L’accusa, un battito di
ciglia Genova. Olimpia non aveva nemmeno
la possibilità di dire quant’era stanca, mentre la stavano sottoponendo a un
interrogatorio come a Genova non se n’erano visti mai. E però è stata
abbastanza forte, concentrata, da rispondere usando il codice che aveva concordato
insieme ai poliziotti: un battito delle palpebre per dire sì, due battiti per
il no, tre per il forse o non ricordo e altri piccoli accorgimenti per tradurre
l’unico linguaggio che riesce a parlare, da quando si è risvegliata dal coma in
cui l’aveva scaraventata suo figlio al termine d’una lite violentissima, tre
settimane fa, nel quartiere Rivarolo. Olimpia Ventura ha 67 anni e dopo
quarantacinque minuti estenuanti in un letto dell’ospedale Galliera, con due
agenti, un medico e un infermiere accanto, ha accusato Andrea Fusi, 37 anni, il
figlio indagato da giorni per lesioni gravi. «Avevate litigato quella sera?» e
lei ha chiuso gli occhi una volta. «Perché hai battuto la testa? È stato un
incidente?» e ha replicato con due battiti. «Ma allora ti ha picchiato?».
Olimpia ha abbassato la palpebra, gli inquirenti per essere sicuri gli hanno
rifatto la domanda e lei ha ripetuto lo stesso gesto. E non è stata
un’iniziativa estemporanea, quella che hanno scelto gli uomini del
commissariato Sestri, ma l’unico modo per stringere il cerchio di un’indagine
che si stava rivelando difficilissima. Perché Andrea Fusi nega, continua a
ripetere che c’era stato sì un battibecco, sabato 13 maggio, «ma la mamma era
agitata, io l’ho tenuta e non so bene come abbia potuto perdere l’equilibrio». Gli investigatori hanno chiesto
aiuto agli specialisti del reparto rianimazione, hanno capito che la donna è
paralizzata e muta, ma capisce quello che gli accade intorno, può ancora
ascoltare e vorrebbe raccontare, chiarire. Sul verbale consegnato al pubblico
ministero titolare dell’inchiesta, è scritto con chiarezza che l’unica via per
poter ottenere la sua verità era rappresentata da quel codice, quel botta e
risposta un po’ surreale e massacrante su cui si erano accordati in precedenza.
E poi Genova non è Cambridge, dove Stephen Hawking, cosmologo di fama
internazionale, ha creato una macchina capace di tradurre in scrittura i
movimenti impercettibili del suo occhio, ripercorrendo così i maltrattamenti
subiti dalla moglie. È probabile che l’indagine subirà
una svolta, nei prossimi giorni; Olimpia non ha sgombrato il campo solo dai
dubbi sulla dinamica dell’infortunio, rimarcando che si era trattato di
un’aggressione e non di un incidente, ma ha aggiunto a modo suo dettagli sul movente
e sul retroscena. «C’era anche tuo marito, in cucina? Andrea ti ha chiesto dei
soldi? Era forse ubriaco?». Ha replicato puntuale, precisa, negando la
presenza di un altro nella stanza del pestaggio, facendo capire chiaramente
che il vino e il denaro c’entrano parecchio, «Era già accaduto altre
volte?», è stata una delle ultime domande, poste per suffragare qualche
testimonianza inquietante raccolta fra amici, vicini, altri familiari. Lei ci
ha messo di più, stavolta, ma aveva compreso benissimo. Ha atteso che glielo
chiedessero ancora, e ancora, ha chiuso gli occhi una volta soltanto e tutti
hanno intuito che poteva bastare, che era meglio chiuderla lì. «Non sappiamo - ammettono al
distretto di polizia - in quale considerazione verrà tenuto, nel corso di un
eventuale processo, un verbale del genere. Ma noi siamo certi d’aver fatto la
cosa giusta, abbiamo chiesto il supporto dei medici perché non fosse
un’esperienza devastante su una donna già debole. E adesso c’è un resoconto
attendibile, importante». Andrea Fusi non può avvicinarsi alla casa dei
genitori, dal pomeriggio dell’interrogatorio. Gli è stato fatale l’orgoglio
d’una donna muta,che non sente più le mani, le braccia, le gambe, ma può aprire
e chiudere gli occhi. Matteo Indice COMUNICATO
STAMPA Pollina, Merlo e
Bonaffini al Festival Musicale Analcolico di Castel d’Ario La manifestazione è organizzata
da A.P.C.A.T. (Associazione Provinciale Club degli Alcolisti in Trattamento) di
Mantova, dall’Associazione Europea Familiari e Vittime della Strada-onlus,
dalla Provincia di Mantova (Assessorato ai Servizi Sociali – Politiche
Giovanili) e dal Comune di Castel d’Ario; con la collaborazione dell’associazione
“Aiutiamoli a vivere”. Dalle 18.30, ad ingresso
libero, la festa si animerà grazie alla musica del Coro Baha’i di Mantova,
delle “Prime impressioni”, dei “Fuoritempo” e dei Choolers. Alle 21 poi sarà la
volta di Luca Bonaffini, Vittorio Merlo e Roberto Manuzzi, e Pippo Pollina con
il “Palermo Acoustic Quartet”. Oltre alla musica si potranno
“degustare” piatti tipici del posto come il risotto alla Casteldariese e i
tortelli di zucca. Il tutto accompagnato, rigorosamente, da bibite analcoliche.
