L’ordinanza resa
dalla Sezione Riesame del Tribunale di Bologna, che si allega alla presente
nota, appare autorevole presa di posizione, riguardante un’annosa vicenda,
rispetto la quale non paiono, purtroppo, tuttora sopiti rigurgiti di
disapplicazione di principi non solo costituzionali, ma addirittura di diritto
internazionale. 1.
In prima battuta balza all’evidenza il fatto che l’obbligo di traduzione
dell’atto in favore dello straniero, recepito, si ribadisce con estrema
ritrosia dalla giurisprudenza vigente, sino ad oggi si è indirizzato in maniera
del tutto circoscritta, venendo ammesso esclusivamente nei confronti di
provvedimenti definitori di fasi del vero e proprio processo (decreto di
giudizio immediato, richiesta di rinvio a giudizio e decreto fissazione
l’udienza preliminare, decreto che dispone il giudizio, solo per citare gli
atti di maggiore rilievo processuale, etc.). Così, sino alla decisione del
Tribunale della Libertà, ben poche, come d’altronde affermano gli stessi
giudici felsinei, sono state le prese di posizione indirizzate alla tutela
cognitiva dello straniero indagato. Questa
visione – confliggente con quella originariamente imperante – ha preso
inesorabilmente terreno sino alla pronuncia delle Sezioni Unite n. 5052, del 24
Settembre 2003, che molto pertinentemente il Collegio bolognese richiama. 2. Il
secondo aspetto di rilievo attiene al fatto che la presenza dell’interprete
all’interrogatorio reso ex art. 294 c.p.p. al G.I.P. (delegato dal giudice
emittente la misura) non sia affatto significativa di una intervenuta sanatoria
della nullità assoluta così verificatasi. Deriva,
pertanto, il principio che, provata la mancata effettiva esplicazione della previsione
di cui al citato ’art. 94,comma 1 bis, disp. att. c.p.p.., la traduzione
sommaria dell’ordinanza cautelare effettuata dall’interprete, in sede di
interrogatorio di garanzia, in forma riassuntiva, non può tenere luogo della
traduzione, siccome impedisce all’indagato di conoscere in ogni suo aspetto il
provvedimento privativo della libertà e di approntare un’adeguata difesa, nella
fase dell’interrogatorio, che è strumento sia di contestazione dell’accusa, sia
di esplicazione delle ragioni della difesa, non altrimenti manifestabili al
giudice. 3. Il
terzo profilo che suscita particolare interesse e merita indicazione specifica,
riguarda il fatto che l’intera ordinanza sia stata dichiarata nulla e che il
vizio non abbia, invece, attinto solo la parte della stessa in cui si contesta
ex novo tutta una serie di reati. Ad
essa si abbina il contestuale rifiuto giurisprudenziale del ricorso ad
escamotage, od a forme sostitutive quei comportamenti dovuti, che finiscono per
ledere inequivocabilmente la certezza del diritto. (Altalex,
24 maggio 2006. Nota di Carlo Alberto Zaina) _______________________ 1 - V. commento al decreto emesso dal Giudice di Pace di Ascoli, in questa rivista 11 Aprile 2006 e l’articolo Decreto di espulsione dello straniero va tradotto in una lingua nota al medesimo Tribunale Ancona, decreto 30.12.2004, in questa rivista 26 Maggio 2005. Tribunale di Bologna 1.
Il presente procedimento trae origine dalle indagini compiute dai carabinieri
di Riccione in ordine ad una serie di furti in appartamento, talora
accompagnati dal furto di autovetture compiuti nel territorio di Rimini e
Riccione ed in province limitrofe. Sulla
base dell’azione combinata delle intercettazioni telefoniche disposte su taluni
di telefoni cellulare risultati rubati negli appartamenti, di controllo degli
spostamenti di una vettura rubata, nonché di servizio di osservazione e
pedinamento, essi individuavano un gruppo di albanesi, i quali facevano capo ad
una abitazione da essi occupata in Lido Adriano,dove, a seguito di irruzione
dei militari, nella notte del 31.3.2006, veniva rinvenuta refurtiva proveniente
da vari furti. I carabinieri procedevano al fermo di L.V. e L. R., S.G. e G.
