La Provincia autonoma di Bolzano insorse, nel 2003, contro una "ordinanza" dell’allora Ministro della Salute (Sirchia), in tema di tutela dell’incolumità pubblica. Tutti ricorderanno il lungo periodo, in cui sembrava dilagare il fenomeno di inermi cittadini assaliti da cani inferociti. Prima che la triste circostanza producesse una vera e propria psicosi collettiva, e al fine di ostacolare la "frequente reiterazione di episodi di aggressione animale", tale ordinanza (9 settembre 2003), "con effetti limitati nel tempo", affrontò la situazione di necessità e d’emergenza, "nelle more dell’approvazione di una disciplina stabile". A questo stato delle cose, dunque, la Provincia di Bolzano pensò bene di promuovere conflitto di attribuzione, innanzi alla Corte Costituzionale, ritenendo che dall’atto ministeriale fosse stata violata la propria speciale autonomia. Nello specifico, Bolzano ipotizzò che il Ministro avesse leso le "prerogative provinciali in materia di igiene e sanità". I Giudici della Consulta sono stati, tuttavia, di contrario avviso. Nell’ordinanza impugnata, la Corte ha visto il prevalente esercizio di una competenza esclusiva dello Stato: non già, dunque, una disciplina sanitaria, ma quella di "ordine pubblico e sicurezza". In effetti, una lettura approfondita dell’atto in questione non può non riconoscervi la presenza di disposizioni, che "ineriscono evidentemente alla repressione di contegni suscettibili di rilevanza penale". E il "pericolo per l’incolomità pubblica", che assume ruolo determinante nelle preoccupazioni del Legislatore statale ha mobilitato anche in questo caso la sua funzione amministrativa, in virtù di una superiore "esigenza di difesa sociale". Il riferimento all’art. 117, secondo comma, lett. H, della Costituzione, esclude perciò che vi sia stata violazione dell’autonomia statutaria della Provincia di Bolzano. Corretta è stata, in conclusione, quell’ordinanza del Ministro della Salute, al cui seguito sembra che si sia effettivamente arrestata l’escalation di diffidenza nei confronti nei nostri amici animali.(16 giugno 2006)
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: - Annibale MARINI Presidente - Franco BILE Giudice - Giovanni Maria FLICK " - Francesco AMIRANTE " - Ugo DE SIERVO " - Romano VACCARELLA " - Paolo MADDALENA " - Alfio FINOCCHIARO " - Alfonso QUARANTA " - Franco GALLO " - Luigi MAZZELLA " - Gaetano SILVESTRI " - Sabino CASSESE " - Maria Rita SAULLE " - Giuseppe TESAURO " ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio per conflitto di attribuzione sorto a seguito
dell’ordinanza del Ministro della salute del 9 settembre del 2003 avente ad
oggetto "Tutela dell’incolumità pubblica dal rischio di aggressioni da
parte di cani potenzialmente pericolosi", promosso con ricorso della
Provincia autonoma di Bolzano, notificato il 7 novembre 2003, depositato in
cancelleria il 13 novembre 2003 ed iscritto al n. 35 del registro conflitti
2003. Visto l’atto di costituzione del Presidente del consiglio
dei ministri; udito nell’udienza pubblica del 2 maggio 2006 il Giudice
relatore Giuseppe Tesauro; uditi gli avvocati Roland Riz e Salvatore Alberto Romano
per la Provincia autonoma di Bolzano e l’avvocato dello Stato Paolo Cosentino
per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1. - Con ricorso notificato il 7 novembre 2003 e
depositato presso la cancelleria della Corte il successivo 13 novembre, la
Provincia autonoma di Bolzano ha promosso conflitto di attribuzione nei
confronti dello Stato, in relazione all’ordinanza del Ministro della salute in
data 9 settembre 2003, avente ad oggetto "Tutela dell’incolumità pubblica
dal rischio di aggressioni da parte di cani potenzialmente pericolosi". La Provincia premette di essere dotata, ai sensi dell’art.