In caso di maltempo il Festival
si terrà nel palazzetto dello sport di Castel d’Ario. Per informazioni sulla
manifestazione, si può scrivere a Alessandro Sbarbada - e-mail a.sbarbada1@tin.it - oppure
telefonare a Marisa Moschini, tel. 347/9058103. http://www.csvm.it/downloads/volantino%202006%20definitivo.doc L’alcol fa bene al cuore ? Bere bevande alcoliche ogni
giorno, secondo alcuni ricercatori, porterebbe a una riduzione del rischio di
infarto e malattie cardiache, il beneficiò sembra però valido solo per gli
uomini. Non è la prima volta che si sente parlare di presunti benefici
dell’alcol sul cuore, questa volta la notizia arriva da un articolo pubblicato
sul British Medical Journal che riporta i dati di uno studio danese effettuato
su un campione di oltre 50.000 persone con un’età compresa fra i 50 e i 65
anni. Tutti i volontari sono stati sottoposti a un questionario speciale e seguiti
per una media di sei anni. Stando ai dati ricavati dagli
studiosi, gli uomini che quotidianamente bevono quantità moderate di alcolici
ridurrebbero fino a picchi del 41 per cento i rischi di cardiovasculopatie.
L’incidenza dei disturbi diminuisce invece solo del 7 per cento in quelle
persone che bevono solo una volta a settimana. Dall’analisi non si sono invece
riscontrate particolari differenze legate alla quotidianità dell’abitudine del
bere quantità moderate di alcolici da parte delle donne. L’analisi ha
dimostrato che le donne che bevono un drink a settimana hanno circa un terzo
delle probabilità di avere dei problemi cardiaci, tale dato però, a differenza
degli uomini, non varia se l’abitudine del drink è quotidiana. Secondo i ricercatori, la differenza
della reazione dei due sessi al consumo di alcolici potrebbe essere legata agli
ormoni, non sottovalutano però anche il tipo di alcolici consumati e il modo in
cui l’organismo metabolizza l’alcol. Morten Gronbaek, ricercatore del National
Institute of Public Health danese, spiega che con questo studio è stato
mostrato che la frequenza del bere ha un ruolo maggiore rispetto alla quantità,
ma anche che c’è una differenza fra i sessi. Gli studiosi tengono comunque a
puntualizzare che questo studio non va preso come un invito implicito a
eccedere con gli alcolici, inoltre evidenziano che bere uno o due drink per lui
e uno al giorno per lei sarebbero sufficienti contro le cardiopatie in quanto
non si otterrebbero ulteriori benefici se si beve di più. Notizie come queste potrebbero
essere mal interpretate dai lettori, per questo motivo bisogna stare molto
attenti alle informazioni che si danno. Una persona che non ha mai bevuto in
vita sua, o lo ha fa in maniera sporadica, di certo avrà molti più benefici per
la salute di chi beve quotidianamente. Nel dicembre del 2005 uno studio
pubblicato sul Lancet evidenziava come anche un consumo leggero o moderato di
alcolici non fa bene alla salute. La ricerca coordinata da Ron Jackson, dell’University of Auckland (Nuova Zelanda), evidenziò che la maggior parte degli studi che esaltavano ipotetici benefici dell’alcol non erano randomizzati e quindi ogni associazione positiva fra alcol e i rischio cardiovascolare poteva tranquillamente essere dovuta a fattori di cui non si è tenuto conto. I benefici che si potrebbero ottenere dal consumo di alcol sarebbero sempre troppo lievi o moderati per poter essere ritenuti giustificabili rispetto ai danni che si hanno dal bere alcolici. WINENEWS.IT "I TRUCIOLI NEL VINO FANNO
MALE": LO DICE IL NUTRIZIONISTA GIORGIO CALABRESE I trucioli nel vino fanno male. Lo
dice il nutrizionista Giorgio Calabrese che spiega “sono rimasto sbalordito
dall’assenso che è stato dato dall’Oiv, una specie di Onu del vino. “I chips sono dannosi alla salute,
infatti con questa pratica si favorisce la cessione di idrocarburi e di alcuni
metalli pesanti e, fra gli aromi, anche di sostanze come l’acido vanillico e
l’acido siringico. Test su cavia hanno dimostrato danni al fegato
e ai reni”.(*) IL GAZZETTINO (NORDEST) Non sarebbe casuale la morte di un
motociclista Verona Li avrebbe investiti solo per
quelle parole al bar: «Guarda quello com’è ubriaco». È una brutta storia quella
accaduta sabato notte sulle sponde del Lago di Garda, dove una bella serata
tra amici è finita in tragedia per colpa di una testa calda alterata dall’alcol.