V.. Su
richiesta del P.M.di Ravenna in data 3.4.2006, il GIP presso il Tribunale di
Ravenna, convalidava il fermo ed applicava la misura coercitiva carceraria per
tutti gli indagati, dichiarandosi incompetente in ragione del luogo di
commissione della maggior parte dei furti. Disponeva, altresì, la traduzione in
lingua albanese della predetta ordinanza. All’udienza
di convalida del 4.4.2006, davanti al GIP di Ravenna, gli indagati, assistiti
da un’interprete di lingua albanese, si avvalevano della facoltà di non
rispondere. Seguiva
la richiesta del P.M. di Rimini di emissione della misura cautelare ai sensi
dell’art.27 c.p.p., fondata, peraltro, non solo sugli episodi di furto già
posti a base dell’ordinanza del G.I.P. di Ravenna (esclusi due episodi, per i
quali, in assenza di indizi, la Procura rinunciava a chiedere la misura
cautelare), ma sulla nuova contestazione di ulteriori furti aggravati (capi da
10 a 23) e del reato di associazione per delinquere (capo 24). Il
GIP di Rimini,con ordinanza del 22.4.2006, ritenuta la sussistenza dei gravi
indizi di colpevolezza in ordine a tutti i fatti contestati e per tutti gli
indagati, e ravvisando la sussistenza delle esigenze cautelari di cui alle
lettere b) e c) dell’art.274 c.p.p., applicava la misura carceraria agli
stessi. In
sede di interrogatorio delegato, gli odierni indagati, assistiti da un
interprete in lingua albanese, dichiaravano di non avere potuto comprendere i contenuti
dell’ordinanza del GUP di Rimini ed il difensore di entrambi eccepiva la
nullità dell’ordinanza, non essendo stata notificata loro la copia della stessa
tradotta in lingua albanese, non solo in relazione ai capi di imputazione
contestati ex novo, ma anche in relazione ai capi di imputazione da 1 a 9, già
oggetto dell’ordinanza del GIP di Ravenna, ma non indicati nella rubrica di
tale ordinanza. 2.
Avverso l’ordinanza del GIP di Rimini, proponevano richiesta di riesame i
difensori di L.V. e L.R., con motivi genericamente indicati. All’udienza
questi ultimi eccepivano la nullità dell’ordinanza applicativa per omessa
traduzione in lingua albanese ed il difensore del primo avanzava altre censure
di ordine processuale. Censuravano, inoltre, l’impugnata ordinanza sotto il
profilo della mancanza di gravi indizi di colpevolezza e dell’insussistenza
delle ravvisate esigenze cautelari, domandando l’annullamento dell’ordinanza e
l’applicazione di misure gradate. 3.
All’esito dell’udienza in camera di consiglio, nell’ambito della quale i due
procedimenti venivano riuniti, l’eccezione di nullità dell’ordinanza deve
ritenersi fondata. La
Corte costituzionale (sentenza 19.1.1993 n. 10 e n. 64 del 14.2.1994), con
sentenze interpretative di rigetto, sulla scorta dei principi emergenti dalle
convenzioni internazionali, ha rilevato che l’art. 143 c.p.p. impone che si
proceda alla nomina dell’interprete o del traduttore immediatamente alla
constatazione della mancata conoscenza della lingua italiana da parte della
persona nei cui confronti si procede. Nell’enunciare il principio secondo cui
l’imputato straniero ha diritto di essere immediatamente e dettagliatamente
reso edotto, nella lingua di sua comprensione, dei motivi e della natura degli
addebiti a lui mossi, la Corte ha esteso l’assistenza dell’interprete anche
agli atti scritti che contengano la formulazione dell’accusa nei confronti
dell’imputato e prevedano l’attribuzione a quest’ultimo di diritti o facoltà
processuali (in particolare decreto di giudizio immediato e decreto di rinvio a
giudizio). All’estensione
di tale principio anche alla fase delle indagini preliminari, con particolare
riguardo alla posizione dell’indagato rispetto all’emissione dell’ordinanza
applicativa di misura coercitiva, la giurisprudenza si era mostrata restia,
ritenendo che la necessità di garantire la consapevole partecipazione al
procedimento non fosse prospettabile in relazione all’ordinanza cautelare, la
quale non contiene dati informativi o avvertimenti in ordine all’esistenza ed
alle modalità di esercizio di diritti e facoltà dell’indagato (Cass., sez.IV,
n. 2128, 4 giugno 1999, Metushi) ed osservando, altresì, che la tutela
dell’indagato che ignori la lingua italiana era assicurata dall’obbligo del
direttore dell’istituto penitenziario di accertare, con l’eventuale ausilio di
in interprete, che l’interessato abbia precisa conoscenza del provvedimento che
dispone la custodia (Cass., sez. II, 27 marzo 1999, Zarijoski). Tuttavia,
non erano mancate pronunce di segno contrario, le quali avevano ritenuto il
diritto all’immediata traduzione dell’ordinanza di custodia cautelare (Cass.
