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Giurisprudenza 25/05/2006

da "il Centauro" n.103 - Giurisprudenza

a cura di Franco Corvino

Le sentenze dei Giudici di Pace diventano appellabili davanti al tribunale. Il sistema di verifica dei giudizi di primo grado diventa più pratico, più agevole e possibile

Troppo e strano il silenzio dei media intorno all’importante novità

 La novità relativa alla modifica dell’articolo 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689 è arrivata silenziosa con il Decreto Legislativo 2 febbraio 2006 nr.40, quasi ci sia un certo pudore a parlarne. No, parliamone, sinteticamente, ma parliamone. Che in materia di giudizi davanti ai Giudici di pace, le cose non abbiano sempre funzionato bene, lo dicono i fatti. Noi stessi come associazione abbiamo raccolto numerose "perle" di sentenze e ovviamente siamo più volte intervenuti nelle sedi competenti. Se col tempo ai GdP è stata tolta la competenza per giudicare sulla guida in stato di ebbrezza e se oggi, da ultimo, con una apposita modifica di legge si è reso possibile il ricorso in Tribunale avverso alle loro sentenze, ci sarà stato un motivo. E’ vero non c’è stato molto rumore sulla notizia dell’imminente modifica all’art. 23 della legge 689/1981, anzi è passata quasi inosservata sugli organi di informazione. E’ chiaro a tutti che la riforma introdotta dal recente Dlgs 40/2006 segna una svolta a dir poco rivoluzionaria anche nei rapporti tra la Pubblica Amministrazione e la magistratura non togata. Dal 2 marzo 2006 non sarà più necessario ricorrere in Cassazione contro le sentenze spesso discutibili dei Giudici di pace. Si potrà proporre appello direttamente al Tribunale. Ora ci sarà finalmente un termometro per la verifica il monitoraggio dell’operato dei Giudici di pace da parte dei colleghi togati, giudici di carriera che potranno recuperare il giusto profilo di applicazione della norma, che in più occasioni è apparso a molti fin troppo svilito da numerose sentenze a dir poco approssimative e addirittura innovative in modo molto "originale" del diritto da parte dei giudici onorari. Verrebbe da dire una battuta del tipo "la ricreazione è finita", ma saremmo ingenerosi nei confronti dei tanti Giudici di pace che comunque hanno svolto bene il loro lavoro, senza confonderlo col ruolo di assistenti sociali, come altri hanno invece fatto. Recentemente in molti casi gli atteggiamenti in sede di giudizio erano oggettivamente cambiati, apparendo più professionali ed equi. Ora la P.A. avrà l’oppurtunità di vedere validati i giudizi dei GdP con un sistema di ricorso più agevole, più pratico e più praticabile. Rimane da risolvere il dispendio di energie con presenze numerose di operatori di polizia per la discussione dei procedimenti. Operatori che in molti casi, sotto il tiro incrociato dei difensori spesso sostenuti dai GdP, si sentono più imputati che testi. Non sarebbe da scartare l’idea di una sorta di avvocatura amministrativa dello Stato e delle Amministrazioni locali deputata a seguire puntigliosamente e in modo molto professionale i procedimenti in tutto il loro evolversi. La situazione non poteva durare, oggi si è girata una pagina importante. Qualche modifica ulteriore rimane ancora da fare. Adesso siamo però più fiduciosi. 

Giordano Biserni
Presidente Asaps
 

DECRETO LEGISLATIVO 2 febbraio 2006, n.40 G.U. n. 38 del 15 febbraio 2006 Art. 26 1. All’articolo 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al quinto comma, le parole: «ricorribile per cassazione» sono sostituite dalla seguente: «appellabile»; b) l’ultimo comma e’ abrogato.


Chi glielo dice ora agli agenti? Guida in stato ebbrezza, giudici contro: l’etilometro non basta più per condannare un ubriaco alla guida. Il giudice monocratico di Olbia assolve un romano 
Esulta ovviamente il difensore: “sentenza rivoluzionaria”. 
Non esulta l’asaps. Per noi la sentenza e’ pericolosissima
 

