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Posta 19/06/2006

La storia - Una tranquilla giornata di lavoro conclusasi con una tragedia: la morte di un giovane “centauro” lo stesso giorno in cui ha conseguito la patente


Gentilissima ASAPS,
rinnovando con viva sincerità i miei complimenti e la mia stima per Voi, volevo raccontarvi una storia di cui non so se sono stato protagonista o comparsa...

Era un tranquillo sabato pomeriggio, la pattuglia esce regolarmente alle 13,00. La Verona 640 (è la sigla identificativa dell’auto di servizio) varca in uscita il cancello del distaccamento di Carbonia (CA) e tutto fila liscio come se niente fosse.
Niente incidenti (...), i verbali redatti sono stati fatti col sorriso e accolti quasi altrettanto, il discorso col mio capo-pattuglia, Guido, finisce sullo scandalo intercettazioni del calcio, tanto per cambiare, e si parla delle possibili sanzioni per la Juve, che ancora non è tutto finito, che la giustizia ordinaria e sportiva si spera facciano il loro corso, quando, alle ore 18,20, la sala operativa ci dà notizia di un grave incidente stradale avvenuto nei pressi di una diga un po’ fuori mano...

Dal tono del collega Filippo (l’operatore della sala radio) si capisce subito che è qualcosa di serio e,  infatti, dopo una breve conversazione via radio, Filippo pronuncia queste testuali parole: “tenete presente che me lo hanno segnalato come  Monza 603!!!”.
In quel momento mi torna in mente uno scherzo che mi fece un collega a Cesena, durante il corso al CAPS, quando a fine turno mi fece smarcare sul registro durante l’addestramento pratico in sala operativa, che era successo un Monza 609 e io capii che quello era il modo per dire “nessuna novità”, salvo dopo vedere sorridere il collega e spiegarmi cosa voleva dire "Monza 600, 601, 602 603"...
Ma torniamo a noi: dopo questo pensiero che mi ha attraversato la testa come un fulmine, pronuncio la parola “MORTALE!!!” esclamando, e Guido mi dice che non ricordava il significato di Monza 603 ma che aveva capito che poteva essere un incidente con esito mortale.

Torniamo indietro velocemente, eravamo sulla via del ritorno, a sirene spiegate e lampeggianti accesi  e in circa mezz’ora arriviamo al km 42,600 della SS 293, strada tutta curve che se così non fosse stato saremmo arrivati in dieci minuti.

Durante il tragitto pensavo con un po’ di preoccupazione “il mio primo incidente mortale”, avrei voluto non rilevarne mai, ma dato l’andazzo mi sembrava impossibile, dato che il veicolo coinvolto era una moto Suzuki 600, un cosiddetto “centauro”, proprio come me quando cavalco la nostra BMW col sagittario impresso sulla fiancata anteriore.

Anche per Guido, assistente capo, è il primo incidente mortale, ma da capo-pattuglia, perché da gregario gliene erano capitati altri 3.

Subito ci accorgiamo che la situazione è grave. Scendo dall’auto di servizio e trovo il medico che cerca di rianimare il motociclista, Alberto, quando subito dopo pronuncia queste due parole che pesano una tonnellata ciascuna: “basta, deceduto!”.

Alberto era immobile, non si muoveva più, il viso era deforme, dalla gola usciva un po’ di sangue, ma tutto questo non mi faceva impressione. Quello che mi fece rabbrividire fu l’urlo lanciato dagli amici di Alberto che già si trovavano lì e che mi videro scuotere la testa dopo aver chiamato il mio collega Guido. Speravo fosse un incubo.

Quella radio, dato che eravamo in mezzo alla montagna, non voleva saperne di riuscire a farci comunicare con la V.C.21 (Verona-Como è la sigla di identificazione della sala radio regionale o compartimentale) e nemmeno i cellulari prendevano. Eravamo isolati. Fortuna che un passante aveva un cellulare wind e tramite lui siamo riusciti (riusciamo) a chiamare la caserma e a spiegare tutto.

Mentre Guido prende le prime misure, aiutato da un carabiniere fuori servizio (si fa per dire), io, documenti in mano, compilo il mod. 360 e scopro che Alberto AVEVA 21 anni e che la patente A l’aveva presa la mattina stessa dell’incidente. Cose da pazzi, il destino a volte è proprio beffardo. Ma Alberto, che viaggiava sulla 600 il suo destino se l’è fatto da solo, tagliando la curva, invadendo la corsia opposta e schiantandosi contro un’auto guidata da un altro ragazzo di 22 anni. Io ne ho 26...