Sez. III, n. 1527, 8 settembre 1999, Braka), sino a ritenere che anche
l’ordinanza custodiale, al pari del decreto di citazione a giudizio, è un atto
di fronte al quale l’indagato straniero che non comprenda la lingua italiana
può essere pregiudicato nel suo diritto di partecipare al processo libero nella
persona, in quanto non è posto in grado di valutare quali siano gli indizi
ritenuti a suo carico, né se sussistano i presupposti per procedere
all’impugnazione dell’ordinanza per nullità, a norma dell’art. 292, comma 2,
c.p.p. (Cass. Sez. I, n. 4841, 23 settembre 1999, Zicha). Sul
punto è intervenuta la pronuncia delle Sezioni Unite (sent. n. 5052,
24.9.2003). La
Corte ha, anzitutto, osservato che la disposizione dell’art. 143 c.p.p. non può
non trovare applicazione in tutte le ipotesi in cui l’imputato sarebbe
pregiudicato nel suo diritto di partecipare allo svolgimento del processo e che
l’ordinanza che dispone la custodia in carcere, per il contenuto che la
contraddistingue la contestazione di un reato con l’indicazione dei gravi
indizi di colpevolezza, ma anche la sussistenza di imprescindibili esigenze
cautelari – e per gli effetti che ne conseguono – la privazione della libertà –
rientra a pieno titolo tra quegli atti rispetto ai quali deve essere assicurata
la pienezza del diritto di difesa. Dunque,
in primo luogo, la S.C. ha riconosciuto all’indagato che non conosca la lingua
italiana il diritto di essere messo in condizione di conoscere il contenuto del
provvedimento ed i presupposti su cui si fonda, al fine di esplicare pienamente
il proprio diritto di difesa. Tuttavia,
la Corte, osservando che l’obbligo di traduzione dell’ordinanza non sorge
automaticamente per il solo fatto che si tratti di indagato straniero, ha
modulato l’esplicazione del diritto di consapevole partecipazione al
procedimento a seconda dei concreti accadimenti processuali e del momento in
cui il giudice abbia concretamente accertato la non conoscenza della lingua
italiana da parte dell’indagato. Così,
l’obbligo di traduzione dell’ordinanza applicativa sussiste, fin dal momento
della sua emissione, soltanto qualora risulti da tale momento – con
accertamento che si risolve in un’indagine di fatto – la non conoscenza da
parte dell’indagato della lingua italiana. Diversamente,
nel caso in cui dagli atti non risulti detto presupposto ed il giudice accerti
dopo l’esecuzione del provvedimento e nel momento in cui procede
all’interrogatorio di garanzia che l’indagato non conosce la lingua italiana, “deve
nominare l’interprete conferendogli l’incarico di illustrare all’indagato il
contenuto dell’atto, oltre che l’incarico di spiegare all’indagato il
significato degli ulteriori atti a cui partecipa”, salvo che l’indagato non
ne fosse stato reso altrimenti edotto mediante l’intervento del direttore
dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94, comma 1 bis, disp.att.
c.p.p.. Nel
caso predetto, la nomina, in sede di interrogatorio, di un interprete che
illustri all’indagato i contenuti del provvedimento coercitivo costituisce una
valida alternativa alla traduzione dell’atto, al fine di rendere edotto
l’indagato. Infine,
in caso di provvedimento coercitivo emesso in esito ad udienza di convalida
dell’arresto, dopo l’interrogatorio e dopo l’ordinanza di convalida, non può
reputarsi sufficiente l’assistenza dell’interprete all’udienza, posto che
l’indagato, nel momento in cui gli viene comunicato il titolo applicativo, deve
essere messo in condizione di comprendere tutti i motivi per cui si precede
alla limitazione della sua libertà personale, ivi comprese le esigenze
cautelari poste a base del provvedimento. Riportando
i suddetti principi al caso di specie, dall’esame degli atti è assolutamente
evidente che L.V. e L.R. non conoscono la lingua italiana, per essere tale
circostanza stata in precedenza constatata dal GIP di Ravenna, il quale aveva
disposto la traduzione dell’ordinanza in lingua albanese, debitamente
notificata agli interessati. Davanti allo stesso giudice, in sede di convalida,
essi avevano fruito dell’assistenza di un’interprete di lingua albanese, avendo
dichiarato di non conoscere la lingua italiana. Di
più, il G.I.P. Di Rimini, nell’irrogare la misura, affermava in motivazione
(cfr. pag. 11): “Va disposta la traduzione della presente ordinanza in lingua
albanese in quanto in sede di interrogatorio di garanzia espletato davanti al
GIP di Ravenna, gli indagati hanno dichiarato di non comprendere la lingua
italiana”. Tale statuizione non era riportata in dispositivo e agli indagati è
stata notificata l’ordinanza soltanto in lingua italiana. Infine,
