti da Caio.
L’accertamento negativo in ordine ad una sola delle indicate circostanze
importa che la domanda proposta nei confronti dell’assicuratore ai sensi
dell’articolo 18 della legge 990/69 debba essere respinta.
Infatti, in assenza di un contratto di assicurazione non sorge alcun obbligo di
indennizzo a carico del l’assicuratore convenuto e, del resto, una volta
accertata l’esistenza del rapporto assicurativo l’obbligo di indennizzo diretto
da parte del l’assicuratore non sussiste se non sussiste anche la
responsabilità dell’assicurato in ordine al fatto dannoso, o perché questo non
si è verificato, o perché pur essendosi verificato non è connotato dalle
caratteristiche attribuitegli, ovvero ancora perché, pur essendo connotato da
quelle caratteristiche. non comporta alcun obbligo risarcitorio.
L’articolo 18 propone una situazione di questo tipo. Vi è da un lato un
soggetto che assume di essere rimasto danneggiato da un sinistro stradale, il
quale agisce in giudizio e dall’altro l’assicuratore che la legge costituisce
come obbligato al risarcimento del danno cagionato dal proprio assicurato. Si
hanno pertanto due soggetti danneggiato ed assicuratore legittimati
rispettivamente ad agire e resistere nel giudizio in forza di un rapporto
sostanziale che prevede un’obbligazione del secondo direttamente nei confronti
del primo.
Senonché, come si è visto, l’accertamento dell’esistenza del contratto di
assicurazione e quello relativo alla responsabilità dell’assicurato, i quali
costituiscono oggetto della domanda proposta dal danneggiato nei confronti
dell’assicuratore, riguardano rapporti rispetto ai quali la titolarità è del
responsabile del danno.
t, infatti l’assicurato che ha, con la stipulazione del contratto, costituito
il rapporto assicurativo che, sebbene non perda la sua caratteristica di
contratto finalizzato a tenerlo indenne dal rischio del risarcimento dovuto a
causa di una sua responsabilità civile, rende. tuttavia, l’assicuratore
direttamente responsabile nei confronti del danneggiato estraneo al rapporto
contrattuale; è d’altra parte il danneggiante l’autore dell’illecito che fa
sorgere il diritto al risarcimento da parte del danneggiato nei confronti
dell’assicuratore.
In una situazione di questo genere l’articolo 23 della legge 990/69 ha previsto
che nel giudizio promosso dal danneggiato nei confronti del l’assicuratore deve
essere chiamato il responsabile del danno.
Si tratta di un litisconsorzio che è necessario non solo perché è previsto
dalla legge, ma anche perché l’accertamento dei due rapporti in cui è coinvolto
il responsabile del danno non costituiscono un mero presupposto per
l’accoglimento della domanda proposta dall’assicurato nei confronti
dell’assicuratore, ma costituiscono invece uno degli oggetti della domanda.
Tale accertamento non può che essere unico e uniforme per tutti e tre i
soggetti coinvolti nel processo, non potendosi nel medesimo giudizio affermare,
con riferimento alla domanda proposta dal danneggiato nei confronti
dell’assicuratore, che il rapporto assicurativo e la responsabilità
dell’assicurato esistano nel rapporto tra due delle parti e non per l’altra, e
ciò non soltanto in base al principio di non contraddizione, ma soprattutto in
base alla struttura dell’azione cosi come disciplinata dagli articoli 18 e 23
della legge 990/69, se si ha presente che l’obbligazione del l’assicuratore di
pagare direttamente l’indennità al danneggiato, non nasce se non esiste il
rapporto assicurativo e se non è accertata la responsabilità dell’assicurato.
Né è sostenibile che l’univoco accertamento che il giudice compie in ordine
all’azione promossa dal danneggiato nei confronti dell’assicuratore vale solo
con riferimento al rapporto diretto che la legge istituisce tra i due.
Si consideri come nessuno abbia mai dubitato che l’accertamento della esistenza
del contratto di assicurazione e della responsabilità dell’assicurato, compiuto
nel giudizio promosso dal danneggiato nei confronti dell’assi curatore, valga
anche nel rapporto tra assicuratore e responsabile del danno.