(ASAPS) OLBIA – “La sola prova rappresentata dal dato registrato dall’etilometro non è sufficiente a dichiarare la responsabilità penale di chi viene trovato alla guida dell’auto in stato di ebbrezza”. È questo il succo della sentenza del giudice monocratico presso il tribunale di Olbia, dottor Vincenzo Cristiano, che ha assolto da ogni addebito penale un 22enne romano che la scorsa estate venne colto in flagranza di guida in stato di ebbrezza al volante della propria auto, dalla Polizia Stradale, durante le vacanze. Il giovane aveva un tasso alcolemico più che doppio del consentito, che l’etilometro aveva accertato essere di 1,2 grammi di alcol per litro di sangue. “Sentenza rivoluzionaria”, dice il legale dell’ebbro; “sentenza pericolosissima”, diciamo noi. Il perché è ovvio: se passa questa linea, se non vogliamo nemmeno più l’etilometro e l’accertamento di Pubblici Ufficiali nell’esercizio delle proprie funzioni, che nella fattispecie rivestono la qualifica di agenti o ufficiali di polizia giudiziaria, allora per far rispettare la legge cosa deve servire? Pensiamo al “giudice di notte”, come in altri paesi del mondo, dove togati permangono a turno nelle aule a trattare le “urgenze”, al quale portare in aula l’indagato e fargli sentire l’alito… ma visto l’andazzo non ci speriamo molto. È più probabile che se l’interpretazione del giudice venga ripresa anche da altri – e ci auguriamo proprio di no – il responso finale lo darà l’esame autoptico di chi si schianta in auto, sperando che non porti con sé all’altro mondo, come invece accade troppo spesso, qualche innocente. Non ci rimane dunque che l’esame del sangue: vorrà dire che intaseremo le corsie dei pronto soccorsi, costringendo i sospetti a lunghe trasferte, i medici a maggior dispendio di aghi e siringhe, i laboratori di analisi a sempre crescenti ritmi di lavoro, mentre sulle strade non vigilerà più nessuno. Vorrà dire che dovremo rinunciare anche ai 180mila controlli etilometrici all’anno, contro gli 8 milioni della Francia o i 5 milioni della Spagna, paesi che rispetteranno il progetto europeo di dimezzare la mortalità entro il 2010. Noi no. Noi dobbiamo rassegnarci a questo teatrino davvero poco serio, di chi arriva a negare l’evidenza anche in aula. Sì, lo diciamo con forza e ce ne assumiamo come al solito ogni responsabilità. Come si può chiudere così l’azione penale, scegliendo di negare una verità scientifica come quella di una macchina sofisticatissima che analizza l’alcolemia e che passa i più severi test di omologazione? Come si fa a sostenere che la prova dell’etilometro è sufficiente al massimo per l’applicazione delle sanzioni amministrative e non di quelle penali? Come si fa a sostenere che la semplice assunzione di alcol non determini uno stato di ebbrezza “dal momento che, a parità di quantità ingerite, le conseguenze sull’equilibrio di chi ne abusa sono diverse da soggetto a soggetto”? La risposta la fornisce proprio il legale che ha vinto la sua personale battaglia, e che ha detto alla stampa – ovviamente subito avvertita – che quella di ieri (1 marzo, ndr) “…è una sentenza rivoluzionaria perché consacra una regola giuridica fondamentale: quella per cui il libero convincimento prevale sul test scientifico e sulla prova legale. In questo senso se le sanzioni amministrative devono essere automaticamente applicate quando si supera la soglia prevista dalla norma, perché sussista anche il reato di guida in stato di ebbrezza occorre la prova che l’assunzione, anche oltre misura, di bevande alcoliche comporti il venir meno dell’equilibrio psico-fisico del soggetto e che, pertanto, questi si trovi effettivamente in stato di ebbrezza”. Per fortuna nel nostro ordinamento non sussiste il principio anglosassone dello “stare decis”, cioè del precedente giudiziario vincolante. Ora però chi glielo dice a tutte le divise che operano giorno e notte sulle strade, rincorrendo, fra mille rischi, violazioni a pacchi? Ci verrebbe da dire facciamoci una bevuta tanto…


Giordano Biserni 
(ASAPS)


Giurisprudenza di legittimità 
Corte di Cassazione Civile
 Sez. I, 31 ottobre 2005, n. 21188 

Pedoni – circolazione dei pedoni – Attraversamento fuori delle strisce pedonali – Mancato utilizzo di apposito sottopassaggio – Sottopassaggio a distanza inferiore a cento metri ma non visibile né segnalato – Violazione ex art. 190, comma secondo, c.d.s. – Esclusione.