in sede di interrogatorio di garanzia del 26.4.2006, delegato davanti al GIP di
Ravenna, entrambi i ricorrenti dichiaravano di non avere compreso quanto loro
contestato dal GIP di Rimini. Pertanto,
essendo stato compiutamente accertato già al momento dell’emissione
dell’ordinanza che gli indagati non avevano conoscenza della lingua italiana,la
stessa doveva essere tradotti in lingua conosciuta agli indagati. Ne consegue
che “l’omessa traduzione del provvedimento custodiale nel momento in cui è
emesso, ove ne ricorra il presupposto, o la mancata nomina dell’interprete per
la traduzione in sede di interrogatorio di garanzia, quando non si sia già
provveduto ai sensi della norma dell’art. 94, comma 1 bis, disp.att. È causa di
nullità dell’atto, rispettivamente, dell’ordinanza di custodia cautelare o
dell’interrogatorio, nullità che..deve annoverarsi in difetto di una specifica
previsione della norma dell’art. 143 c.p.p. tra le nullità contemplate
dall’art. 178, lettera c) e 180 c.p.p.”. Non
può condividersi il provvedimento del GIP di Rimini del 28.4.2006, secondo il
quale non doveva ritenersi necessaria la traduzione, essendo il diritto
all’effettiva conoscenza del contenuto degli addebiti soddisfatto dalla
presenza di un interprete in sede di interrogatorio. A
parte la contraddittorietà con i contenuti dell’ordinanza applicativa, tale
circostanza è stata ritenuta valida alternativa alla traduzione unicamente
quando il presupposto della “non conoscenza” della lingua italiana sia emersa,
successivamente all’ordinanza, in sede di interrogatorio di garanzia mentre “...ove
risulti dagli atti, nel momento in cui è emesso il provvedimento custodiale,
che l’indagato non conosce la lingua italiana, il giudice deve disporre
immediatamente che l’ordinanza sia eseguita con la consegna di copia anche
della traduzione della stessa nella lingua conosciuta dello straniero”
(sent.cit.). D’altra
parte, anche diversamente opinando, e nonostante nel verbale di interrogatorio
del 26.4.2006 risulti la menzione che il GIP ha contestato, avvalendosi
dell’assistenza dell’interprete, i fatti contestati e reso noti gli elementi di
prova (senza, in tal caso, poi effettivamente indicarli), non potrebbero in
alcun modo ritenersi che in tale sede ai ricorrenti sia stato compiutamente
illustrato dall’interprete il contenuto dell’ordinanza. Basti osservare che dal
verbale del 26.4.2006 emerge che, quanto a L.V., l’incombente processuale si è
svolto dalle ore 10,00 alle opre 10,06, e quanto a L.R., dalle ore 10,35 alle
ore 10,45. In
tale esiguo contesto temporale, deve escludersi che l’interprete possa avere
reso edotti gli indagati degli addebiti a loro carico, consistenti in 24
distinti capi di imputazione, degli indizi di colpevolezza e, infine, delle
esigenze cautelari poste a base del provvedimento. Né
nella specie ha avuto concreta esplicazione quanto previsto dall’art. 94,comma
1 bis, disp. Att. c.p.p.. A
nulla, infine, rileva che l’ordinanza di custodia cautelare fosse stata
proceduta da ordinanza emessa da giudice incompetente ai sensi dell’art. 27
c.p.p. - quest’ultima debitamente tradotta e notificata agli interessati in
lingua albanese - posto che il provvedimento del GIP di Rimini non si limitava
ad una mera rinnovazione della misura, ponendo a base della stessa la
contestazione di nuove ipotesi delittuose (si tratta dei capi da 10 a 24). L’invalidità
attinge l’ordinanza nella sua integralità. Se,
infatti, non vi è dubbio che gli indagati non abbiano avuto contezza degli
addebiti per la prima volta mossi nei loro confronti in quella sede, la nullità
travolge l’ordinanza anche in relazione ai capi da 1 a 9, nonostante essi
fossero stati oggetto di valutazione nella precedente ordinanza del GIP di
Ravenna. La
ragione di ciò deve ravvisarsi nella constatazione che gli indagati, non
conoscendo la lingua italiana, non potevano nemmeno ritenersi consapevoli del
fatto che l’ordinanza del GIP di Rimini, emessa ai sensi dell’art. 27 c.p.p.,
si sovrapponesse in parte all’ordinanza del GIP dichiaratosi incompetente. Se
pure la motivazione dell’ordinanza del GIP riminese richiama tra virgolette il
contenuto dell’ordinanza precedente, ciò non ha in alcun modo influito sulla
comprensione da parte degli indagati, i quali non potevano nemmeno intendere
quale fosse in concreto il contenuto della parte motiva virgolettata, né, di
conseguenza, rendersi conto che si trattava di episodi già a loro in precedenza
contestati. Va,
pertanto, dichiarata la nullità dell’impugnata ordinanza e per l’effetto va
disposta l’immediata liberazione dei ricorrenti, se non detenuti per altra
causa. |
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