9, primo comma, numero 10, del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del
testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il
Trentino-Alto Adige), di potestà legislativa concorrente in materia di igiene e
sanità e, in virtù dell’art. 16 dello statuto di autonomia, dell’art. 1 del
d.P.R. 28 marzo 1975, n. 474 (Norme di attuazione dello statuto della Regione
Trentino-Alto Adige in materia di igiene e sanità) e dell’art. 4 del decreto
legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto della
Regione Trentino-Alto Adige in materia di igiene e sanità), della correlata
potestà amministrativa. L’ordinanza ministeriale - sottoposta al termine di
efficacia di un anno dalla data dell’entrata in vigore - stabilisce il divieto
di addestrare, in modo da esaltarne la naturale aggressività, cani pit-bull e
cani di altre razze o incroci potenzialmente pericolosi appartenenti ai gruppi
1° e 2° della classificazione della Federazione Cinologica internazionale; il
divieto di operare selezioni o incroci tra razze con lo scopo di esaltarne
l’aggressività; il divieto di sottoporre i cani a doping (art. 1); l’obbligo di
condurre i cani di cui all’art. 1 nei luoghi pubblici al guinzaglio e con la
museruola; il divieto di acquisto, possesso e detenzione dei cani anzidetti da
parte di delinquenti abituali o per tendenza, da parte di soggetti sottoposti a
misura di prevenzione personale o a misura di sicurezza personale, da parte di
chi abbia riportato condanna, anche non definitiva, per delitto non colposo
contro la persona o contro il patrimonio, punibile con la reclusione superiore
a due anni, ovvero per i reati di cui all’art. 727 del codice penale
(Maltrattamento di animali), da parte dei minori di 18 anni e degli interdetti
e inabilitati per infermità; infine, l’obbligo dei detentori dei cani di cui
all’art. 1 di stipulare una polizza di assicurazione di responsabilità civile
per danni contro terzi e, qualora non intendano mantenere il possesso
dell’animale nel rispetto dell’ordinanza, di interessare le autorità
veterinarie per ricercare idonee soluzioni di affidamento (art. 2). Richiamato per intero il testo dell’atto, la ricorrente
deduce l’invasione delle competenze ad essa spettanti in materia di igiene e
sanità in base alle disposizioni statutarie e di attuazione sopra indicate. In
proposito, osserva come la collocazione dell’ordinanza nell’ambito materiale
della tutela della salute pubblica risulti "con assoluta chiarezza anche
dal suo preambolo", ove è espresso il riferimento alla necessità e
all’urgenza di adottare, in attesa di una disciplina organica, disposizioni
cautelari a tutela della salute pubblica. La Provincia lamenta, inoltre, in relazione alla clausola
di favore contenuta nell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.
3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), nonché sul
presupposto della natura sostanzialmente regolamentare dell’ordinanza
contestata, la violazione dell’art. 117, sesto comma, della Costituzione, a
norma del quale non spetta allo Stato alcun potere regolamentare negli ambiti
che non siano di sua competenza esclusiva, assumendo peraltro di avere già
disciplinato organicamente la materia. In particolare, con legge provinciale 15
maggio 2000, n. 9 (Interventi per la protezione degli animali e prevenzione del
randagismo) e successive modificazioni, ha istituito una anagrafe canina con
una sezione specializzata per le razze e gli incroci più aggressivi nonché
dettato disposizioni sulla custodia dei cani. Il direttore del servizio veterinario provinciale,
inoltre, con decreto 5 maggio 2003 n. 31.12/8631/1320, in esecuzione
dell’accordo 6 febbraio 2003 tra il Ministro della salute, le regioni e le
province autonome di Trento e di Bolzano in materia di benessere degli animali
da compagnia e pet-therapy, ha disposto l’obbligo di identificazione di tutti i
cani mediante microchip, a ciò autorizzato dall’art. 4, comma 5, lettera c),
della legge provinciale 12 gennaio 1983, n. 3. La ricorrente, dunque, chiede che la Corte dichiari che
non spettava allo Stato, e per esso al Ministro della salute, emettere
l’ordinanza 9 settembre 2003 (Tutela dell’incolumità pubblica dal rischio di
aggressioni da parte di cani potenzialmente pericolosi) e, conseguentemente,
annulli l’ordinanza stessa. 2. - Si è costituito in giudizio il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, concludendo per l’infondatezza del ricorso. La difesa erariale ha innanzitutto contestato la natura