Prima una lite in un bar, poi l’inseguimento in auto contro quella moto su cui
vaggiavano due ragazzi come lui. E infine, l’incidente che ha provocato la
morte di un giovane di 37 anni, Alessandro Patrone, di Brenzone, conosciuto da
tutti sul Garda perché era l’artista che ha dipinto con affreschi l’oleificio
di Brenzone. Tutto inizia verso le due di notte al bar "La Pinta", un
pub in centro a Brenzone. C’è un uomo che da fastidio, che ha alzato un po’
troppo il gomito e alcuni ragazzi della compagnia di Alessandro lo apostrofano
ridendo: «Guarda com’è ubriaco quello». Forse vola qualche parola grossa. Ma
sembra che tutto finisca lì. Alle 2.30 il locale chiude e Alessandro prende la
sua moto assieme a un amico, Giuseppe Perbellini, 38 anni, di Verona, per
tornare verso casa. All’improvviso, dopo neanche un chilometro di strada, la
moto viene affiancata da un’Alfa 155 rossa. Alla guida c’è Luigi Liguori, 38
anni, muratore di origini napoletane. È lo stesso uomo con cui gli amici di
Alessandro avevano litigato poco prima al bar. Quell’uomo al volante sembra
pazzo: un testimone assiste alla scena da un balcone e racconta che l’Alfa
rossa ha stretto la moto fino ad andarci sopra, e poi ha continuato la sua
corsa, trascinando la Suzuki 650 per venti metri, e sbattendola contro un
muretto. Il testimone chiama i soccorsi, ma per Alessandro non c’è nulla da
fare. Il giovane muore mentre l’ambulanza corre verso l’ospedale di Malcesine.
Il caso è ora nelle mani della Procura della Repubblica di Verona. Per ora
Liguori, che guidava ubriaco, è indagato "solo" per omicidio colposo.
Ma la sua posizione potrebbe cambiare. Massimo Rossignati L’ARENA - La
testimonianza. Parla l’amico di Patrone che viaggiava in moto con lui «Quello ci voleva ammazzare» Giuseppe Perbellini
rivive l’investimento: «Sento ancora quel motore impazzito» di Alessandra Vaccari «Ale, dai alzati. Che culo abbiamo
avuto, non ci siamo fatti niente. Ale, rispondimi, guardami Ale, non ci siamo
fatti niente». Ma Alessandro era a terra con gli occhi sbarrati, il rantolo in
gola. Ale era già volato via, la sua vita sganciata dal mondo terrestre.
Giuseppe l’ha tenuto abbracciato fino a quando è arrivata l’ambulanza, e quando
entrambi sono arrivati in ospedale gli hanno detto che l’amico era morto. Giuseppe Perbellini è l’amico di
Alessandro Patrone. Era il sella dietro di lui la notte tra sabato e domenica.
Giuseppe è stato fortunato. È pieno di lividi e ammaccato. Ma vivo. «Ale e io eravamo stati a fare una
braciolata a casa di amici. Tornando ci siamo fermati al bar a salutare altri
ragazzi. Il bar aveva già chiuso. Fuori c’erano una quindicina di persone tra
cui quello che poi ci è venuto addosso. Io non ci ho fatto caso, vedevo che
rompeva le scatole di qua e di là, e mi ero detto che era anche fortunato che
nessuno gli dava bado. Tutti gli dicevano di andare a casa. Uno che conosco gli
ha anche detto che non gli dava la soddisfazione di litigare con lui. Poi ho
visto che il tipo si allontanava, ma sempre senza prestargli tanto interesse.
Poi Ale, io e un altro abbiamo preso la moto per tornare a casa perchè stava
diventando tardi». Ma Liguori non era andato a casa.
S’era appostato in una piazzola ad aspettare che passasse qualcuno. Transita la
prima moto, quella con la persona da sola: «Liguori gli è saltato addosso, gli
ha strappato la mascherina del casco e il nostro amico a quel punto è sceso
dalla moto e gli ha dato un paio di sberle», ricorda Giuseppe, «quando siamo
arrivati Ale e io li abbiamo separati. Abbiamo invitato entrambi ad andare a
casa e poi sembrava tutto finito, siamo ripartiti. Per noi era tutto finito,
non aveva senso che fosse diverso». I motociclisti si mettono in sella
e vanno verso la statale, diretti a Malcesine. «Mi sono voltato indietro e ho
visto che l’Alfa stava andando in direzione opposta, invece poi ci è venuta
dietro», continua il ricordo di Giuseppe, «ha fatto un’inversione e ci ha
puntato. Ho detto ad Ale che quello ce l’aveva con noi, gli ho detto di
accelerare che ci veniva addosso. Sento ancora nelle orecchie il rumore
dell’auto, il motore fuori giri. Credo che fosse a tavoletta. Vedo i fanali che
si avvicinano sempre più e sento la botta. Io sono rotolato non so per quanti
metri. La moto è rimasta agganciata all’auto e poi scaraventata via». Soffre Giuseppe a ricordare, gli
si incrina la voce e gli manca il fiato. È tutto così incomprensibile, irreale.
«Mi sono alzato, le gambe che
tremavano, mi sembrava di sognare. Alessandro era a terra. L’ho chiamato, gli
ho detto di alzarsi, rantolava. Non mi rispondeva. Ho pensato che forse era
svenuto, non potevo credere che a me non fosse accaduto niente e lui potesse
morire». I soccorsi, l’ambulanza, la corsa
in ospedale. Scatti, immagini di una vita che sembra non essere più la tua.
