Non confiscate il motorino a chi lo
conduce senza casco. Finireste per applicare una regola irragionevole e
discriminatoria. Con questo appello, il Giudice di Pace di Napoli – Sezione
Seconda Civile – ha denunciato con ordinanza del 23 dicembre 2005 alla Corte
Costituzionale, l’illegittimità dell’art. 213, comma 2 sexies del codice della
strada, per violazione degli art. 3 e 27 della costituzione. Che il caso sia
successo a Napoli è già una notizia rassicurante di per sé, dal momento che,
nell’immaginario collettivo lì, sul ciclomotore chi indossa il casco corre
anche il rischio di essere scambiato per uno scippatore o qualcosa di simile.
Questo non toglie, però, che quando i controlli ci sono le sanzioni fioccano,
col rigore che le nuove norme impongono, senza sconti. Certo che qui il parlare
di rigore non è un eufemismo: la confisca, tanto per spiegarci anche con chi
non dovesse aver chiaro il concetto, equivale a salutare per sempre il proprio
ciclomotore, per non rivederlo mai più, se non magari ridotto ad un cubetto di
metallo sotto le presse del rottamatore. Del resto, nemmeno per chi ha scritto
la norma deve essere stato facile usare tanta intransigenza, così non è per
caso che il comma 2 sexies impugnato, sia entrato in vigore dopo un iter
piuttosto travagliato in parlamento. Certo, nell’intento del legislatore è più
che evidente l’idea che, un inasprimento delle misure possa favorire la
funzione generalpreventiva della sanzione amministrativa, a tutto beneficio
della lotta contro il fenomeno infortunistico stradale. Infatti, proprio perché
intervenuta sotto il segno dell’emergenza incidenti, la modifica al precedente
sistema sanzionatorio è stata operata con decreto legge – Dl 115/05 – poi
convertito con modificazioni nella legge 168/2005. Il ragionamento è molto
lineare: visto che le statistiche sul fenomeno infortunistico stradale,
evidenziano dati piuttosto allarmanti sul numero di morti e feriti, ed al tempo
stesso indicano un pericoloso coinvolgimento dei ciclomotori, occorre
rafforzare, in funzione dissuasiva e preventiva, il deterrente della sanzione.
Il punto, però, in termini di diritto, è che ad essere inasprita non è la
sanzione principale, bensì quella accessoria. L’art. 213 del codice stradale,
su questo, è molto esplicito già nel titolo, che recita: “Misura cautelare del
sequestro e sanzione accessoria della confisca amministrativa”. Chiaro e
limpido: il sequestro è cautelare, ma la confisca è accessoria. Ora, il sistema
del codice stradale – almeno in origine - si armonizzava
efficacemente con le disposizioni generali sul procedimento sanzionatorio
amministrativo contenute nella legge 24 novembre 1981, n. 689, in materia di
depenalizzazione dei reati minori. Il concetto stesso di confisca
amministrativa è stato introdotto proprio dall’art. 20 di quella legge. La
norma, tuttora in vigore, prevede le due ipotesi della “confisca obbligatoria”
e della “confisca facoltativa”. Da notare che sotto la rubrica intitolata alle
“Sanzioni amministrative accessorie” l’art. 20 prevede l’obbligatorietà della
confisca delle cose che sono il “prodotto della violazione” (camma 2) nonché
delle cose il cui “uso, fabbricazione, porto, detenzione o alienazione”
costituisce violazione amministrativa (coma 3). Chiaro il concetto? E’
obbligatorio confiscare e togliere dalla circolazione quelle cose che sono
intrinsecamente illegittime, perché frutto stesso, o oggetto proprio, della
violazione. Ora, è piuttosto evidente che la confisca del ciclomotore a chi lo
utilizza in spregio di determinate norme di comportamento stradale (nuova
ipotesi prevista dall’art. 213, comma 2 sexies), sembra sfuggire dall’una e
dall’altra ipotesi di obbligatorietà sancita dalla legge 681/1981. Girare senza
casco è un comportamento sbagliato, ma non mette fuori legge il ciclomotore, né
ne rende illegale l’uso da parte di altri. Ecco perché, l’art. 213 comma 2
sexies, non può dirsi – secondo il Giudice di Pace di Napoli - in armonia con
la natura accessoria del provvedimento di confisca, perché introduce un caso
apocrifo di provvedimento obbligatorio. Poi, osserva il giudice di pace
remittente, è irrazionale affidare completamente la funzione di deterrenza, e
quindi di prevenzione generale e speciale, ad una norma accessoria: è ovvio che
qui la confisca rappresenta una pena che, anche sul piano dell’entità del
valore economico coinvolto, è ben più affittiva che non la sanzione principale
del pagamento di una somma di denaro. Così, la sanzione accessoria, vanifica la
funzione di quella principale che, con una specie di capriola dei valori,
diventa sussidiaria. Le stesse Sezioni Unite della Cassazione, intervenute su
un caso codificato di confisca obbligatoria (quella del veicolo circolante
senza il rilascio della carta di circolazione), aveva circoscritto
l’operatività della norma escludendone l’applicazione ai veicoli nuovi (Cass.