Vedo gli amici piangere, arrivano i primi giornalisti, faccio coprire subito il corpo di Alberto con un lenzuolo, faccio posizionare un’ambulanza davanti al corpo esanime per evitare il macabro “spettacolo”, quando vedo arrivare tre persone. Mi vengono i brividi mentre scrivo... I genitori di Alberto cominciano a gridare, a dire che non è possibile, che non può essere vero... Non sapevo cosa dire, cercavo di trattenere la madre mentre un infermiere teneva il papà e lo zio. Che sentimenti contrastanti invadevano la mia mente, sconforto per la morte di un ragazzo di 5 anni più piccolo di me, consolazione (inutile naturalmente) per una mamma che ha perso il proprio figlio in un incidente stradale maledetto. Lei inveisce contro la vita dicendo “Che vita di m....!!!!” e altro ancora, ma io pensavo che al posto della parola “vita” doveva esserci la parola “morte” perché un ragazzo di 21 anni non può morire così, lasciando “da soli” i genitori e i parenti, e il fratello appena arrivato pure lui, e due sorelle, una delle quali gemella, che cerco di trattenere con una infermiera del 118, e la ragazza che comincia a piangere e a gridare "l’amore mio, l’amore mio".
Nel frattempo arriva un’altra pattuglia del mio reparto, il Distaccamento Polizia Stradale di Carbonia, per aiutarci con Stefano, Bruno e Giuseppe a bordo.

Penso che capirete il perché di questa mia lunga lettera, adesso, purtroppo, capisco davvero e pienamente quanto sia importante ribadire ogni giorno, come Voi stessi fate, che la velocità è la prima causa d’incidente stradale e che tutti dovrebbero darsi una regolata, ma non si può fare niente quando ci si scontra con chi non ne vuol sapere di ascoltare le vostre parole...

Il cuore mi si stringeva sempre di più, soprattutto quando ci fu la consegna degli oggetti di Alberto al papà... Si mise di nuovo a piangere...

Per farla breve, dopo tutti i rilievi planimetrici e fotografici, la V. 640 che doveva rientrare alle 19,00 è rientrata in caserma a mezzanotte. Non dimenticherò mai lo sguardo impaurito, sparuto e perso nel vuoto della mamma di Alberto, già abituato a correre (un particolare: targa orizzontale, questo la dice lunga), le urla di dolore degli amici, dello zio, del fratello, delle due sorelle, della ragazza.
L’abbraccio disperato che sua madre mi riservò mi fece capire che lei stessa voleva riaprire gli occhi e non vedere una divisa blu e una pistola ma la tuta da motociclista di suo figlio che la guardava e le
diceva un semplice "ciao mamma".

Spero di non dover vivere più esperienze simili, ma leggendo anche la vostra rassegna stampa "alcol e guida", temo non sia così.

Chissà, magari dopo il desiderato trasferimento in Sicilia, a Trapani, ricorderò con più difficoltà  quel brutto sabato pomeriggio del 20 maggio 2006, ma forse mi converrà tenerlo bene a mente per far capire a chi corre in moto che bisogna stare molto più attenti di quando si va in auto.

Chiedo scusa, ma volevo condividere con Voi colleghi dell’ASAPS la mia prima esperienza vissuta rilevando un incidente mortale, come se fossi stato quasi "battezzato" indirettamente dal male che affligge i nostri “tranquilli week end di paura".


Un caro saluto.

Mauro Volpe


Nota dell’Asaps

Ringraziamo per la tragica e sofferta  testimonianza il collega Mauro Volpe, con la speranza che serva a qualcosa, a far riflettere tanta gente. In quasi tutti i fine settimana primaverili si contano da 15 ai 25 motociclisti e ciclomotoristi morti sulle strade, sulla base dei soli rilievi della Polizia Stradale e dei Carabinieri a cui si devono aggiungere i rilievi delle Polizie Municipali.

 
Una sequela di lutti che noi non vogliamo accettare supinamente.

© asaps.it
Lunedì, 19 Giugno 2006
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