Volti di persone che si accavallano, domande della polizia: «Ho detto loro
quello che sto dicendo adesso. Perché questa soltanto è la verità. Quell’uomo
ci è venuto addosso con l’unica intenzione di ammazzarci. Voleva ucciderci. È
capitato a noi, ma l’avrebbe fatto con chiunque altro. Ale e io con lui non
avevamo neanche parlato al bar. In strada abbiamo fatto da paceri. La storia
era chiusa lì. Non aveva senso che non lo fosse perchè non era successo niente
di grave. Mi chiedo come possa valere così poco la vita di una persona. L’ha
schiacciata come avrebbe fatto con una formica. Non c’entra niente che fosse
ubriaco. Quello sarebbe stato così anche da sobrio. È un assassino». (*) (*) Nota: può darsi che sia vero. Ma certamente l’alcol, in queste occasioni, “getta benzina sul fuoco”. IL GIORNALE DI VICENZA.IT La disgrazia è avvenuta all’alba
quando è scattato l’allarme per recuperare i due soldati Usa (i. t.) Morire a causa di una
sbornia nel “Giorno del Ricordo”, il Memorial Day, una delle grandi feste
che accomuna il popolo statunitense. Il soldato Michael Leonard di 25 anni,
originario del New Jersey, ha esalato il suo ultimo respiro davanti alla porta
carraia della Ederle, poco prima dell’alba. Un’ambulanza lo stava trasportando
nell’ospedale della base per essere sottoposto alle cure necessarie, quando un
sospetto rigurgito, unito a uno stato di quasi coma etilico, l’avrebbe ucciso.
Il dubbio sulle cause è legato alle scarne notizie che sono pervenute dalla
caserma. Un altro commilitone, Robert
Pearson di 21 anni, invece, nonostante si trovasse nelle stesse condizioni
psicofisiche, è stato salvato ed ora sta decisamente meglio. È stato ascoltato
dai superiori e nel pomeriggio ha fornito una ricostruzione del dramma. Dovrebbe essere un’inchiesta del
sostituto procuratore Alessandro Severi, visto che la morte è avvenuta
all’esterno della base, ad accertare i motivi dell’assurdo decesso. Questa
mattina i carabinieri della Setaf del tenente colonnello Fortunato Spolaore
potrebbero trasmettere un primo rapporto alla magistratura. Anche in questa circostanza l’uso
del condizionale dipende dal fatto che se dovesse essere pacifico che Leonard
ha fatto tutto da solo, nel senso che non ci sono sospetti di coinvolgimenti
esterni, sarebbero le autorità americane ad eseguire l’esame autoptico. La
salma del soldato adesso si trova all’obitorio del San Bortolo in attesa delle
decisioni delle autorità. Quanto alla ricostruzione della
tragedia essa sarà più chiara non appena Pearson sarà in grado di spiegare per
filo e per segno la notte di bisboccia che si è conclusa in maniera drammatica.
Visto la giornata festiva i parà
della Ederle potevano rientrare più tardi e, pertanto, Leonard e l’amico se la
sono presa comoda, accompagnando le ore piccole da un locale all’altro, fino a
quando non ce l’hanno fatta più a forza di ingurgitare alcool, e si sono
accasciati in stradella della Racchetta in centro storico, tra le contrà della
Fascina e Mure Pallamaio. Avevano bevuto davvero tanto,
anche se sarebbe stato Pearson a riuscire a dare l’allarme alla Ederle, prima
che qualcuno riuscisse ad allertare il 118. Ecco spiegato perché prima
dell’ambulanza del Suem è giunto un monovolume della Ederle con i soccorsi per
i due ubriachi. Le condizioni del ragazzo sono
apparse subito serie, ma non pareva così drammatiche com’è poi risultato,
perchè altrimenti sarebbe stato accompagnato direttamente al San Bortolo,
invece che trasferirlo in caserma. Del resto, questi recuperi notturni di
paracadutisti che alzano il gomito sono molto frequenti. L’irreparabile è accaduto vicino alla base, quando la fatale miscela composta dall’alcol e da un sospetto rigurgito hanno stroncato il pur atletico ragazzo americano. Aveva bevuto davvero troppo, arrivando al limite, senza rendersi conto che lo stava oltrepassando. I sanitari hanno provato a ventilarlo, ma non c’è stato verso. A ucciderlo sarebbe stata la baldoria fatale. IL GAZZETTINO (VICENZA) OMICIDIO
COLPOSO? Soldato americano si ubriaca e
muore (m.a.) Sarà l’autopsia, disposta per oggi, a chiarire le cause della morte di un giovane militare americano della Caserma Ederle, deceduto per soffocamento causato, da quanto emerso finora, da un fatale rigurgito. E intanto la procura apre un’inchiesta per omicidio colposo. La vittima si chiama Michael Jared Leonard, 24 anni, celibe, originario del New Jersey. L’altra sera aveva partecipato con altri tre commilitoni a un barbecue fra amici. Poi, insieme al collega Robert Pearson, 21 anni, aveva deciso di fare un giro in centro città passando di bar in bar fino a rimediare una pesante sbornia. L’allarme scatta alle cinque di ieri mattina, quando un passante - o forse un connazionale - telefona alla Setaf avvertendo che ci sono due militari Usa stesi per terra in stradella Racchetta. Dalla base di viale