Gentilissima ASAPS, Dal tono del collega Filippo (l’operatore della sala radio) si capisce subito che è qualcosa di
serio e, infatti, dopo una breve
conversazione via radio, Filippo pronuncia queste testuali
parole: “tenete presente che me lo hanno segnalato come Monza 603!!!”. Torniamo indietro velocemente, eravamo sulla via del
ritorno, a sirene spiegate e lampeggianti accesi e in circa mezz’ora arriviamo al km 42,600
della SS 293, strada tutta curve che se così non fosse stato saremmo arrivati
in dieci minuti. Durante il tragitto pensavo con un po’ di preoccupazione “il
mio primo incidente mortale”, avrei voluto non rilevarne mai, ma dato l’andazzo
mi sembrava impossibile, dato che il veicolo coinvolto era una moto Suzuki 600,
un cosiddetto “centauro”, proprio come me quando cavalco la nostra BMW col sagittario
impresso sulla fiancata anteriore. Anche per Guido, assistente capo, è il primo incidente
mortale, ma da capo-pattuglia, perché da gregario gliene erano capitati altri
3. Subito ci accorgiamo che la situazione è grave. Scendo dall’auto
di servizio e trovo il medico che cerca di rianimare il motociclista, Alberto,
quando subito dopo pronuncia queste due parole che pesano una tonnellata
ciascuna: “basta, deceduto!”. Alberto era immobile, non si muoveva più, il viso era
deforme, dalla gola usciva un po’ di sangue, ma tutto questo non mi faceva impressione.
Quello che mi fece rabbrividire fu l’urlo lanciato dagli amici di Alberto che
già si trovavano lì e che mi videro scuotere la testa dopo aver chiamato il mio collega
Guido. Speravo fosse un incubo. Quella radio, dato che eravamo in mezzo alla montagna, non
voleva saperne di riuscire a farci comunicare con la V.C.21 (Verona-Como è la sigla di identificazione
della sala radio regionale o compartimentale) e nemmeno i cellulari prendevano.
Eravamo isolati. Fortuna che un passante aveva un cellulare wind e tramite lui siamo
riusciti (riusciamo) a chiamare la caserma e a spiegare tutto. Mentre Guido prende le prime misure, aiutato da un
carabiniere fuori servizio (si fa per dire), io, documenti in mano, compilo il
mod. 360 e scopro che Alberto AVEVA 21 anni e che la patente A l’aveva presa la
mattina stessa dell’incidente. Cose da pazzi, il destino a volte è proprio
beffardo. Ma Alberto, che viaggiava sulla 600 il suo destino se l’è fatto da
solo, tagliando la curva, invadendo la corsia opposta e schiantandosi contro
un’auto guidata da un altro ragazzo di 22 anni. Io ne ho 26... Vedo gli amici piangere, arrivano i primi giornalisti,
faccio coprire subito il corpo di Alberto con un lenzuolo, faccio posizionare un’ambulanza
davanti al corpo esanime per evitare il macabro “spettacolo”, quando vedo
arrivare tre persone. Mi vengono i brividi
mentre scrivo... I genitori di Alberto cominciano a gridare, a dire che non è
possibile, che non può essere vero... Non sapevo cosa dire, cercavo di
trattenere la madre mentre un infermiere teneva il papà e lo zio. Che
sentimenti contrastanti invadevano la mia mente, sconforto per la morte di un
ragazzo di 5 anni più piccolo di me, consolazione (inutile naturalmente) per una
mamma che ha perso il proprio figlio in un
incidente stradale maledetto. Lei inveisce contro la vita dicendo “Che vita di
m....!!!!” e altro ancora, ma io pensavo che al posto della parola “vita”
doveva esserci la parola “morte” perché un ragazzo di 21 anni non può morire
così, lasciando “da soli” i genitori e i parenti, e il fratello appena arrivato
pure lui, e due sorelle, una delle quali gemella, che cerco di trattenere con
una infermiera del 118, e la ragazza che comincia a piangere e a gridare "l’amore
mio, l’amore mio". Penso che capirete il perché di questa mia lunga lettera,
adesso, purtroppo, capisco davvero e pienamente quanto sia importante ribadire ogni
giorno, come Voi stessi fate, che la velocità è la prima causa d’incidente
stradale e che tutti dovrebbero darsi una regolata, ma non si può fare niente
quando ci si scontra con chi non ne vuol sapere di ascoltare le vostre
parole... Il cuore mi si stringeva sempre di più, soprattutto quando
ci fu la consegna degli oggetti di Alberto al papà... Si mise di nuovo a piangere... Per farla breve, dopo tutti i rilievi planimetrici e
fotografici, la V. 640 che doveva rientrare alle 19,00 è rientrata in caserma a mezzanotte.
Non dimenticherò mai lo sguardo impaurito, sparuto e perso nel vuoto della
mamma di Alberto, già abituato a correre (un particolare: targa orizzontale,
questo la dice lunga), le urla di dolore degli amici, dello zio, del fratello,
delle due sorelle, della ragazza. Spero di non dover vivere più esperienze simili, ma
leggendo anche la vostra rassegna stampa "alcol e guida", temo non
sia così. Chissà, magari dopo il desiderato trasferimento in Sicilia,
a Trapani, ricorderò con più difficoltà quel
brutto sabato pomeriggio del 20 maggio 2006, ma forse mi converrà tenerlo bene
a mente per far capire a chi corre in moto che bisogna stare molto più attenti
di quando si va in auto. Chiedo scusa, ma volevo condividere con Voi colleghi dell’ASAPS
la mia prima esperienza vissuta rilevando un incidente mortale, come se fossi stato
quasi "battezzato" indirettamente dal male che affligge i nostri “tranquilli
week end di paura".
Mauro Volpe Nota dell’Asaps Ringraziamo per la tragica e sofferta testimonianza il collega Mauro Volpe, con la speranza che serva a qualcosa, a far riflettere tanta gente. In quasi tutti i fine settimana primaverili si contano da 15 ai 25 motociclisti e ciclomotoristi morti sulle strade, sulla base dei soli rilievi della Polizia Stradale e dei Carabinieri a cui si devono aggiungere i rilievi delle Polizie Municipali. |
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