Velocità
fra educazione e informazione/disinformazione
L’errore più ingenuo che si può commettere quando
si va a parlare ai ragazzi nelle scuole è quello di additare
la velocità solo come elemento di rischio quindi da guardare
con sospetto e da indicare come fattore di sola negatività. La
realtà è diversa ed è percepita come tale dai ragazzi,
specie i maschi, da subito, appena salgono su una ruota che gira.
La velocità è bella, altro che storie! La velocità
attrae, fa sentire in qualche caso (più) forti, e (più)
liberi. Come si spiegherebbero altrimenti le gare con i cammelli risalenti
a secoli avanti Cristo, le gare fra bighe dei romani fissate nel nostro
immaginario da Ben Hur, la celebrazione della velocità dei cavalli
fatta da Giacomo Leopardi - personaggio non facilmente incasellabile
nella categoria degli amanti del rischio dell’emozione data dalla
macchina, per non parlare di Marinetti e del Futurismo.
La velocità è nella natura dell’uomo il quale cerca,
a piedi, a cavallo, sulla macchina, di superarsi e superare gli altri.
In realtà la stessa natura ci trae in inganno: subdola, ci fa
diffidare già a pochi mesi di vita della velocità verticale,
mentre ci permette rischiose confidenze con quella orizzontale. Tutti
noi avremmo paura a lanciarci dal terzo piano di un palazzo, se non
per la volontà di ucciderci (e se non ci riusciamo ci arrabbiamo
da pazzi). Eppure quella velocità di caduta corrisponde ad uno
schianto a 50 Km/h contro un ostacolo fisso con la nostra macchina o
la nostra moto. In questo caso quando ci facciamo molto male, rimaniamo
stupiti e osserviamo che c’è mancato poco che ci ammazzassimo.
Eppure si tratta di due velocità a impatto fisico identico.
Quella orizzontale ci inganna, perché i nostri avi ci hanno comunicato
coi loro geni che era positiva, serviva infatti migliaia di anni fa
a catturare le prede per cibarsi, o a fuggire dai predatori…ma
sempre utile e positiva rimaneva a differenza di quella verticale.
La società più moderna ha trasferito questo rapporto confidenziale
con la velocità orizzontale alla macchina.
Passeggiando nei giorni scorsi nei pressi di un raduno di motociclisti
mi sono fermato a guardare i contachilometri di decine di moto in sosta.
Fra quei bolidi affiancati quello che aveva il contatore della velocità
più morigerato arrivava ai 260 Km/h, molte toccavano e superavano
i 300. E li fanno! Forse per questo in un fine settimana primaverile
si contano anche 15-18 morti solo fra motociclisti.
La comunicazione e il sistema economia impongono modelli basati sulla
velocità con pubblicità che, anche in modo subliminale,
la celebrano.
E’ veramente molto difficile parlare di velocità ai ragazzi
dopo che hanno partecipato a varie kermesse di moto e auto sportive,
dopo che per ore hanno parlato fra loro di Barrichello e di Valentino.
Nessuno spiega loro che quelle stesse moto che fanno i 300, quelle macchine
che vanno come schegge, quotidianamente viaggiano su strade senza vie
di fuga con sabbia, ma con alberi ai bordi e con concorrenti spesso
meno performanti.
Certo il sistema di protezione del veicolo fra air-bag, cinture, abs
ecc. ha aumentato di molto le condizioni di sicurezza, ma noi abbiamo
del pari aumentato le velocità. Se non fosse così sulle
strade ormai dovremmo essere a cifre vicine allo zero nel numero delle
vittime.
Ecco allora che la fase educativa/formativa dei ragazzi è delicata,
ha necessità di un linguaggio che non criminalizzi ciò
che (è innegabile) attrae, ma avverta dei rischi, delle conseguenze,
delle responsabilità.
Qualcuno potrà dire: ma perché allora si continuano a
costruire moto e macchine che raggiungono velocità assurde? Ma
è la legge dell’economia amici! La stessa che fa aprire
feroci dibattiti sull’informazione dei rischi dell’alcol,
per il quale si può richiamare l’attenzione sul pericolo
connesso alla guida, ma senza esagerare, perché l’alcol,
questo è il messaggio, in dosi giuste fa anche bene… Ma
nessuno dice che non esiste una dose giusta per chi deve poi guidare.
L’alcol si deve vendere, anche in piena notte, anche a un ragazzetto
ventenne, patentato da poco e con una 150 cavalli sotto il sedere. E’
l’economia!La velocità e le leggi della fisica.
