(Asaps) Ancora un fine settimana di sangue sulle nostre strade:
quaranta morti e 1.019 feriti. Famiglie distrutte da irrimediabili addii, e
persone che in un modo o nell’altro vedranno la loro vita cambiare perché
dovranno affrontare più o meno lunghi periodi di degenza in ospedale. Un dolore
che pare non avere fine, riassunto dalle fredde statistiche che hanno il sapore
di un bollettino di guerra. Eppure non basta. E’ evidente che la consapevolezza
del rischio è ancora troppo bassa nel nostro Paese. E dire che di prevenzione,
da parte delle forze dell’ordine, ne viene fatta. Lo dimostrano i numeri di questo
week-end: quasi 34 mila pattuglie tra polizia e carabinieri, che hanno rilevato
oltre 23 mila infrazioni al Codice della Strada e decurtato più di 30 mila
punti dalle patenti degli italiani. Da un lato, uomini e mezzi schierati per la
sicurezza, dall’altro un’interpretazione scorretta di ciò che è il loro lavoro.
Perché serve a poco stare “su strada” se l’automobilista vive l’agente come una
“scocciatura”. Così come serve a poco togliere il piede dall’acceleratore solo
se si vede l’autovelox, per timore di una multa, per poi accelerare di nuovo a
tavoletta non appena si è lasciato lo “spettro Polstrada” oltre lo specchietto
retrovisore. Trentamila punti tolti dalle patenti possono voler dire oltre
diecimila automobilisti gravemente indisciplinati. Il dramma è tutto qui: la
sottovalutazione delle conseguenze che si possono patire in prima persona o far
patire ad altri. Un male sociale che deriva, con molta probabilità, dalla
scarsa sensibilità civile e morale dei nostri tempi. Lo hanno detto, se pur
riferito ad altre circostanze, criminologi, magistrati e psicologi: oggi manca
l’etica, così come manca il senso della vita e della morte. Ed è forse per
questo che viviamo in un mondo senza regole: sembra che gli incidenti accadano
sempre agli altri, e non si pensa che “gli altri” siamo anche noi. Non bastano
le immagini di auto ridotte a carcasse: agli occhi di molti (forse troppi) sono
“solo” lamiere. Dietro questi fotogrammi, nascosti da pietosi teli bianchi, ci
sono figli che non avranno più il loro papà, madri che non accetteranno mai di
essere sopravvissute ai propri figli, donne che non scopriranno mai la gioia di
diventare madri. Non si vedono, ma ci sono abitudini spezzate, giorni che non
saranno più vissuti all’aria aperta ma in un letto d’ospedale, volti segnati
per sempre da cicatrici indelebili, gambe che non correranno più. Con un
pizzico di empatia si potrebbe intuire il dramma di una vita inghiottita dalla
morte e delle famiglie che restano, ma anche il dolore fisico che si prova con
un arto spezzato o quando uno sterzo preme con forza contro lo stomaco. Tra i
quaranta morti di questo fine settimana, ci sono quindici ragazzi e ragazze che
non festeggeranno mai il loro trentesimo compleanno. Tra quei poco più di mille
feriti, ci sono di certo uomini e donne che dormono profondi sonni
farmacologici in una rianimazione, altri con gessi e stampelle, altri ancora
nel reparto ustionati. Forse solo umanizzando quei numeri, quelli dei
bollettini di guerra delle strade italiane, si può arrivare a comprendere che
quelle migliaia di pattuglie non sono lì soltanto per “far cassa” con una multa
in più o una in meno. Ognuno di quegli agenti e di quei carabinieri spera, in
cuor suo, di bloccare qualcuno prima del dramma, perché poi è troppo tardi. Che
sia con un alcoltest o con un autovelox o una banale paletta con l’alt non
importa. E’ peggio, e segna nell’anima ognuno di loro, quando si bussa in piena
notte a una porta per dire “mi spiace, è successo un incidente…”. Ed assistere
alla trasformazione tra il “prima” e il “dopo” leggendola negli occhi dei
familiari, con lacrime e disperazione che prendono forma nel momento esatto in
cui si ha la consapevolezza che la vita non sarà più la stessa. Aver paura di
una multa ha poco senso: meglio averne della morte e del dolore, perché è da
quelli che non si torna indietro.(Asaps) |
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