regolamentare dell’atto impugnato: il provvedimento, in quanto appartenente
alla categoria delle "ordinanze di necessità", avrebbe, secondo la
giurisprudenza della Corte, natura formalmente e sostanzialmente amministrativa. Il titolo della competenza dello Stato all’adozione
dell’atto risiederebbe nell’art. 118 della Costituzione: l’intervento del
Ministro della salute sarebbe giustificato dalla esigenza di
"disciplinare, a livello nazionale, una questione di necessaria ed urgente
risoluzione, nelle more dell’approvazione di una disciplina stabile e con
effetti limitati nel tempo", laddove le competenze di cui agli artt. 9 e
16 dello statuto speciale involgono interessi di mero rilievo provinciale e
devono essere esercitate nel rispetto dei limiti previsti dagli artt. 4 e 5
dello statuto. 3. - Nell’imminenza dell’udienza, la Provincia autonoma di
Bolzano ha depositato memoria. Nel ribadire le argomentazioni già svolte nel ricorso, la
difesa provinciale si duole che il Ministro della salute abbia reiterato l’atto
impugnato, adottando in sequenza due ordinanze di contenuto pressoché identico,
con eguale termine annuale di efficacia: l’ordinanza del 27 agosto 2004 e
l’ordinanza del 3 ottobre 2005, entrambe in tema di "Tutela dell’incolumità
dall’aggressività di cani". Le censure concernenti l’ordinanza del 3 luglio 2003
(recte: 9 settembre 2003) dovrebbero, pertanto, intendersi come riferite anche
a tali successive ordinanze, in special modo alla ordinanza del 3 ottobre 2005,
tuttora vigente. Considerato in diritto 1. - La Provincia autonoma di Bolzano ha promosso
conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato avverso l’ordinanza del
Ministro della salute in data 9 settembre 2003, avente ad oggetto "Tutela
dell’incolumità pubblica dal rischio di aggressioni da parte di cani
potenzialmente pericolosi", deducendo la violazione del regime di
autonomia speciale delineato dagli artt. 9, primo comma, numero 10, e 16 del
d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali
concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), dall’art. 1 del
d.P.R. 28 marzo 1975, n. 474 (Norme di attuazione dello statuto del
Trentino-Alto Adige in materia di igiene e sanità) e dall’art. 4 del d.lgs. 16
marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto del Trentino-Alto Adige
in materia di igiene e sanità), nonché la violazione dell’art. 117, sesto
comma, della Costituzione, in relazione all’art. 10 della legge costituzionale
18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della
Costituzione). Ad avviso della Provincia, l’atto, adottato dal Ministro
nel dichiarato esercizio dei poteri di ordinanza di cui all’art. 32 della legge
23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale), e all’art.
117 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e
compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in
attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), avrebbe determinato
una lesione delle prerogative provinciali in materia di igiene e sanità. 2. - Preliminarmente, va escluso che le censure svolte
dalla Provincia nei confronti dell’ordinanza del 9 settembre 2003 possano
essere estese alle successive ordinanze del Ministro della salute del 27 agosto
2004 e del 3 ottobre 2005, entrambe in tema di "Tutela dell’incolumità
dall’aggressività di cani" e parimenti sottoposte al termine di efficacia
di un anno dalla data dell’entrata in vigore. Le ordinanze da ultimo menzionate costituiscono autonomi e
distinti provvedimenti e, pur avendo lo stesso oggetto e le stesse finalità
dell’atto impugnato, non presentano contenuto precettivo del tutto identico: il
divieto di addestramento diretto all’esaltazione dell’aggressività interessa
tutti i cani e non solo quelli appartenenti a determinate specie; le razze
canine a rischio di maggiore aggressività sono individuate non per rinvio alla
classificazione della Federazione Cinologica internazionale, ma in apposito
elenco; il divieto di detenzione dei cani potenzialmente pericolosi è posto
altresì a carico dei soggetti che abbiano riportato condanna per i reati
previsti dalla legge 20 luglio 2004, n. 189 (Disposizioni concernenti il
divieto di maltrattamento degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti
clandestini o competizioni non autorizzate). La Provincia avrebbe potuto impugnare i nuovi
provvedimenti innanzi a questa Corte ai sensi dell’art. 134, secondo alinea,
della Costituzione e degli artt. 39 e 42 della legge 11 marzo 1953, n. 87,
senza lasciare invano trascorrere i termini prescritti dal menzionato art. 39.