E’ quindi molto difficile spiegare ai ragazzi (ma non solo a loro)
il fattore di rischio riconducibile alla velocità.
In una interessante lezione potremmo scomodare a scuola proprio le basi
elementari delle leggi della fisica, con un significativo ma semplice
esempio.
Ci aiuta una recente intervista rilasciata a "Il Centauro"
da Franco Taggi, Direttore Ambiente e Traumi dell’Istituto Superiore
di Sanità.
Ci dice il dr.Taggi:
Sere fa, seguendo una puntata della nota serie televisiva "Star
Trek", mi ha colpito una frase che il capitano dell’Enterprise
diceva ad un suo ufficiale a proposito di un problema dell’ astronave:
"L’ottimismo non altera le leggi della Fisica". Parole
sante. Per quanto si possano avere opinioni diverse, certamente sulla
fisica possiamo essere tutti sufficientemente d’accordo. Quindi,
semplificando le cose ai fini di una maggiore comprensibilità,
partiamo dalla fisica.
Quando un corpo si muove uniformemente, questo possiede un’energia
in proporzione al quadrato della sua velocità. Questa "energia
di movimento" (energia cinetica) è anche proporzionale alla
massa che si muove, e risulta:
dove m
è la massa del mobile e v la sua velocità.
Dunque, alla stessa velocità, un camion carico ha più
energia cinetica di un’automobile col solo conducente. E questo,
peraltro, coincide con quello che il buon senso suggerisce.
Prescindendo dalla massa del veicolo, supposta costante, se a 20 km/h
ho 400 punti di energia (20 x 20 = 400), a velocità doppia, 40
km/h, ne ho 1600 (40 x 40 = 1600): in altre parole, raddoppiando la
velocità, l’energia di movimento quadruplica.
Se dobbiamo improvvisamente arrestare il nostro veicolo, ad esempio
per evitare uno scontro, dobbiamo scaricare tutta questa energia, cosa
che avviene per attrito, frenando. Eliminare tutta l’energia cinetica
è vitale: per esempio, se siamo a 100 km/h e scarichiamo il 99%
della nostra energia, quel poco che ne resta (1%) comporta un impatto
non già a 1 km/h come sembrerebbe a prima vista, bensì
a 10 km/h!
Se non scarichiamo tutta l’energia cinetica, all’atto dello
scontro quella residua si ripercuote sulle strutture del veicolo, deformandole,
e su chi sta nel veicolo stesso, provocandogli lesioni, oltre a quelle
che già possono essersi verificate per la rapida decelerazione.
In termini neuropsicologici il problema di fondo è che noi percepiamo
i cambiamenti di velocità (accelerazioni e decelerazioni), ma
non l’entità di energia cinetica che accumuliamo (N.B.:
si osservi che in queste considerazioni stiamo trattando, per semplicità,
le cose dal punto di vista di un solo veicolo: si tenga sempre presente
però che – in caso di scontro - l’energia complessiva
in gioco non è solo quella del veicolo su cui uno viaggia, ma
anche quella dell’altro veicolo contro cui avviene l’impatto).
Ma torniamo alla velocità. A 130 km/h ho 16.900 punti di energia
(130 x 130= 16.900), a 150 km/h ne ho 22.500 (150 x 150 = 22.500), con
un incremento di energia cinetica del 33.1% rispetto a quella che avevo
a 130 km/h. Consideriamo poi che a 130 km/h stiamo viaggiando a 36.4
metri al secondo, a 150 km/h a 42.0 metri al secondo. Per avere un’idea
concreta di queste velocità, si pensi che un centometrista di
valore (10 secondi netti) corre a poco più di 35 km/h e che un
campione immaginario che riuscisse a percorrere i 100 metri in 9 secondi
netti non raggiungerebbe ancora i 40 km/h (correrebbe a 39.7 km/h).
D’altra parte, in caso di situazione critica, prima dobbiamo percepire
i segnali "fisici" di tale situazione, poi riconoscerla come
pericolosa, poi ancora decidere cosa fare ed infine farlo: e questo
richiede del tempo al nostro cervello. Supponiamo che tale tempo sia
circa un secondo, questo vuol dire che se siamo a 100 km/h cominciamo
a frenare dopo aver percorso 28 metri dalle prime avvisaglie di pericolo;
ma se abbiamo bevuto, o siamo intorpiditi dalla sonnolenza, o se siamo
distratti (magari dal cellulare), o altro ancora, e ci mettiamo 2 secondi,
allora la frenata comincia nei fatti dopo aver percorso 56 metri!