della Pace esce immediatamente una monovolume con un funzionario dell’esercito per controllare la veridicità della segnalazione: una volta sul posto, la situazione sembra chiara, i soldati sono ubriachi fradici e vengono caricati sull’auto. Ma una volta giunti all’ingresso di via Aldo Moro ci si accorge che qualcosa non va: Michael rantola e poi rimane immobile, tutti i tentativi di farlo rinvenire falliscono, anche quelli di uno specialista rianimatore, suo compagno di corso, chiamato d’urgenza. Nulla da fare: ai medici del Suem, allertati subito dopo, non resta che constatare il decesso del giovane e ricoverare Robert in ospedale in gravi condizioni ma non in pericolo di vita. Sulla vicenda stanno indagando i carabinieri della Setaf al comando del tenente colonnello Fortunato Spolaore. Il fascicolo aperto dal magistrato di turno per il reato di omicidio colposo tende ad accertare eventuali responsabilità per una tragedia tanto assurda. Fra le ipotesi al vaglio degli inquirenti, quella che qualcuno, nella fattispecie uno o più baristi, possa avere servito alcolici ai due soldati nonostante il loro evidente stato di ebbrezza. IL MATTINO (SALERNO) Fuori pericolo il ragazzo
ricoverato dopo una sbornia Eboli. Fuori pericolo il bimbo di 10 anni. Giunto in ospedale in choc etilico, il ragazzino è ricoverato nel reparto di Pediatria. Le cure procedono con risultati incoraggianti, i medici si dicono ottimisti. A frenare l’entusiamo dei sanitari c’è l’età del piccolo. Gli organi interni più deboli potrebbero risentire della sbornia pomeridiana. Per questo motivo il bimbo sta seguendo un’alimentazione rigida. Beve acqua naturale, gli è stata vietata ogni altro tipo di bevanda gassosa. Ieri mattina il piccolo è stato visitato dal primario e dai sanitari del reparto. Sotto osservazione da due giorni, potrebbe essere dimesso nelle prossime ore. La sbornia è quasi superata, il pomeriggio trascorso con il Tavernello sembra solo un cattivo ricordo. Alle ore di ansia e paura (l’incubo di sabato pomeriggio) seguono ora momenti meno tesi. I familiari abbozzano sorrisi sinceri e distensivi. Superati i momenti più drammatici, sono anche riusciti a parlare con il figlio ricoverato in corsia. Gli hanno spiegato la gravità del gesto effettuato. I rischi a cui si è esposto per una stupida gara con i suoi amici. Episodio davvero inusuale per i medici del Maria Santissima Addolorata. Ricoveri in pediatria per choc etilico non ce ne sono mai stati. Nel caso del bimbo però, tutto è riconducibile a una banale sbornia frutto di un pomeriggio di spacconate. Nelle ultime ore si è discusso molto della dinamica dei fatti. I parenti del bimbo sotto choc si sono lamentati per il mancato controllo dei ragazzini. Chiusi in camera a giocare, nessuno si è preoccupato di controllarli. I padroni di casa sono intervenuti solo quando il bimbo si è collassato, grazie alle grida d’allarme lanciate dagli altri ragazzini. fr.fa.
Bloccato e denunciato un 51enne in
preda ai fumi dell’alcol MESAGNE Con la mente offuscata dai fumi dell’alcool, minaccia con un lungo coltello la moglie e di vicini di casa accorsi in suo aiuto. Intervengono sul posto i vigili urbani e poi gli agenti del commissariato che lo immobilizzano e lo fanno ricoverare in ospedale. È accaduto l’altra sera, a Mesagne, a corte Purgatorio. Autore della bravata un mesagnese di 51 anni. La moglie, presa dal panico, questa volta non ce l’ha fatta a sopportare e lo ha personalmente denunciato presso il Commissariato di polizia di Mesagne. Ora il marito violento, quando sarà dimesso dall’ospedale, dovrà rispondere di minaccia aggravata. Nel frattempo si trova presso l’ente ospedaliero di Campi Salentina, dove lo ha portato l’ambulanza del 118. Prima è stato cercato un posto all’ospedale «Melli» di San Pietro Vernotico. Poi, per mancanza di posti letto, è stato trasferito fuori distretto sanitario, nel nosocomio della cittadina leccese. L’individuo, l’altra sera, si era armato di un paio di forbici con lame d’acciaio di ben 25 centimetri. Arma in pugno aveva inseguito la moglie tentando più volte di colpirla. Per fortuna la donna è stata più sveglia e, dopo un inseguimento in casa, vistasi a mal partito, è uscita per strada ed ha chiesto aiuto ai vicini. Questi conoscono la grave situazione della famiglia ed hanno tentato di dissuadere e calmare l’esagitato. Per tutta risposta l’uomo non solo non si sarebbe lasciato convincere ma avrebbe anche tentato di aggredire le persone che si erano avvicinate. A quel punto un vicino di casa ha telefonato al Comando della Polizia municipale che ha interessato il commissariato. L’intervento della pattuglia dei vigili urbani è stato quanto mai veloce e provvidenziale, scongiurando che ci fossero più gravi conseguenze. I vigili hanno immobilizzato l’uomo e gli hanno sottratto il coltello. Quindi hanno chiesto l’intervento del 118 perché? l’uomo aveva bisogno di immediate cure. Infatti il medico di servizio del 118, una volta giunto sul posto, ha ritenuto opportuno il ricovero, visto lo stato confusionale in cui l’uomo si trovava. Ora, dopo la degenza in ospedale, dovrà rispondere alla giustizia perché la moglie non intende continuare a rischiare la vita: denunciandolo, di fatto, ha deciso di dire basta a tanti anni di sofferenze e disagi. ALICE NEWS GERMANIA/