In difetto, le ordinanze del 27 agosto 2004 e del 3 ottobre 2005 non possono
costituire oggetto d’esame in questa sede. L’esaurimento dell’efficacia dell’ordinanza del 9
settembre 2003, d’altra parte, non esclude l’interesse dell’ente
all’accertamento del giusto riparto delle competenze e non incide
sull’ammissibilità del ricorso (sentenza n. 289 del 1993). 3. - Nel merito, il ricorso non è fondato. La premessa da cui muove il ricorrente, che l’atto in
parola attiene alla materia "igiene e sanità", non è corretta. L’esame delle singole direttive dettate dal Ministro,
piuttosto, consente di rilevare che il provvedimento regola fattispecie
eterogenee ed insiste su una pluralità di materie, ascrivibili non solo alla
potestà legislativa concorrente ("tutela della salute", ivi compresa
la polizia veterinaria) ma anche e soprattutto a quella esclusiva dello Stato
("ordine pubblico e sicurezza"). Alla stregua della giurisprudenza di questa Corte, in
siffatti casi di concorso di competenze si deve fare applicazione del criterio
della prevalenza e verificare se una tra le materie interessate possa dirsi
dominante, in quanto nel complesso normativo sia rintracciabile un nucleo
essenziale appartenente ad un solo ambito materiale ovvero le diverse
disposizioni perseguano una medesima finalità (sentenze nn. 181 e 133 del 2006,
50 e 219 del 2005). Nella specie, le prescrizioni denunciate risultano
accomunate da un’identica ratio, afferente al miglioramento delle condizioni di
sicurezza dei cittadini dinanzi al rischio di attacco da parte di cani di razze
con un particolare potenziale di aggressività, come del resto esplicitato nel
preambolo dell’ordinanza, dove l’urgenza della regolamentazione ha riguardo
proprio alla frequente reiterazione di episodi di aggressione animale. L’art. 1 proibisce l’addestramento, diretto ad esaltarne
la "naturale" aggressività, di cani pit-bull e cani di altre razze o
incroci potenzialmente pericolosi appartenenti ai gruppi 1° e 2° della
classificazione della Federazione Cinologica internazionale; vieta selezioni o
incroci tra razze finalizzate all’esaltazione dell’aggressività dei cani;
proibisce, infine, la sottoposizione dei cani a doping. L’art. 2 stabilisce l’obbligo di condurre i cani di cui
all’art. 1 nei luoghi pubblici al guinzaglio e con la museruola; il divieto di
acquisto, possesso e detenzione dei cani anzidetti da parte di delinquenti
abituali o per tendenza, da parte di soggetti sottoposti a misura di prevenzione
personale o a misura di sicurezza personale, da parte di chi abbia riportato
condanna, anche non definitiva, per delitto non colposo contro la persona o
contro il patrimonio, punibile con la reclusione superiore a due anni, ovvero
per i reati di cui all’art. 727 del codice penale (Maltrattamento di animali),
da parte di minori di 18 anni e interdetti e inabilitati per infermità;
l’obbligo dei detentori dei cani di cui all’art. 1 di stipulare una polizza di
assicurazione di responsabilità civile per danni contro terzi e, qualora non
intendano mantenere il possesso dell’animale nel rispetto dell’ordinanza, di
interessare le autorità veterinarie per ricercare idonee soluzioni di
affidamento. Le citate disposizioni, salvo alcuni casi marginali
inseriti nell’art. 2, ineriscono evidentemente alla repressione di contegni
suscettibili di rilevanza penale, dati dall’impiego di tecniche di
addestramento particolari e dalla somministrazione di sostanze eccitanti, le
une e l’altra finalizzate ad accentuare il potenziale di aggressività di taluni
cani. Il pericolo per l’incolumità pubblica assunto a ragione e fondamento
dell’atto è pertanto determinato, non già dalla esistenza di animali dotati di
caratteristiche peculiari, ma dal potenziamento delle loro capacità offensive
per mano dell’uomo. Tali rilievi trovano un preciso riscontro nella previsione
