Il diritto allo studio, anche quale
conduttore deputato a veicolare la realizzazione della persona umana nel mondo
del lavoro, non può essere sottaciuto nel giudizio di bilanciamento,
costituzionalmente orientato, degli interessi in gioco. Il Casus decisus Merita di essere salutata, quindi, con particolare
favore l’ordinanza 11.4.2006 depositata dal Giudice di Pace di Cosenza: nella
fattispecie al ricorrente, uno studente di medicina e chirurgia, era stato
elevato verbale di accertamento dalla Polizia municipale competente per aver
superato il limite di velocità prescritto, ai sensi dell’art. 142 comma
9 Codice della Strada [1] e da tale violazione era conseguita la sanzione
amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida (art. 218
C.d.S.) preceduta dall’immediato ritiro del documento di abilitazione alla
guida, da parte degli accertatori, in anticipazione del provvedimento
prefettizio. La rilevazione era stata effettuata a mezzo di “autovelox” con
successiva contestazione in loco. La difesa dello studente aveva, quindi, adito
l’autorità giudiziaria ai sensi dell’art. 204bis comma I l. cit. (v. 218 comma
5) invocando l’emissione di una ordinanza cautelare, inaudita altera parte,
volta ad inibire l’efficacia della sanzione accessoria sospensiva del titolo di
guida. Il ricorrente, a fondamento delle doglianze,
allegava il pericolo concreto ed attuale che discendeva, dal provvedimento
sospensivo, sul regolare corso di studi in espletamento, in una fase connotata
dall’attività teorica e di tirocinio da svolgersi fuori dalla sede di
residenza. Con riguardo al giudizio prognostico concernente il
merito, si contestava la correttezza del procedimento di taratura
dell’autovelox. Periculum in Mora La parte motiva più interessante dell’ordinanza è
quella concernente il giudizio afferente la sussistenza di un pericolo dalla
esecuzione della misura sospensiva in funzione di un verbale di accertamento
potenzialmente illegittimo (sul piano prognostico). Come noto, ai fini della concessione di una misura
inibitoria del provvedimento prefettizio, il giudicante deve verificare la
sussistenza di ragioni oggettivamente plausibili in virtù delle quali è lecito
attendersi la sopravvenienza di un pregiudizio concreto ed attuale. E’ opportuno rilevare come vengano in gioco
situazioni giuridiche soggettive integranti gli estremi del diritto soggettivo
(e non dell’interesse legittimo), alla stregua dell’autorevole insegnamento
delle Sezioni Unite della Cassazione (27.4.2005), le quali hanno reputato che
sia corretto discorrere di vero e “proprio diritto soggettivo all’uso della
patente di guida” [3] il quale, pertanto, non può essere compresso sine titulo
ovvero in assenza dei motivi che rispondono alla sua ratio: il provvedimento
del Prefetto di sospensione della patente di guida, infatti, trova
giustificazione nella necessità di impedire, nell’immediatezza del fatto, che
il conducente del veicolo, nei cui confronti esistano fondati elementi di responsabilità
in ordine a un comportamento lesivo della incolumità altrui, possa reiterare
una condotta suscettibile di arrecare ulteriore pericolo; esso trova, pertanto,
il suo limite di legittimità nella rispondenza alla funzione cautelare che gli
è propria [4]. La più attenta dottrina ha, peraltro, evidenziato
che il diritto all’uso della patente, oltre che situazione giuridica a sé, è
anche e soprattutto “strumento” per la realizzazione di diritti “altri”, i
quali risultano, non infrequentemente, avvolti dalla spessa coltre del tessuto
costituzionale: si spiega, peraltro, in tal modo, la recente apertura
giurisprudenziale verso una tutela risarcitoria “allargata” comprensiva dei
danni esistenziali da provvedimenti illegittimi della P.A. [5] (secondo l’espressione
di Tocci-Capri: “La P.A. che sbaglia deve risarcire i danni esistenziali”) [6]
e si spiegano anche, le eccezioni di incostituzionalità che hanno gravato la
misura cautelare de qua (art. 218 C.d.S.) in diversi arresti giurisprudenziali
della Consulta [7]. Ne discende che la sospensione del “titolo” (a
monte) può avere ripercussioni a catena “sulla persona” (a valle): da qui la
risposta del legislatore introduttiva di un potere giudiziale in capo
all’autorità competente, finalizzato alla rimozione della misura sospensiva
qualora produttiva di effetti patogeni intollerabili nel giudizio di balancing
rebus sic stantibus. Corre l’obbligo di precisare che il discorso non è
tautologico: è evidente che la sospensione della patente produce naturaliter
