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Articoli 20/06/2006

Confisca del ciclomotore, decida la Corte


Non confiscate il motorino a chi lo conduce senza casco. Finireste per applicare una regola irragionevole e discriminatoria. Con questo appello, il Giudice di Pace di Napoli – Sezione Seconda Civile – ha denunciato con ordinanza del 23 dicembre 2005 alla Corte Costituzionale, l’illegittimità dell’art. 213, comma 2 sexies del codice della strada, per violazione degli art. 3 e 27 della costituzione. Che il caso sia successo a Napoli è già una notizia rassicurante di per sé, dal momento che, nell’immaginario collettivo lì, sul ciclomotore chi indossa il casco corre anche il rischio di essere scambiato per uno scippatore o qualcosa di simile. Questo non toglie, però, che quando i controlli ci sono le sanzioni fioccano, col rigore che le nuove norme impongono, senza sconti. Certo che qui il parlare di rigore non è un eufemismo: la confisca, tanto per spiegarci anche con chi non dovesse aver chiaro il concetto, equivale a salutare per sempre il proprio ciclomotore, per non rivederlo mai più, se non magari ridotto ad un cubetto di metallo sotto le presse del rottamatore. Del resto, nemmeno per chi ha scritto la norma deve essere stato facile usare tanta intransigenza, così non è per caso che il comma 2 sexies impugnato, sia entrato in vigore dopo un iter piuttosto travagliato in parlamento. Certo, nell’intento del legislatore è più che evidente l’idea che, un inasprimento delle misure possa favorire la funzione generalpreventiva della sanzione amministrativa, a tutto beneficio della lotta contro il fenomeno infortunistico stradale. Infatti, proprio perché intervenuta sotto il segno dell’emergenza incidenti, la modifica al precedente sistema sanzionatorio è stata operata con decreto legge – Dl 115/05 – poi convertito con modificazioni nella legge 168/2005. Il ragionamento è molto lineare: visto che le statistiche sul fenomeno infortunistico stradale, evidenziano dati piuttosto allarmanti sul numero di morti e feriti, ed al tempo stesso indicano un pericoloso coinvolgimento dei ciclomotori, occorre rafforzare, in funzione dissuasiva e preventiva, il deterrente della sanzione. Il punto, però, in termini di diritto, è che ad essere inasprita non è la sanzione principale, bensì quella accessoria. L’art. 213 del codice stradale, su questo, è molto esplicito già nel titolo, che recita: “Misura cautelare del sequestro e sanzione accessoria della confisca amministrativa”. Chiaro e limpido: il sequestro è cautelare, ma la confisca è accessoria. Ora, il sistema del codice stradale – almeno in origine - si armonizzava efficacemente con le disposizioni generali sul procedimento sanzionatorio amministrativo contenute nella legge 24 novembre 1981, n. 689, in materia di depenalizzazione dei reati minori. Il concetto stesso di confisca amministrativa è stato introdotto proprio dall’art. 20 di quella legge. La norma, tuttora in vigore, prevede le due ipotesi della “confisca obbligatoria” e della “confisca facoltativa”. Da notare che sotto la rubrica intitolata alle “Sanzioni amministrative accessorie” l’art. 20 prevede l’obbligatorietà della confisca delle cose che sono il “prodotto della violazione” (camma 2) nonché delle cose il cui “uso, fabbricazione, porto, detenzione o alienazione” costituisce violazione amministrativa (coma 3). Chiaro il concetto? E’ obbligatorio confiscare e togliere dalla circolazione quelle cose che sono intrinsecamente illegittime, perché frutto stesso, o oggetto proprio, della violazione. Ora, è piuttosto evidente che la confisca del ciclomotore a chi lo utilizza in spregio di determinate norme di comportamento stradale (nuova ipotesi prevista dall’art. 213, comma 2 sexies), sembra sfuggire dall’una e dall’altra ipotesi di obbligatorietà sancita dalla legge 681/1981. Girare senza casco è un comportamento sbagliato, ma non mette fuori legge il ciclomotore, né ne rende illegale l’uso da parte di altri. Ecco perché, l’art. 213 comma 2 sexies, non può dirsi – secondo il Giudice di Pace di Napoli - in armonia con la natura accessoria del provvedimento di confisca, perché introduce un caso apocrifo di provvedimento obbligatorio. Poi, osserva il giudice di pace remittente, è irrazionale affidare completamente la funzione di deterrenza, e quindi di prevenzione generale e speciale, ad una norma accessoria: è ovvio che qui la confisca rappresenta una