concernente condizioni ostative all’acquisto o alla detenzione di cani
potenzialmente pericolosi (art. 2). La dichiarazione di abitualità nel reato o di delinquente
per tendenza, la sottoposizione a misura di sicurezza personale o a misura di
prevenzione personale, la precedente condanna per reati non colposi contro la
persona o contro il patrimonio ovvero per maltrattamento di animali rinviano,
in linea generale, ad un’esigenza di difesa sociale. La limitazione della sfera
giuridica dei destinatari della direttiva non può che giustificarsi in rapporto
alla prevenzione di comportamenti atti ad incrementare la capacità di danno dei
cani, eventualmente a scopo di profitto. In definitiva, la misura si propone di
sottrarre alla disponibilità di soggetti già resisi responsabili di condotte
antisociali quegli animali che, per indole o per struttura fisica, siano
suscettibili di utilizzazione quali strumenti di offesa. L’ordinanza impugnata, dunque, è stata emanata
essenzialmente per fronteggiare evenienze involgenti interessi strettamente
collegati alla difesa della sicurezza pubblica e, alla luce di tale
finalizzazione, a prescindere da ogni considerazione in ordine all’effettiva ricorrenza
dei presupposti soggettivi e oggettivi della sua legittimità amministrativa, in
base al criterio della prevalenza deve essere ricondotta alla materia
"ordine pubblico e sicurezza" di cui all’art. 117, secondo comma,
lettera h), della Costituzione, di competenza esclusiva dello Stato, ciò che
vale ad escludere qualsivoglia violazione delle norme statutarie evocate dalla
Provincia ricorrente. La esattezza della conclusione è resa palese dal confronto
con la legge della Provincia autonoma di Bolzano n. 9 del 2000 (Interventi per
la protezione degli animali e prevenzione del randagismo), che, lungi dal
proporsi in via immediata obiettivi di difesa sociale, promuove la protezione
degli animali ed incide sulla materia sanitaria lato sensu intesa, ivi compresa
l’assistenza e la polizia veterinaria, di competenza concorrente. Analogamente, è estraneo all’ambito di applicazione
dell’atto censurato l’accordo 6 febbraio 2003 tra il Ministro della salute, le
regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano in materia di benessere
degli animali da compagnia e pet-therapy, con cui le Regioni e il Governo si
sono impegnati a sostenere iniziative rivolte a favorire una corretta
convivenza tra le persone e gli animali da compagnia, nel rispetto delle
esigenze sanitarie, ambientali e del benessere degli animali (art. 1, comma 1). La riconduzione dell’ordinanza ministeriale, in ragione
della sua complessiva finalità, nella materia "ordine pubblico e
sicurezza" è conforme all’indirizzo di questa Corte, consolidatosi nel
vigore del nuovo Titolo V della seconda parte della Costituzione, secondo cui
la nozione "ordine pubblico e sicurezza" va intesa in termini
restrittivi, in contrapposizione ai compiti di polizia amministrativa regionale
e locale, come relativa alle sole misure inerenti alla prevenzione dei reati o
al mantenimento dell’ordine pubblico (sentenze n. 383 del 2005, n. 428 del
2004, n. 407 del 2002). Invero, in quanto funzionale alla salvaguardia
dell’incolumità pubblica dal rischio di aggressione da parte di animali
addestrati all’aggressività, la disciplina mira a prevenire reati contro la
persona. PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara che spettava allo Stato adottare l’ordinanza 9
settembre 2003, avente ad oggetto la "Tutela dell’incolumità pubblica dal
rischio di aggressioni da parte di cani potenzialmente pericolosi". Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 giugno 2006. F.to: Annibale MARINI, Presidente Giuseppe TESAURO, Redattore Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 13 giugno 2006. Il Direttore della Cancelleria F.to: DI PAOLA |
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