conseguenze indesiderate sul conducente “malcapitato” ma, di fatto, sono solo
alcuni (e non altri) effetti ad essere idonei a giustificare l’inibitoria ed in
modo condizionato. Il giudizio volto a selezionare gli effetti
rilevanti in sede di periculum in mora, infatti, costituisce un posterior
poiché il giudice, preliminarmente (in senso logico – giuridico) deve
verificare la sussistenza del fumus boni juris (validi indizi di fondatezza del
ricorso, secondo un giudizio prognostico ex ante). Tanto premesso, così acclarata la situazione che fa
sfondo al giudizio sul periculum, può prendersi in considerazione quanto di
pregevole e condivisibile è rinvenibile nell’ordinanza del Giudice cosentino:
nell’ordinanza la presenza dei presupposti di fatto integranti gli estremi del
cd. periculum in mora (pericolo grave dalla esecuzione della misura) è
intravista nella sicura interferenza della sospensione cautelare sul corso di
studi del ricorrente. Rileva, infatti, il giudicante, che lo stesso,
“residente a Lamezia Terme, frequenta l’Università di Catanzaro, facoltà di
medicina e chirurgia e, conseguentemente, il mancato utilizzo della patente
potrebbe comportare grave pregiudizio al proprio corso di studi”. L’ordinanza in esame, in estrema sintesi, fa
ostensione di un procedimento di sussunzione da reputarsi corretto: l’incidenza
negativa sul diritto allo studio integra gli estremi del periculum in mora, al
di là di dettagliati accertamenti di fatto volti a verificare le circostanze
peculiari del caso concreto (es. servizio di trasporto pubblico alternativo). Sul piano processuale, l’allegazione degli elementi
di fatto indefettibili (corso di studio in espletamento; uso dell’autovettura
per la frequenza delle lezioni) determina una prova quasi-in re ipsa del
periculum poiché non è necessaria una interruzione della “vita da studente” ma
anche una semplice variazione peggiorativa, alla luce della natura
dell’interesse che viene in questione [8]. Lo studio, così come il lavoro e le attività
ricreative e finanche lo sport, rappresenta il quomodo (come attività), ed il
“dove” (come luogo) in cui si esplica la personalità umana e realizzano i
diritti soggettivi insopprimibili della persona in un’ottica squisitamente
personalistica: situazioni giuridiche di tal natura, pertanto, devono essere
tutelate non strictu sensu ma in combinazione a tutti quegli elementi che
orbitano nella loro sfera giuridica. Si è autorevolmente parlato di diritti
“condizionati”, in senso economico (e sociale), e l’espressione non è priva di
un alto contenuto semantico che deve essere valorizzato in una trama di
situazioni che si intrecciano e divengono inestricabili. Si pensi ai riflessi della sospensione della
patente nei casi di un soggetto che presti attività lavorativa come
pony-express e sia l’unica fonte di reddito del nucleo familiare; così ancora
al caso in cui la misura venga a colpire un individuo con gravi problemi
locomotori. Del tutto correttamente, il giudice cosentino ha
valorizzato il peso specifico della misura sospensiva non solo in quanto fatto
(formale e passato) ma, soprattutto, in relazione agli effetti (potenziali e
futuri) graduati in forma scalare secondo la trama causale. Fumus Boni Juris Il giudizio prognostico che ha dato la stura ad una
valutazione sul periculum si è incardinato sulla problematica (non sopita e
recente) avente ad oggetto la taratura dello strumento di rilevazione
automatica della velocità. Nella fattispecie il verbale di accertamento era
stato elevato sulla base delle risultanze acquisite attraverso l’utilizzo di un
“Autovelox” (da: comp. di auto- e il lat. velox ‘veloce’) quel dispositivo in
grado di rilevare la velocità di un’auto e, generalmente, di registrarne
fotograficamente il passaggio. La legge [9] prevede che l’autovelox sia soggetto a
regolare procedimento di taratura cioè quella operazione di graduazione diretta
di apparecchi o strumenti di misura, nel caso, deputata a garantire che la
rilevazione della velocità sia esatta e veritiera. Trattasi, infatti, di una attività sensibile e
suscettibile di essere influenzata in negativo da variabili negative afferenti
il malfunzionamento del sistema: le onde emesse dal dispositivo a una data
frequenza (in blu) vengono riflesse dall’autoveicolo in movimento a una frequenza
diversa (in rosso), la quale dipende della velocità dell’automobile in quel
momento. La velocità dell’autovettura è ricavata dal confronto automatico tra