Non sussiste la violazione di cui all’art. 190, secondo comma, c.d.s., nel caso in cui un pedone per attraversare la carreggiata non si sia servito di apposito sottopassaggio situato a distanza inferiore a cento metri, qualora tale sottopassaggio non sia visibile né segnalato. 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – Con ricorso depositato il 27 febbraio 2001 la sig.ra A.G. proponeva opposizione all’ordinanza 18 gennaio 2001, notificatale l’1 febbraio successivo, con cui il Prefetto di Ancona le aveva intimato il pagamento della sanzione amministrativa di lire 72.000, oltre spese di notifica, per avere ella, in Falconara Marittima, attraversato la carreggiata stradale senza servirsi degli attraversamenti pedonali, in presenza di apposito sottopassaggio, a distanza inferiore ai 100 metri, così violando l’articolo 190, comma 2, del c.d.s.. Lamentava (per quanto qui ancora rileva) il difetto di dolo o colpa da parte sua, non essendo il sottopassaggio in questione visibile – né segnalato – dal punto in cui ella aveva attraversato la strada. Resisteva la Prefettura di Ancona a mezzo di funzionario e l’adito Giudice di pace della stessa città, con sentenza del 25 luglio 2001, rigettava l’opposizione osservando che : l’articolo 190, comma 2 c.d.s. non contempla il requisito della visibilità degli attraversamenti pedonali e pone a carico del pedone il dovere di verificarne la presenza entro i cento metri; del resto, il sottopassaggio in questione era ben noto a tutti gli abitanti di Falconara Marittima ed era, comunque, ben visibile dal punto in cui l’opponente aveva attraversato la strada; inoltre, l’opponente, ben conscia della sua omissione, aveva provveduto al pagamento della sanzione otto giorni prima del deposito dell’opposizione. Avverso tale sentenza ricorre per cassazione la sig.ra G., articolando tre motivi illustrati anche da memoria. Il Prefetto intimato non svolge difese. 
MOTIVI DELLA DECISIONE Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 3 della legge 689/81 e dell’articolo 190, comma 2, c.d.s.. Premesso che il sottopassaggio non era visibile dal punto in cui ella si trovava e che la sua esistenza non era in alcun modo segnalata, censura la sentenza impugnata perché, affermando che l’articolo 190, comma 2, c.d.s. non contempla il requisito della visibilità del passaggio pedonale ed impone al pedone l’obbligo di verificarne l’esistenza nell’ambito di 100 metri, si è limitata a prendere in considerazione la fattispecie di illecito così come descritta dalla norma sul piano oggettivo, mentre ha del tutto obliterato il principio della necessità dell’elemento psicologico dell’illecito amministrativo, sancito in generale dall’articolo 3 della legge 689/81. Con il secondo motivo, denunciando vizio di motivazione, la ricorrente deduce che la sentenza non ha, in realtà, indicato alcuna ragione della ritenuta visibilità dell’attraver
 samento pedonale, invece da escludere in base agli elementi di prova acquisiti; che è arbitrario sostenere che ella doveva necessariamente essere a conoscenza del sottopassaggio in quanto residente in Falconara, città di oltre tremila abitanti; che l’avvenuto pagamento della sanzione è idoneo a giustificare la ritenuta infondatezza dell’opposizione, avendo essa eseguito il pagamento in considerazione della esecutività dell’ordinanza-ingiunzione, che non è sospesa  dalla proposizione dell’opposizione (articolo 22, ultimo comma, legge 689/81). Con il terzo motivo, denunciando violazione dell’articolo 23, comma 12, della legge 689/81, lamenta che il giudice di pace non abbia – come invece gli imponeva la norma invocata, ispirata al principio del favor rei – accolto l’opposizione nel dubbio sulla sussistenza dell’illecito. 
Il primo motivo è fondato. Effettivamente il giudice di pace basa il rigetto dell’opposizione anzitutto sul rilievo, considerato in sé sufficiente (gli ulteriori argomenti sono configurati come autonomi), che l’articolo 190, comma 2, c.d.s. non prevede la visibilità dell’attraversamento pedonale come elemento della fattispecie ed impone al pedone l’obbligo di verificare l’esistenza dell’attraversamento stesso nell’ambito di 100 metri. Detta tesi, non può, nella sua assolutezza, essere condivisa, perché prende in considerazione esclusivamente l’aspetto oggettivo dell’illecito e trascura tutto l’elemento psicologico del medesimo, invece essenziale ai sensi della norma generale di cui all’articolo 3 della legge 689/81 e del cui accertamento in concreto, dunque, il giudice di merito deve darsi carico, ove richiestone (come nella specie) con l’opposizione. Agli effetti di tale accertamento, senza dubbio rileva la conoscenza ovvero conoscibilità, secondo l’ordinaria diligenza, dei presupposti di fatto dell’illecito, qual è, nella fattispecie di cui al comma 2 dell’articolo 190 c.d.s., l’esistenza di un attraversamento pedonale distante non più di 100 metri; sicché sotto tale profilo – ossia ai fini del giudizio di conoscenza o conoscibilità del presupposto di fatto – certamente rileva anche la visibilità dell’attraversamento, intesa come possibilità, per il pedone, di verificare l’esistenza di esso applicandosi con l’ordinaria diligenza. Fondato è anche il secondo motivo. Il giudice di pace, infatti, non dà minimamente conto delle ragioni per cui ha ritenuto che l’attraversamento pedonale fosse in concreto visibile dalla opponente. Inoltre l’affermazione che quest’ultima lo conosceva, come tutti gli abitanti di Falconara, è in realtà arbitraria. Del pari arbitrario è, infine, dedurre l’ammissione della colpa dell’opponente dell’avvenuto pagamento da parte sua, della sanzione (giustamente la ricorrente sottolinea in proposito l’esecutività dell’ordinanza-ingiunzione, che non viene sospesa neppure dalla proposizione dell’opposizione, ai sensi dell’articolo 22, ultimo comma, legge 689/81). Nell’accoglimento dei primi due motivi resta assorbito l’esame del terzo (che presuppone il dubbio sull’elemento psicologico, al cui accertamento dovrà invece procedersi nel giudizio di rinvio). In conclusione, accolti i primi due motivi del ricorso e dichiarato assorbito il terzo, la sentenza impugnata va cassata con rinvio, per un nuovo esame, al giudice indicato in dispositivo, il quale si atterrà al principio di diritto sopra enunciato e motiverà sulla sussistenza o meno del dolo o della colpa in capo all’opponente.
 Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità. [RIV-0601P13].