Nessuno ha mai sostenuto, infatti, che l’assicuratore condannato a risarcire il
danno, il quale, in separato giudizio svolga l’azione di rivalsa nei confronti
dell’assicurato, assumendo di aver indennizzato il danneggiato pur avendo avuto
contrattualmente il diritto di rifiutare o ridurre la propria prestazione,
possa vedersi opporre dall’assicurato che egli non era responsabile del danno e
che il contratto di assicurazione non esisteva, quando questi fatti siano stati
accertati nel giudizio promosso dal danneggiato ai sensi dell’articolo 18, al
quale abbia partecipato anche l’assicurato.
Allo stesso modo l’assicurato che faccia valere la responsabilità del
l’assicuratore perché questi con il suo comportamento omissivo ha fatto
lievitare il danno oltre i limiti del massimale e, quindi, chiede di essere
tenuto indenne dall’assi curatore, in base al rapporto di assicurazione tra i
due esistente, di quanto abbia dovuto pagare al danneggiato, non può vedersi
opporre dell’assicuratore che il rapporto accertato nel giudizio intercorso tra
il danneggiato e l’assicuratore e la responsabilità accertata nello stesso
giudizio non esistono.
Se ciò è vero nei rapporti tra assicurato ed assicuratore, deve essere pure
vero nei rapporti tra danneggiato e assicurato, con riferimento all’accertata
responsabilità del danno. Questa responsabilità una volta accertata o negata
nel giudizio promosso dal danneggiato nei confronti dell’assicuratore, in
contraddittorio con l’assicurato, è accertata o negata anche nei rapporti tra
danneggiato e assicurato.
Ma, come si è detto prima, nel giudizio tra danneggiato ed assicuratore
l’esistenza del rapporto di assicurazione e la responsabilità dell’assicurato
non possono essere contemporaneamente affermate e negate. O esistono e la
domanda va accolta o non esistono ed allora la domanda va respinta, aspetto
questo ben colto da Cassazione 10693/98 laddove afferma, richiamando Cassazione
5793/82, che la controversia si svolge in maniera unitaria tra i tre soggetti
del rapporto processuale ed abbraccia inscindibilmente sia il rapporto di
danno, originato dal fatto illecito dell’assicurato, sia il rapporto
assicurativo.
La situazione non muta se il danneggiato, nel giudizio promosso contro
l’assicuratore ai sensi dell’articolo 18 della legge 990/69, oltre a chiedere
la condanna dell’assicuratore chiede anche la condanna del responsabile del
danno; in tale caso la domanda nei confronti di quest’ultimo si articola nei
seguenti punti:
a) si accerti che Tizio è responsabile dei danni che Caio ha subito a seguito
di incidente stradale;
b) si condanni Tizio al risarcimento del danno subito da Caio.
Ma la domanda sub a) proposta dal danneggiato nei confronti del responsabile
del danno è la stessa domanda sub a) proposta dal danneggiato nei confronti
dell’assicuratore, attiene ad un medesimo fatto, impone l’accertamento delle
medesime circostanze e delle medesime conseguenze giuridiche; ciò che la
differenzia dall’altra e che alla domanda di accertamento della responsabilità
si aggiunge quella di condanna del responsabile al risarcimento del danno. Ora,
se come si è sopra chiarito, l’accertamento della responsabilità
dell’assicurato, nell’azione diretta promossa dal danneggiato nei confronti del
l’assicuratore deve avvenire in modo unitario nei rapporti di tutte e tre le
parti che partecipano al giudizio, e tale accertamento vale anche nei rapporti
tra danneggiato e responsabile, ne consegue che nell’azione promossa dal
danneggiato nei confronti del responsabile per ottenere da costui il
risarcimento del danno, tale accertamento non può differire da quello svolto in
sede di azione diretta.
La suddetta ricostruzione dell’azione diretta e della sussistenza in essa di un
litisconsorzio necessario che impone oltre alla partecipazione al giudizio del
responsabile del danno anche una decisione unitaria nei confronti dei soggetti
partecipanti allo stesso, giustifica come nell’ipotesi di azione proposta dal
danneggiante nei confronti del solo responsabile del danno non sia prevista la
necessaria partecipazione al giudizio dell’assicuratore quale litisconsorte.
