(ASAPS) – Non è più un segreto che i più giovani,
soprattutto in età scolare, siano spesso gli utenti della strada più attenti.
Quanti genitori si sentono infatti muovere rilievi durante la guida dai loro
piccoli? Quanti di noi vengono richiamati per allacciare le cinture o per non
telefonare quando siamo al volante? La spiegazione è semplice: i bambini
apprendono di più e sicuramente meglio, rispetto agli adulti, e sono in grado
di modificare le proprie abitudini con maggior efficienza rispetto ai grandi,
senza bisogno di troppi “memo”. È l’età, nella quale la predisposizione tipica
dei primi anni di vita ad apprendere i modi di fare necessari a restare in
vita, e formare i modelli comportamentali per vivere meglio, è al massimo. Il
particolare ha incuriosito più di un educatore, e molti dei programmi
scolastici delle elementari sono stati corredati di ore da trascorrere a
studiare teoria ed a fare pratica in tracciati nei quali vengono riprodotti gli
schemi di traffico viario della nostra società. Uno studio, promosso dalla
Daimler Chrysler Italia – che ha preso il nome di “l’educazione stradale con
gli occhi dei bambini” nell’ambito del progetto “Mobile Kids” –
ha evidenziato proprio questo, mostrando agli occhi degli analisti una società
moderna in cui bambini hanno mutato la propria condizione di vulnerabilità rispetto
al traffico, diventando autonomi e più prudenti, capaci di muoversi in città
utilizzando con efficienza i mezzi pubblici, in grado di resistere alla
tentazione di giocare in mezzo alla strada e di riconoscere i segnali stradali.
Per esempio attraversano sulle strisce, o si fermano al semaforo quando è
rosso. Lo studio, che è parte di un’iniziativa che va avanti ormai da alcuni anni, prevede di prendere in esame i
comportamenti di 2.500 bambini di età compresa tra gli 8 ed i 12 anni, che
saranno intervistati a Bolzano, Verona, Modena e Grosseto. C’è da dire che si
tratta di città nelle quali le nuove generazioni possono contare su
infrastrutture migliori, su condizioni di traffico non esasperate, e su sistemi
scolastici che funzionano perfettamente; siamo sicuri infatti che se la ricerca
avesse analizzato altre realtà italiane – dove a dire la verità molti bambini
nemmeno ci vanno, a scuola – i risultati sarebbero radicalmente cambiati. In
effetti, già tra una provincia e l’altra tra quelle prese in esame, i risultati
sono diversi: per ora la carovana ha già fatto tappa a Modena – dall’8 al 10
maggio – ed a Grosseto, dove l’attività si è conclusa il 17 maggio. Dal 23 al
25 maggio se ne parlerà invece a Verona, mentre il 30 maggio ed il 1° giugno
l’iniziativa si concluderà a Bolzano. Il metodo adottato per lavorare coi
bambini sul tema della sicurezza stradale è strutturato come un vero e proprio
progetto, composto da quattro elementi principali: il villaggio, dove i
piccoli apprendono i comportamenti stradali corretti attraverso una serie di
giochi, i materiali didattici, scelti in maniera tale da poter
accompagnare gli alunni che prendono parte al progetto lungo l’intero anno
scolastico, la formazione dei docenti, che frequentano corsi di
istruzione pedagogica e tecnica (detti di focus learning) e che poi
trasmetteranno i concetti per le classi inserite nel progetto, ed infine un sondaggio
sul tema della strada e dei suoi utenti, che costituisce ovviamente il
punto finale dell’opera e che mette i bambini al centro del sistema mobilità.
Il gioco è lo strumento ideale per apprendere, e proprio in questo senso ogni
attività del piano – che prevede una fase didattica ed una appunto ludica – ha
un senso se inserita nello scopo unico: rendere i più piccoli consapevoli dei
rischi, insegnare loro come affrontarli ed educarli al rispetto delle regole,
unica garanzia per una mobilità sicura. Il risultato è ogni volta stupefacente:
a Grosseto, per esempio, bambini si sono accorti che per i portatori di
handicap è praticamente impossibile attraversare la strada, riconoscono che
giocare in strada è pericoloso, e quindi lo evitano. A sentir parlare certi
adulti, ci viene da pensare che il giudizio sia destinato a diminuire, con
l’età, piuttosto che aumentare. La realizzazione della ricerca è stata curata
da IRASE – Istituto per la Ricerca Accademica, Sociale ed Educativa – con il
contributo della cattedra di Psicologia Sociale della Famiglia dell’Università
di Palermo, quella di Psicologia Sociale dell’Università Cattolica del Sacro
Cuore di Milano, di Urbanistica della Facoltà di Architettura dell’Università
di Firenze, di Psicologia Sociale dell’Università degli Studi di Modena-Reggio
Emilia e quella di Psicologia del Lavoro dell’Università degli Studi di Verona.
(ASAPS)
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