Assicurazione obbligatoria – Risarcimento danni – Domanda di risarcimento – Assistenza legale del danneggiato – Composizione bonaria della vertenza – Spese legali – Rimborsabilità.

 In tema di assicurazione obbligatoria per la R.C.A., per il risarcimento del danno il danneggiato ha diritto, in ragione del suo diritto di difesa costituzionalmente garantito, di farsi assistere da un legale di fiducia e, in ipotesi di composizione bonaria della vertenza, di ottenere il rimborso delle relative spese legali. (Cass. Civ., Sez. III,. 31 maggio 2005, n. 11606) [RIV-1005]


 Depenalizzazione – Accertamento delle violazioni amministrative – Contestazione – Immediata – Esclusione – Condizioni – Indicazione di motivi generici – Conseguenze – Fattispecie in tema di uso durante la guida di telefono non a viva voce.

In tema di violazioni del codice della strada, la contestazione immediata imposta dall’art. 201 c.d.s. ha un rilievo essenziale per la correttezza del procedimento sanzionatorio e svolge funzione strumentale alla piena esplicazione del diritto di difesa del trasgressore; la limitazione del diritto di conoscere subito l’entità dell’addebito può trovare giustificazione solo in presenza di motivi che la rendano impossibile, dovendo tali motivi essere, pertanto, espressamente indicati nel verbale. (Nella specie la Corte ha accolto l’opposizione a verbale di contestazione per uso durante la guida di telefono non a viva voce, sul rilievo del verbale notificato al trasgressore conteneva solo generica giustificazione dell’impossibilità per i verbalizzanti di procedere alla contestazione immediata).
(Cass. Civ., Sez. II, 28 aprile 2005, n. 8837) [RIV-1005]


Velocità – Limiti fissi – Apparecchi rilevatori – Autovelox – Velomatic mod. 512 – Rilevamento della velocità successivo al transito del veicolo – Contestazione immediata della violazione – Esclusione.

In materia di accertamento di violazioni delle norme sui limiti di velocità compiute a mezzo apparecchiature di controllo (nella specie autovelox Velomatic mod. 512), ai sensi dell’art. 384 Reg. c.s., qualora esse consentano la rilevazione dell’illecito solo in tempo successivo, ovvero dopo che il veicolo sia già a distanza dal posto di accertamento, l’indicazione a verbale dell’utilizzazione di apparecchi di tali caratteristiche esenta dalla necessità di ulteriori precisazioni circa la contestazione immediata, mentre solo nella diversa ipotesi in cui l’apparecchiatura permetta l’accertamento dell’illecito prima del transito del veicolo la contestazione deve essere immediata, ma sempre che dal fermo del veicolo non derivino situazioni di pericolo e che il servizio sia organizzato in modo da consentirla, nei limiti delle disponibilità di personale dell’amministrazione e senza che sulle modalità di organizzazione sia possibile alcun sindacato giurisdizionale. (Cass. Civ., Sez. I, 7 aprile 2005, n. 7332) [RIV-1005]  


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Giovedì, 25 Maggio 2006
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