E’ evidente che all’aumentare della velocità si accorcia
il tempo a disposizione per prendere provvedimenti e cresce lo spazio
netto di frenata (quello percorso da quando si comincia a frenare sino
all’arresto del veicolo), che – è bene ricordarlo –
va anch’esso col quadrato della velocità (in condizioni
medie, a 50 km/h, dopo aver frenato, per fermarsi ci vogliono circa
25 metri, a 100 km/h circa 100 metri). Lo spazio di frenata complessivo
è quindi la somma di quello percettivo-decisionale e di quello
legato all’azione frenante stessa. E’ bene inoltre aver chiaro
che i tempi medi che comunemente si considerano per la durata della
fase percettivo-decisionale (in genere tra 0.7 secondi – 1.5 secondi)
provengono da studi di laboratorio, e sono a mio parere molto ottimistici
in quanto in queste prove il soggetto si aspetta un segnale e sa cosa
deve fare in risposta: non c’è molto da riconoscere né
da decidere (il soggetto lo sa già). Inoltre, il soggetto sa
di essere osservato e, in genere, la sua "performance" è
migliore di quella che avrebbe in realtà su strada. Questo è
comunque un limite che riguarda tutte le prove su simulatore. Lo spazio
netto di frenata è poi molto aleatorio perché dipende
in concreto, oltre che dalla velocità, dalla massa, dal sistema
frenante, dallo stato dei pneumatici, dalla natura del fondo stradale,
dalle condizioni atmosferiche, e da altre variabili ancora.
In conclusione, maggiore è la velocità più impegnativi
– a parità di condizioni - appaiono i problemi di sicurezza.
Detto questo, però, bisogna obiettivamente considerare che lo
stesso ragionamento fatto per i 130 e i 150 si può fare a ritroso,
come ad esempio per i 130 km/h verso i 110 km/h: in questo caso abbiamo
a 110 km/h 12.100 punti di energia e a 130 km/h 16.900, con un incremento
dell’energia pari al 39.7%. E così scendendo, sino ad arrivare
a velocità zero dove, tuttavia, se uno ha la sfortuna di perdere
l’equilibrio o di inciampare malamente, può sempre procurarsi
un brutto trauma cranico o qualche grave frattura e, al limite, anche
morire.
Il vero problema, dunque, appare il seguente: dove porre al meglio il
limite di velocità massima? E’ una domanda che non ha una
risposta univoca: se è vero che quando il limite va verso il
basso si può rallentare la circolazione; e se va troppo in alto
si possono acuire i problemi della sicurezza, è anche vero che
il tutto deve essere rapportato allo specifico contesto stradale (non
a caso abbiamo limiti differenziati per zona urbana e zona extraurbana).
Il sistema del controllo dei limiti.
A proposito di limiti va detto qui e subito che se ci sono è
perché vanno fatti rispettare, tuttavia è indiscutibile
che negli ultimi anni si siano attivate troppo spesso forme di controllo
generico, tese più a ripianare le casse delle amministrazioni
oltraggiate dai tagli che si susseguono nelle varie finanziarie, per
cui si arriva a situazioni assurde con appalti di strumenti e controlli
dettati più dalle esigenze di un assessore che da reali rischi
per la sicurezza. Sinceramente non mi sta bene che si proceda a forme
di controllo generalizzate con misuratori di velocità che rischiano
di delegittimare la norma e la sua applicazione, realizzando antipatiche
e trasversali forme di solidarietà fra il violatore sistematico
e pericoloso e l’occasionale conducente distratto a danno sempre
dell’operatore in divisa. Stanno proliferando associazioni antiautovelox,
le stesse associazioni dei consumatori dimenticando spesso colpevolmente
il loro ruolo sul versante della sicurezza, si sono nettamente schierate
a protezione dell’automobilista vessato. Questo è un dato
che dovrebbe far riflettere. Siamo in piccolo al “dagli alla polizia”
da curva sud allo stadio. Non ci siamo!