pena che, anche sul piano dell’entità del valore economico coinvolto, è ben più affittiva che non la sanzione principale del pagamento di una somma di denaro. Così, la sanzione accessoria, vanifica la funzione di quella principale che, con una specie di capriola dei valori, diventa sussidiaria. Le stesse Sezioni Unite della Cassazione, intervenute su un caso codificato di confisca obbligatoria (quella del veicolo circolante senza il rilascio della carta di circolazione), aveva circoscritto l’operatività della norma escludendone l’applicazione ai veicoli nuovi (Cass. Civ. Sez. Un. 13 giugno 1989, n. 2849). E la Corte Costituzionale ebbe a dichiarare l’illegittimità dell’art. 134, comma 2, Cds che sanciva la confisca obbligatoria del veicolo solo perché circolante con carta di circolazione scaduta (Corte Cost. Sent. 110/96). C’è di più, la stessa Corte ha auspicato che il legislatore, rimettendo mano alla disciplina della confisca, fissasse alcuni canoni essenziali così da evitare, nell’applicazione della sanzione accessoria, possibili disparità di trattamento (Corte Cost. Sent. 349/97 e 435/97). Per tutto questo, il Giudice di Pace di Napoli, tenendo conto della spiccata afflittività della confisca nel punire l’uso irregolare del ciclomotore (doppio passeggero o inosservanza dell’obbligo del casco), ha sollevato il dubbio di contrasto di questa nuova regola con il principio fondamentale di uguaglianza sostanziale dei cittadini, sancito dall’art. 3 Cost., e con quello della personale responsabilità stabilito dall’art. 27 della carta fondamentale. Per quanto riguarda la disuguaglianza, il giudice ha sottolineato l’incongruità della sanzione pecuniaria: per quanto alta possa essere la contravvenzione la misura sarà modesta rispetto alla gravità della perdita – mediante confisca – del ciclomotore stesso, non tanto per il suo valore economico, ma ancora di più per la limitazione della libertà di circolazione che la perdita del veicolo comporta. C’è poi disparità di trattamento tra chi conduce un motociclo o un ciclomotore, rispetto al conducente di altro tipo di veicolo: l’inosservanza di norme di comportamento comporta la perdita di proprietà del mezzo per chi inforca il ciclomotore, la sola sanzione pecuniaria (con eventuale perdita di punti) per chi guida un’automobile. E se l’obiezione è che trasportare un passeggero sul motorino o viaggiare senza casco è un comportamento tanto pericoloso da giustificare un simile rigore, che dire di chi, alla guida di una autovettura, supera di cinquanta chilometri orari il limite di velocità imposto, oppure inverte pericolosamente la marcia omettendo di dare la precedenza? Un ragionamento più o meno simile si legge, appunto, tra le righe dell’ordinanza del giudice di Napoli che aggiunge ai dubbi già detti a quello sulla legittimità della norma rispetto all’art. 27 Cost. in tema di personalità della responsabilità penale e di converso di quella sanzionatoria amministrativa. A corollario di questo principio costituzionale si pone l’art. 3 della legge 689/1981 secondo cui “nelle violazioni cui è applicabile una sanzione amministrativa ciascuno è responsabile della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa”. Allora, nel caso in cui il conducente del ciclomotore non sia proprietario del veicolo, perché a ricevere la sanzione più afflittiva, nonché definitiva, dev’essere proprio quest’ultimo (l’intestatario) e non chi trasgredisce la norma? E’ un caso di responsabilità oggettiva, d’accordo, ma penalizza con grande severità chi non ha colpa e più leggermente il trasgressore. A parte la questione della responsabilità personale di chi infrange la legge resta un problema di proporzione, per così dire interna, tra sanzione irrogata a chi sbaglia e punizione sofferta dal proprietario di una cosa confiscata per il cattivo uso che altri ne abbiano fatto. La parola passa ora alla Corte Costituzionale che, oltre a verificare la razionalità della norma, la sua rispondenza i principi del sistema sanzionatorio, è chiamata a chiarire che rapporto ontologico tra sanzione principale, che si risolve con il pagamento di una somma e misura accessoria, di natura reale, che si sostanzia nella perdita di un bene mobile, in tutti i sensi: anche nel senso della libertà di circolazione.

* Funzionario Polizia di Stato


© asaps.it

di Ugo Terracciano

da "il Centauro" n.103
Martedì, 20 Giugno 2006
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