Civ. Sez. Un. 13 giugno 1989, n. 2849). E la Corte Costituzionale ebbe a
dichiarare l’illegittimità dell’art. 134, comma 2, Cds che sanciva la confisca
obbligatoria del veicolo solo perché circolante con carta di
circolazione scaduta (Corte Cost. Sent. 110/96). C’è di più, la stessa Corte ha
auspicato che il legislatore, rimettendo mano alla disciplina della confisca,
fissasse alcuni canoni essenziali così da evitare, nell’applicazione della
sanzione accessoria, possibili disparità di trattamento (Corte Cost. Sent.
349/97 e 435/97). Per tutto questo, il Giudice di Pace di Napoli, tenendo conto
della spiccata afflittività della confisca nel punire l’uso irregolare del
ciclomotore (doppio passeggero o inosservanza dell’obbligo del casco), ha
sollevato il dubbio di contrasto di questa nuova regola con il principio
fondamentale di uguaglianza sostanziale dei cittadini, sancito dall’art. 3
Cost., e con quello della personale responsabilità stabilito dall’art. 27 della
carta fondamentale. Per quanto riguarda la disuguaglianza, il giudice ha
sottolineato l’incongruità della sanzione pecuniaria: per quanto alta possa
essere la contravvenzione la misura sarà modesta rispetto alla gravità della
perdita – mediante confisca – del ciclomotore stesso, non tanto per il suo
valore economico, ma ancora di più per la limitazione della libertà di
circolazione che la perdita del veicolo comporta. C’è poi disparità di
trattamento tra chi conduce un motociclo o un ciclomotore, rispetto al
conducente di altro tipo di veicolo: l’inosservanza di norme di comportamento
comporta la perdita di proprietà del mezzo per chi inforca il ciclomotore, la
sola sanzione pecuniaria (con eventuale perdita di punti) per chi guida
un’automobile. E se l’obiezione è che trasportare un passeggero sul motorino o
viaggiare senza casco è un comportamento tanto pericoloso da giustificare un
simile rigore, che dire di chi, alla guida di una autovettura, supera di cinquanta
chilometri orari il limite di velocità imposto, oppure inverte pericolosamente la marcia omettendo di dare la precedenza? Un
ragionamento più o meno simile si legge, appunto, tra le righe dell’ordinanza
del giudice di Napoli che aggiunge ai dubbi già detti a quello sulla
legittimità della norma rispetto all’art. 27 Cost. in tema di personalità della
responsabilità penale e di converso di quella sanzionatoria amministrativa. A
corollario di questo principio costituzionale si pone l’art. 3 della legge
689/1981 secondo cui “nelle violazioni cui è applicabile una sanzione
amministrativa ciascuno è responsabile della propria azione od omissione,
cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa”. Allora, nel caso in cui il
conducente del ciclomotore non sia proprietario del veicolo, perché a ricevere
la sanzione più afflittiva, nonché definitiva, dev’essere proprio quest’ultimo
(l’intestatario) e non chi trasgredisce la norma? E’ un caso di responsabilità
oggettiva, d’accordo, ma penalizza con grande severità chi non ha colpa e più
leggermente il trasgressore. A parte la questione della responsabilità
personale di chi infrange la legge resta un problema di proporzione, per così
dire interna, tra sanzione irrogata a chi sbaglia e punizione sofferta dal proprietario
di una cosa confiscata per il cattivo uso che altri ne abbiano fatto. La parola
passa ora alla Corte Costituzionale che, oltre a verificare la razionalità
della norma, la sua rispondenza i principi del sistema sanzionatorio, è
chiamata a chiarire che rapporto ontologico tra sanzione principale, che si
risolve con il pagamento di una somma e misura accessoria, di natura reale, che
si sostanzia nella perdita di un bene mobile, in tutti i sensi: anche nel senso
della libertà di circolazione. * Funzionario
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