Invero in quest’ultima ipotesi il rapporto sostanziale dedotto in giudizio
intercorre tra le parti che formalmente vi partecipano e la situazione
accertata in quel giudizio solo indirettamente influisce sul rapporto
assicurativo, il quale potrebbe essere solo eventualmente introdotto mediante
una chiamata in garanzia, ovvero essere introdotto con altro giudizio, ovvero
ancora non essere mai evocato.
Se quanto sin qui detto è esatto ne discende:
a) che va ribadita la giurisprudenza di questa Corte, risalente alla Su,
Cassazione, Su, 5220/83, secondo cui in tema di assicurazione obbligatoria
della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore o
dei natanti, qualora il danneggiato, esercitando l’azione diretta nei confronti
dell’assicuratore, evochi in giudizio quest’ultimo ed il responsabile
assicurato (articoli 18 e 23 della legge 990/69), e, chiedendo un risarcimento
eccedente i limiti del massimale di assicurazione, proponga, oltre alla domanda
nei confronti dello assicuratore, anche domanda contro l’assicurato, le domande
medesime si trovano in rapporto di connessione e reciproca dipendenza, trovando
presupposti comuni nell’accertamento della responsabilità risarcitoria
dell’assicurato e dell’entità del danno risarcibile, con la conseguenza che
l’impugnazione della sentenza per un capo attinente a detti presupposti comuni,
da qualunque parte ed in confronto di qualunque parte proposta, impedisce il
passaggio in giudicato dell’intera pronuncia con riguardo a tutte le parti (v.
di recente: Cassazione 15039/04; 10125/03; 5877/99, 255/99; 9919/98);
b) che, in materia di dichiarazioni rese dal responsabile del danno, va
respinta qualsiasi tesi che porti a concludere che, nel giudizio instaurato ai
sensi dell’articolo 18 della legge 990/69, e nel caso in cui sia stata proposta
soltanto l’azione diretta e nel caso in cui sia stata proposta anche la domanda
di condanna nei confronti del responsabile del danno, in base a dette
dichiarazioni si possa pervenire ad un differenziato giudizio di
responsabilità, in ordine ai rapporti tra responsabile e danneggiato, da un
lato, e danneggiato ed assicuratore dall’altro.
È bene che questo. punto sia affrontato e chiarito, a prescindere dal fatto se
la dichiarazione del responsabile del danno sia contenuta o meno nel cosiddetto
CID, con la precisazione che quanto si parla di dichiarazioni confessorie si fa
riferimento a quelle dichiarazioni in cui siano ammessi fatti che, valutati
alla stregua delle regole in materie possano portare alle affermazione della
responsabilità del soggetto che le ha rese, e non quindi alle dichiarazioni che
consistano in mera assunzione di responsabilità o di colpa.
Questo secondo punto deve, inoltre, essere affrontato in relazione all’ipotesi
in cui la dichiarazione, ritenuta avente valore confessorio, sia resa dal
responsabile del danno che sia anche litisconsorte necessario nel giudizio
promosso dal danneggiato contro l’assicuratore, e cioè dal proprietario del
veicolo assicurato, secondo quella che è la quasi unanime giurisprudenza di
questa Corte. Questa ipotesi si realizza prevalentemente nel caso, ricorrente
nella specie, in cui il conducente del mezzo si identifica con il proprietario
del veicolo.
Sono estranee al presente giudizio invece le questioni che attengono alla
confessione resa dal conducente del veicolo, il quale non sia anche
proprietario del mezzo.
Orbene una volta chiarito che nel giudizio promosso dal danneggiato nei
confronti dell’assicuratore il responsabile del danno, che deve essere chiamato
nel giudizio sin dall’inizio, assume la veste di litisconsorte necessario, ed
una volta affermato che la decisione deve essere uniforme per tutti e tre i
soggetti ed è, inoltre, idonea a regolare i rapporti tra gli stessi (non quindi
solo il rapporto tra danneggiato ed assicuratore, ma anche quello tra
quest’ultimo ed il responsabile del danno, in ordine alla sussistenza del
rapporto assicurativo, e tra il predetto responsabile ed il danneggiato in
ordine alla responsabilità del sinistro), appare consequenziale che dalla
valutazione delle dichiarazioni di colui che secondo il danneggiato è il
responsabile del danno, non possono derivare conclusioni differenziate in
ordine ai rapporti sopra individuati.