BERLINO, 16ENNE AGGRESSORE STAZIONE "CHIEDE SCUSA” Tramite
il suo legale: "Si dice pentito del suo gesto” Berlino, 30 mag.(Apcom) - A
quattro giorni dal folle raptus omicida al gala per l’inaugurazione della
stazione ferroviaria a Berlino, il 16enne autore dell’aggressione, nella quale
sono rimaste ferite una trentina di persone, una delle quale portatrice di hiv,
"si è detto pentito" del suo gesto - come dichiara il legale ai
microfoni della tv regionale berlinese Rbb - chiedendo scusa e ammettendo
indirettamente la sua colpevolezza. "In nome del mio cliente
porgo le scuse a tutte le vittime e ai loro parenti. Il mio cliente si dice
molto dispiaciuto del gesto a lui attribuito e chiede perdono", è quanto
dichiarato dal suo legale, come scrive il quotidiano "Die Welt" nella
sua edizione on-line. Il numero delle vittime coinvolte
nella folle aggressione, avvenuta venerdì sera, è salito oggi a 41, secondo il
giudice che segue le indagini. La magistratura ha riferito che 33 persone hanno
riportato ferite da taglio o da punta. Le prime analisi del sangue sul 16enne che venerdì ha accoltellato i presenti nella mischia, rivelano un "tasso alcolico considerevolmente alto, ma non estremamente alto". Una delle prime vittime ha dichiarato di essere sieropositiva. IL GAZZETTINO (PADOVA) LA CURIOSITÀ Il problema padovano finisce sul
Times. La vicenda degli spritz padovani
insieme con le notizie del terribile terremoto che ha sconvolto l’isola di
Giava in Indonesia. Due eventi così distanti per origine e conseguenze che sono
stati uniti e raccontati ieri nella stessa pagina del Times alla sezione
"World News". Tanto hanno fatto parlare di se nelle ultime settimane
gli spritz e il popolo delle piazze che la penna attenta del corrispondente italiano
da Roma del Times non si è lasciato sfuggire la ghiotta occasione per rendere
noto al mondo quanto di stile inglese ci sia anche nelle abitudini dei
padovani. «Il rumore notturno della gente che beve e delle bottiglie di vetro
rotte è un problema talmente inglese che è quasi uno stereotipo. Adesso però
l’antica città di Padova soffre della stessa malattia. Tutto colpa dello
spritzer, l’aperitivo locale a base di vino bianco - riporta Richard Owen, con
qualche problema di spelling, forse per la poca familiarità con il tipo di
aperitivo in questione - Nel disperato tentativo di allontanare dal centro
storico le orde di ubriachi, l’amministrazione ha vietato la vendita di
alcolici dalle 20 di mercoledì alla domenica mattina. Baristi e avventori sono
già in rivolta». Certo sarebbe curioso capire quali siano state le fonti di
informazione usate da Sir Owen, ma indipendentemente dalla natura delle stesse
rileggendo l’articolo originale si denota un certo spirito di riscatto
personale per essere stati considerati gli inglesi un popolo di bevitori spesso
e volentieri indisciplinati e maleducati. Retoriche a parte, l’articolo del
Times pone l’accento sul contrasto fra Padova meta turistica grazie ai
capolavori di Giotto e del Mantegna e la Padova universitaria, vissuta e
abitata da una considerevole popolazione studentesca. Come causa del problema
di abuso di alcool, il Times individua la frequente abitudine da parte dei
baristi di "rinforzare" la ricetta originale con l’aggiunta di
Campari o Aperol, ragion per cui il tasso alcolico può raggiungere anche i
venticinque gradi. Partendo dalla processione funebre sulla morte degli spritz,
l’articolo riassume i recenti episodi che hanno portato alla situazione
attuale, riportando le dichiarazioni delle parti chiamate in causa, dai
rappresentanti istituzionali ai residenti ai baristi stessi. «La petizione indetta dai baristi
"Volete vivere in una città viva o rimanervene a casa?" è stata
sottoscritta da duemila persone - riporta Owen nel suo pezzo, rifacendosi alla
richiesta di referendum promossa dagli esercenti - Al contrario quella indetta
dall’associazione dei residenti è stata siglata solo da poche centinaia di
persone». Le conclusioni sommarie a cui cerca di portare il lettore l’articolo
del Times non possono convincere i ben informati di come non sia possibile
risolvere il problema con un semplice intervento delle forze dell’ordine, che -
sempre stando al contenuto del pezzo - dovrebbero procedere all’arresto
immediato di chiunque violi il coprifuoco deciso dalla giunta. Giusto per
sdrammatizzare, i fatti padovani si concludono con il lieto finale tipico di