Mi spiego. Siamo del parere che anche sulla strada si debba attivare
quella sorta di principio che vale nella medicina. Una appropriata cura
va applicata là dove c’è la malattia. Nel caso della
strada va quindi verificata, a mio parere, l’esistenza di un tratto
specie se fuori dell’area strettamente urbana, oggettivamente pericoloso
con una sinistrosità pregressa documentata. In sostanza non mi
basta che ci sia un limite dei 50. Serve anche accertare che in quella
strada si verifichino numerosi sinistri. Se negli ultimi 3 anni si sono
contati 4 incidenti con danni per 2.000 euro è evidente che esiste
un limite, ma non esiste un pericolo oggettivo che è il vero
scopo di un severo sistema di controllo. Individuata la strada con un
fattore di rischio pronunciato si dovrà sì applicare un
sistema severo di controllo (la cura), ma poi si dovranno andare a verificare
nel tempo i risultati, cioè il calo degli incidenti (scomparsa
o diminuzione della malattia) altrimenti è evidente che la cura
va cambiata.
La stessa adozione della patente a punti si sta rivelando un sistema
sicuramente efficace e le percentuali in calo della sinistrosità
nella prima fase di applicazione lo stanno dimostrare. Tuttavia la recente
sentenza n. 27 del 2005, con l’eliminazione della possibilità
di togliere punti al proprietario del veicolo, se da una parte può
aver ripianato la debolezza costituzionale della norma, dall’altra
ha creato un vulnus che ora è tutto da verificare come capacità
di mantenere forza dissuasiva. Si dovrà adottare un sistema di
controlli della velocità con fermo immediato del veicolo o identificazione
dei conducenti con accertamenti frontali. Certo qualcuno ci dovrebbe
spiegare poi anche come si possa prevedere di togliere 2 punti a chi
viaggia fino a 176 in autostrada (fino a 200 col nuovo limite dei 150)
e gli stessi 2 punti a chi non indossa il giubbotto retroriflettente
se si ferma per un’urgenza in una corsia o piazzola d’emergenza.
Serve alla sicurezza diminuire la velocità media?
Detto questo però torniamo alla faccia vera della velocità:
il rischio, per rispondere alla scuola di pensiero che tende a sottostimarla.
Una riduzione di 3 km/h della velocità media permetterebbe di
salvare da 5.000 a 6.000 vite ogni anno in Europa, e eviterebbe da 120.000
a 140 000 incidenti, con un’economia di 20 miliardi di euro. Chi
lo dice? L’Asaps?
No, si tratta del risultato di uno studio del Transport Research Laboratory
del Regno Unito. Secondo le osservazioni inglesi, l’installazione
di videocamere di sorveglianza automatiche specie nei tratti e incroci
più pericolosi, ha portato ad una riduzione di 9 km/h della velocità
media, cosa che permetterebbe, se tale diminuzione fosse generalizzata
a livello dell’Unione europea, di eliminare un terzo degli incidenti
e dimezzare il numero di morti sulle strade.
Crediamo che in questo studio sia racchiusa la miglior risposta a quanti
insistono nel dire che la velocità non è poi la prima
e più importante causa della quantità e gravità
degli incidenti. Cominciamo a capire anche perché gli inglesi
in pochi anni sono riusciti a far diminuire la sinistrosità del
50%, mentre in Italia ancora fatichiamo a raggiungere certi livelli.
E’ anche vero, bisogna dirlo, che, come ha spiegato il simpatico
corrispondente da Londra del TG1 Antonio Caprarica, la metà dei
detenuti delle carceri di sua maestà è dentro per violazioni
alle regole della strada. In Italia ci sarebbe da ridere. Se un agente
si vede annullato (ingiustamente) un verbale dal solito GdP, per altro
neppure territorialmente competente, può trovarsi chiamato a
rispondere dei danni causati al vessato automobilista in termini di
stress psicologico, a fronte di un verbalotto da 68 euro, per un importo
di 25.000 euro da corrispondersi entro una settimana…
Lo studio inglese costituisce tuttavia anche una stampella importante
al manifesto contro i 150 nelle autostrade a 3 corsie attivato da Asaps
e Sicurstrada e che ha raccolto molto consenso.
Anche se ci sembra ormai di poter affermare che l’ipotesi 150 -
saremmo stati l’unico paese europeo a sperimentarla - sembra ormai
definitivamente archiviata.
Mi sento di poter dire che, se fra le ragioni sociali che potevano motivare
l’esistenza dell’Asaps ci fosse stata solo quella, potremmo
ormai sciogliere l’associazione per raggiungimento dello scopo.
Ma nello scopo sociale c’è il perseguimento di una più
consistente sicurezza stradale e gli oltre 6.000 morti e 300.000 feriti
che contiamo ogni anno sulle strade ci dicono che c’è ancora
molto da fare. A cominciare proprio dalla velocità.