La norma attraverso la quale si realizza questo effetto è quella di cui al
comma 3 dell’articolo 2733 Cc, secondo la quale in caso di litisconsorzio
necessario la confessione resa da alcuni soltanto dei litisconsorzi è liberamente
apprezzata dal giudice; questa norma costituisce una deroga a ciò che dispone
il secondo comma, secondo cui la confessione fa piena prova contro chi l’ha
fatta; infatti viene esclusa la funzione di piena prova della confessione, la
quale assume soltanto la natura di elemento che il giudice apprezza
liberamente, e ciò non solo nei confronti di chi ha reso la dichiarazione ma
anche nei confronti degli altri litisconsorzi. La norma è applicabile alla
fattispecie in esame, poiché si verte in tema di accertamento di fatti, da
effettuarsi in modo unitario, i quali, come si è in precedenza affermato, hanno
efficacia e rilevanza comuni per tutte e tre le parti che la legge indica come
litisconsorzi necessari del giudizio promosso dal danneggiato ai sensi dell’articolo
18 della legge 1969/90.
In applicazione dei suddetti principi perde rilievo la questione sollevata nel
secondo motivo del ricorso relativa al valore confesso rio o meno da attribuire
alle dichiarazioni rese della parti nel modello CID.
Non hanno rilievo neppure le questioni sollevate, sempre con il secondo motivo,
con riferimento alle affermazioni contenute nella sentenza impugnata, secondo
cui l’articolo 5 della del Dl 857/76 non troverebbe applicazione nella specie
essendo mancato uno «scontro» tra i due veicoli e perché il modello CID sarebbe
stato inviato con ritardo all’assicuratore.
Infatti, il Tribunale, nonostante abbia affermato che, per le suddette ragioni,
il modulo CID non potesse avere valore di «presunzione legale» nei confronti
dell’assicuratore, ha finito poi per prendere in esame la ricostruzione dei
fatti contenuta nel predetto modulo e con ampia ed argomentata motivazione,
basata su dati obiettivi e sulle osservazioni del consulente tecnico, ha, in
accordo con questi, concluso che i danni riscontrati sull’auto del C. non erano
compatibili con la dinamica del sinistro cosi come descritta dalle parti e che,
ammesso che il sinistro si fosse effettivamente verificato, lo stesso era
comunque avvenuto con modalità diverse da quelle descritte.
Ora se si considera che, come da costante giurisprudenza di questa Corte di
Cassazione, il modulo CID quando è sottoscritto dai conducenti coinvolti e
completo in ogni sua parte, compresa la data, genera una presunzione iuris
tantum valevole nei confronti dell’assicuratore, e come tale superabile con
prova contraria e che tale prova può emergere non soltanto da un’altra
presunzione, che faccia ritenere che il fatto non si è verificato o si è
verificato con modalità diverse da quelle dichiarate, ma anche da altre
risultanze di causa,
ad esempio da una consulenza tecnica d’ufficio, ne consegue che la sentenza
impugnata si sottrae alle censure in diritto svolte dal ricorrente, perché,
nonostante le richiamate contrarie affermazioni, essa ha finito per applicare
di fatto correttamente la norma che si assume violata.
Le censure che. invece, si richiamano alla violazione dell’articolo 360 n. 5
c.p.c. sono inammissibili, atteso che esse si risolvono nella pretesa di una
diversa valutazione degli elementi di prova esaminati
dal Tribunale, il cui convincimento è sostenuto da argomentazioni immuni da
vizi logici e, come rilevato nel paragrafo che precede, anche da vizi
giuridici.
Il ricorso è rigettato. Nulla per le spese in assenza di svolgi mento di
attività difensiva delle parti intimate.
PQM
La Corte di cassazione, a Sezioni Unite, rigetta il ricorso.
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