la frequenza di emissione e quella ricevuta. E’, dunque, scientificamente possibile che la
macchina incorra in un errore più o meno clamoroso in ragione della differenza
tra il valore rilevato e il valore vero della grandezza misurata. Si distingue,
peraltro, tra due specifici tipi di errore: quello accidentale (generalmente
umano) e quello sistematico (di solito latente). Il primo occorre senza regole
fisse, a causa di fattori imprevedibili ed è idoneo ad influenzare la misura
ora per eccesso, ora per difetto. Il secondo tipo di errore può, invece,
dipendere da un malfunzionamento dello strumento di misura, da un errore di
taratura o da un’irregolarità nel procedimento stesso della misura, e ha la
caratteristica di occorrere sempre nello stesso senso (o sempre per eccesso, o
sempre per difetto) [10]. Le doglianze mosse, pertanto, in diverse occasioni,
da utenti della strada incorsi in rilevazioni “borderline”, non sono state
considerate tout court sibilline ed hanno portato a scoprire che le circostanze
in cui si collocano i rilevatori non sono sempre né ottimali né confacenti:
strumenti datati e mai revisionati; rilevazioni effettuate da utenza non edotta
a dovere; vizi patologici del macchinario, ecc.. Dall’evidenza in fatto è dipesa la risposta in
diritto dei giudici più attenti i quali hanno dato adito ad un orientamento
giurisprudenziale dilagante al seguito del quale, ai fini della correttezza
formale del verbale e, dunque, della sua legittimità, doveva risultare provato
che l’autovelox fosse stato sottoposto ad idoneo procedimento di taratura ex L.
n. 273 del 1991. Un onere che poggia su di un dato scientifico non
opinabile: la mancata regolare taratura dell’apparecchio comporta la
possibilità di scostamenti percentuali nelle misurazioni fino ad oltre il
15-20% che, nonostante la percentuale di tolleranza strumentale del 5%, non
permettono di fissare la velocità in modo chiaro ed accertabile [11]. L’ordinanza in questione si colloca, dunque, nel
filone giurisprudenziale richiamato e, pertanto, sulla scia di una scuola di
pensiero dottrinale che esige certezza scientifica (si badi: non giuridica) con
riguardo alla taratura dell’autovelox: se l’ente competente adempie in giudizio
all’onere su di essa incombente (prova dell’avvenuta taratura: assenza di
errore sistematico) si assisterà ad un inversione dell’onere della prova e sarà
il ricorrente a dover allegare e dimostrare l’errore accidentale. La prova della taratura integra gli estremi di uno
degli elementi costitutivi dell’illecito contestato e, pertanto, non può che
essere posto a carico della P.A. L’efficacia probatoria (fino a prova contraria)
[12] dei rilievi effettuati tramite autovelox ai sensi dell’art. 142, comma
6, D.Lgs. n. 285 del 1992, deve , dunque, reputarsi operativa solo allorquando
la P.A. abbia allegato in giudizio la regolare taratura dell’autovelox: in sua
assenza la presunzione probatoria sarà in operativa. Nella giurisprudenza più recente si fa buon governo
delle regulae juris enunciate e “viene considerata nulla la contravvenzione
elevata sulla base di apparecchiatura non sottoposta a taratura secondo le
disposizioni della legge 11 agosto 1991, n. 273” (Giudice di pace Bari, sez.
VI, 01/07/2005, n.3496) [13]. (Altalex, 6 giugno 2006. Nota di Giuseppe Buffone)
UFFICIO DEL GIUDICE DI PACE DI COSENZA ORDINANZA Il Giudice di Pace di Cosenza, avv. Giliola
Langher, letto il ricorso che precede, rilevato che la Polizia Municipale di Cosenza, in
data 4/4/2006, ha elevato verbale di accertamento n.ATX000127, contestando la
violazione dell’art. 142 comma 9 del C.d.S., e, contemporaneamente, ha disposto
il ritiro della patente di guida di B. G.; rilevato che il ricorrente adduce fumus boni
iuris il difetto di taratura dell’autovelox 105/SE; confidato, infine, che il B., residente a Lamezia
Terme, frequenta l’Università di Catanzaro, facoltà di medicina e chirurgia e,
conseguentemente, il mancato utilizzo della patente potrebbe comportare grave
pregiudizio al proprio corso di studi; visti gli artt. di legge; DISPONE la sospensione dell’esecutività del
provvedimento n. 000127, emesso dalla polizia Municipale di Cosenza in data 5
aprile 2006 e, per l’effetto, ordina la restituzione della patente n. CZ……… al
ricorrente B. G.; la prosecuzione del giudizio come da sotto
esteso decreto Si comunichi Cosenza, 11/04/2006 IL GIUDICE DI PACE Avv. Giliola Langher |
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