ogni buona commedia raccontata all’inglese: subito dopo le dichiarazioni
dell’assessore Pieruz vengono citati aneddoti e benefici del fresco aperitivo,
risalente all’epoca vittoriana (l’orgoglio nazionale prevale sempre). Ideale
per l’estate, si consiglia vivamente di servire ghiacciato, magari utilizzando
limonata al posto dell’acqua minerale. E il sidro al posto del vino. Matteo Mignolli IL GAZZETTINO (PADOVA) Zilio chiede che tutti mettano le
carte in tavola Li aveva messi nero su bianco non
più tardi di una ventina di giorni fa. Concetti semplici, volti a
definire la "questione spritz" in un contesto che non fosse né quello
del muro contro muro, né quello delle soluzioni "a gettone", cioè
delle soluzioni buone una sera sì e l’altra no, con associazioni di categoria
dapprima d’accordo sulle soluzioni restrittive e poi in disaccordo. Adesso Fernando Zilio quei
concetti li riprende, ampliandone la portata. «Quello che è evidente - mette in
chiaro il presidente dell’Ascom - è che il problema dello spritz richiede
decisioni politiche e prese di responsabilità precise. Nessuno, in questo senso,
è autorizzato a chiamarsi fuori: non il Comune che deve far rispettare la
legge, non il commercio che deve fare proposte possibili, non i gestori dei bar
che devono uniformarsi alle regole, non l’Università e la scuola più in
generale (ma anche le famiglie) che stanno alla finestra mentre i giovani,
moltissimi dei quali minorenni, non trovano di meglio che affogare nell’alcol». Zilio rivolge uno sguardo al
passato e cerca soluzioni future. «Non vi è dubbio -continua il
presidente dell’Ascom- che i "cattivi maestri" abbiano lasciato il
segno. Nessuno vuole le piazze ed il centro deserti e meno che mai i
commercianti. Ma non possiamo nemmeno permettere che per avere le piazze
animate si ammetta tutto e il contrario di tutto, si ammanti di "cultura"
ciò che invece è degrado, si lasci incancrenire una situazione dove vale ormai
solo il "tutti contro tutti"». «Sarò anche un ingenuo - continua
Zilio - ma ritengo che non ci siano proposte di mediazione che tengano con chi
occupa la piazza per delinquere, lordare, spacciare. Questa gente va
contrastata con tutti i mezzi perché così dicono le regole e le regole vanno
sempre rispettate». Circa il futuro, Zilio non si
nasconde le difficoltà. «Tornare indietro, dopo che si è
lasciato che una tradizione positiva diventasse un problema, non è facile. Ciò
nonostante dobbiamo provarci. E dobbiamo provarci fin da subito ripristinando
il primato della legalità. Non è pensabile che a settembre il problema si
ripresenti nelle forme e con le tensioni attuali così come non è pensabile che
il Comune non adotti provvedimenti tesi anche a mantenere gli equilibri
commerciali del centro cittadino. Consentire infatti che aprano bar su bar dove
prima c’erano negozi di vicinato costretti a passare la mano per affitti
esorbitanti, significa snaturare il contesto stesso del centro storico». Da qui la proposta di Zilio. «Serve subito un incontro nel quale tutti (istituzioni, associazioni, residenti, comitati) mettano le carte in tavola. Senza reticenze o retro-pensieri e, una volta individuate le decisioni, ci sia la coerente applicazioni delle stesse. Non è pensabile continuare con il palleggiamento delle responsabilità e con l’inseguimento del consenso. Chi ha più coraggio è tempo che lo metta in campo!». IL GAZZETTINO (VICENZA) Omette il soccorso, 8 mesi e
patente sospesa Arrestato con l’accusa di omissione di soccorso tre anni fa, ha patteggiato una pena di 8 mesi di reclusione e di mille euro di multa oltre alla sospensione della patente per un mese. Si tratta di El Habib Boulmane, marocchino di 29 anni, residente a San Bonifacio. Era il 14 dicembre 2003 quando a Ponte di Barbarano tamponò violentemente l’Opel Tigra condotta da Marzia Baretta, 27 anni di Albettone rimasta lievemente ferita (otto giorni di prognosi). L’uomo alla guida di una Bmw fu fermato poco dopo la fuga e risultò sotto l’effetto dell’alcol. IL MESSAGGERO (UMBRIA) Un video-verità fatto sul
campo Nel corso del progetto i ragazzi
hanno voluto realizzare, con l’ausilio dell’associazione Atpc, un video dal
nome ”INdipendenze” che racchiudesse la loro esperienza e, tramite due spot, il
loro messaggio finale. L’alcolismo è associato alle manette, il sapere e la
verità ad una bevanda dal nome emmblematico: plaisir. In forma anonima i
giovani si sono raccontati, hanno parlato del loro rapporto con l’alcol, delle
loro paure. Gli studenti hanno visitato, con don Lucio Gatti, direttore
diocesano Caritas, la comunità di San Fatucchio e hanno voluto dedicare il
video a tre ragazzi della comunità, Filippo, Riccardo ed Elia, che hanno
raccontato apertamente e serenamente le loro esperienze e il loro iter per
uscire dalle dipendenze. G. Palm. IL MESSAGGERO (UMBRIA) Insieme per l’arte, concerto e
gala per la Genealogia degli Alfani di GIULIANA PALMIOTTA Giovani sotto i riflettori, questa
volta sono proprio loro a pretenderlo. Quando la scuola integra la sua funzione
educatrice con quella formatrice, attraverso esperienze di vita, allora il
risultato non è mai scontato. I ragazzi delle quinte A e B indirizzo Biologico
dell’Itas Giordano Bruno hanno presentato ieri il progetto ”INdipendenze”,
diario di un percorso progettuale durato due anni legato al tema delle
dipendenze patologiche, che ha visto coinvolti i ragazzi, i docenti ed esperti
in materia. «Gli studenti - ha spiegato il dirigente dell’istituto Alberto
Stella - durante il camposcuola a Preci hanno scelto l’argomento. E’ stato un
momento di riflessione che ha portato, col tempo, non ad una ricerca asettica e
semplicemente scientifica, ma ad un lavoro personale, di maturazione
interiore». La scelta dell’argomento in
apparenza si discosta dagli esempi degli anni passati. «In genere si parlava di
aree del filone ambientale - ha precisato la tutor del progetto Serena Arcelli
- ma in definitiva la tematica scelta riguarda a tutti gli effetti il rapporto
falsato uomo-ambiente». Gli studenti coinvolti si sono trovati ad operare su un
terreno delicato, anche dal punto di vista tecnico, poiché hanno dovuto seguire
le tappe della metodologiaa della ricerca e si sono dovuti districare
all’interno di ambiti complessi, cercando anche di sintetizzare e scegliere gli
spunti più significativi delle varie aree. «Abbiamo visto come ideali
destinatari del progetto e del materiale ad esso correlato - ha precisato
Francesco Pelli, studente dell’Itas - i giovanissimi, soprattutto del biennio,
che spesso possono essere confusi dai problemi della loro età». «E’ sabato, che bello ora posso bere», è una frase che una studentessa ripeteva ogni fine settimana. «Ma ora mi fa paura sentire chi ripete quel ritornello che era mio», testimonianza raccolta sul campo e proiettata come monito sullo schermo mentre gli esperti si alternavano al microfono. Il lavoro dell’istituto porterà il suo messaggio anche all’esterno, soprattutto considerando gli ultimi preoccupanti dati dell’abbassamento dell’età in cui ci si avvicina al consumo di alcolici. «Il lavoro è scientificamente valido - ha sottolineato a tal proposito Ezio Cesarini, dirigente della scuola media Pascoli, in un intervento su scuola e prevenzione - Troppo spesso si parla di belle teorie difficili da mettere in pratica. Noi operiamo proprio in un momento delicato, quello della formazione della personalità. Bisogna agire in continuità per formare l’uomo ed il cittadino di domani». Sono state affrontate questioni psicologiche legate alle dipendenze e all’uso di alcolici e il taglio non è stato mai banale. «La preoccupazione iniziale - commenta Patrizia Di Bartolo del Goat - era di non fare il solito discorso. I servizi che lavorano con i giovani si interrogano spesso sul da farsi, perchè oggi i confini sono sempre più sfumati. Bisogna costruirsi una sana autostima». «Parlare di disagio giovanile forse è riduttivo - spiega Stefano Goretti del Ser.T - i giovani sanno essere più capaci e competenti di quanto ci aspettiamo. Sono le ansie da prestazione sociale che portano alle dipendenze», come conferma Andrea, studente Itas, «oggi i ragazzi non hanno personalità, si affidano a sostanze stupefacenti». «Una chiave di lettura per la prevenzione - hanno spiegato Serena Covarelli, del progetto Discoteca D’ok, e Michele Bellucci, dell’associazione Atpc - è l’educazione alla pari: giovani che educano altri giovani». Alla fine del percorso i ragazzi si sono ritrovati profondamente cambiati, «Abbiamo osservato, siamo stati osservati e ci siamo osservati - conferma Alessia Regnicoli, la studentessa dell’Itas che ha chiuso l’incontro -. Abbiamo dato una serie di possibili risposte al problema, ne abbiamo preso coscienza, perché, come si dice, prevenire è meglio che curare». LA PROVINCIA DI CREMONA Schianto per una nutria Arriva
un’auto e investe tutti Da brividi l’incidente avvenuto alle 23.20 di domenica sera sulla Giuseppina, alle porte della città, vicino al distributore Api. La Jeep con a bordo tre ragazze di Casteldidone si è ribaltata dopo che la giovane alla guida ha perso il controllo causa una nutria in mezzo alla strada. Una delle ragazze, mentre le altre erano imprigionate nell’abitacolo, ha fermato e chiesto soccorso a quattro ragazzi, scesi da due auto. Poi un altro schianto: l’Audi con a bordo quattro indiani (quello alla guida è risultato ubriaco) piomba a tutta velocità, schiva la Jeep e finisce contro le vetture dei soccorritori. Bilancio: 7 feriti, uno apparso in un primo momento grave. Ieri il quadro è parso più rassicurante. In ospedale restano due ragazze e due indiani. Mercoledì, 31 Maggio 2006
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