Io
credo che alla parola strada tutti riconducano istintivamente le immagini
di movimento, vacanze, libertà, sì, soprattutto libertà.
Oggi, però, tanti abbinano anche i concetti di fretta, velocità,
lavoro. Sono pochissimi, invece, quelli che d’acchito collegano alla
parola strada pensieri quali pericolo o addirittura violenza e aggressività.
Eppure la strada, se analizziamo attentamente alcuni dati, è decisamente
un posto pericoloso non avulso da manifestazioni sempre più frequenti
di violenza; quindi si potrebbe dire con tranquillità che è
un posto poco raccomandabile. Sulla strada si muore, o ci si fa molto
male con estrema frequenza. Mai come sull’asfalto il concetto di
pericolo trova le sue esatte connotazioni e dimensioni che derivano in
modo particolare, ma non esclusivo, dagli incidenti che lo punteggiano.
La strada è sempre più spesso teatro privilegiato di insensate
violenze, di proditori esibizionismi, di teatrali superficialità:
un film che si proietta ininterrottamente nelle 24 ore e non sempre si
chiude con il lieto fine. Cominciamo proprio dall’aspetto “più
banale”: gli incidenti stradali, che spesso fanno trasparire nella
loro dinamica comportamenti aggressivi o autoaggressivi preoccupanti.
Nella sola Ue ogni giorno perdono la vita per incidenti stradali circa
110 persone, più di 40.000 in un anno, oltre 3 milioni rimangono
ferite, circa 9000 al giorno, quanti potrebbero essere i passeggeri di
15 treni ETR o 150 pullman turistici. Si calcola che un cittadino europeo
su tre dovrà prima o poi ricorrere a cure ospedaliere a causa di
un incidente. Uno su ottanta, poi, vedrà la vita stroncata per
il medesimo motivo.
L’Italia contribuisce alla realizzazione di questo “fatturato”
con quasi 20 morti e oltre 900 feriti al giorno, dei quali circa il
20% riporta lesioni irreversibili. Con l’attuale trend la strada,
che è la nona causa di morte nel mondo, diventerà la terza
entro il 2020.
Gli incidenti, però, sono già la prima causa di morte
oggi per i giovani sotto i 23 anni. Oltre la metà delle vittime
ha meno di 45 anni. L’aspettativa media di vita perduta a causa
di incidenti stradali è quindi di 40 anni. Mi sembra di poter
confermare con solo questi dati, che la strada è veramente un
posto pericoloso (c’è da sperare solo negli effetti positivi
della patente a punti). Pensate solo cosa accadrebbe in Europa o in
Italia se quei 110 morti e 9000 feriti al giorno si contassero per cause
diverse come incidenti aerei, ferroviari o per inondazioni e terremoti.
Si aprirebbero dibattiti con la ricerca dei responsabili politici e
di interventi risolutivi con adeguati finanziamenti. Tutte iniziative,
quindi, che già, giustamente, si sono intraprese per i danni
legati alla droga, all’AIDS o agli omicidi, che tutti insieme non
causano neppure 3 mila morti l’anno: cioè meno della metà
delle vittime della strada. Eppure quanti dibattiti, convegni, talk-show
si fanno sulla droga, l’AIDS, gli omicidi? Quanti per gli incidenti
stradali? Pochissimi. Perché? I motivi sono tanti e molti esulano
da quello che si vuole dibattere in questa sede. Innanzi tutto si sottolineano
gli enormi interessi economici che sotto traccia si intrecciano col
mondo della strada: quelli dei produttori di automobili, di alcolici,
dei gestori dei locali della notte, solo per fare qualche esempio.
Inoltre non si ama molto dibattere dei temi della strada perché,
diversamente dagli aspetti legati alla droga, all’AIDS, agli omicidi,
tutti ci sentiamo psicologicamente un po’ colpevoli per gli atteggiamenti
impropri che spesso teniamo sull’asfalto, tutti tendiamo a comprendere
e spesso a perdonare chi sbaglia, anche se in qualche caso distrugge
una famiglia. Le regole della strada sono in assoluto le più
violate nel mondo.
Sembra quasi che la vera regola dell’asfalto sia la violazione
sistematica della regola stessa.
Siamo talmente calati in questa conveniente maschera che spesso vediamo
in chi porta la divisa sulla strada non un difensore ma un nemico.
Ma la strada non è teatro
di soli,
drammatici, violenti incidenti.
L’asfalto oggi è frequentemente palestra di aggressività,
esibizionismo, protervia spesso proporzionate non alla forza o all’energia
del conducente, ma del mezzo che conduce. L’arroganza, figlia della
mancata educazione e l’inciviltà spesso si nascondono in
una cultura che per 50 anni ha celebrato il cavallo d’acciaio come
strumento quasi di potenziamento e prolungamento della propria personalità,
costruito sulla divinazione di concetti tutti molto lontani dal valore
sicurezza. Sicurezza, d’altra parte, è una parola sempre
più ricorrente nel linguaggio comunicativo di oggi.
E’ la risposta, qualche volta abusata, di una esigenza che pervade
la nostra società sempre più attenta all’economia,
al reddito, al benessere e quindi alla produzione, all’efficienza,
alla velocità. Velocità, scatto, potenza, sono termini
che hanno sempre permeato di sé la comunicazione nel settore
dell’automobile. Tanto che nel linguaggio ordinario le performances
dell’auto e della moto, misurate in HP, Km/h, 1 Km in tot secondi,
spesso si trasformano nel linguaggio comune in: “è una bomba”,
“è un proiettile”, “va come una scheggia”,
“è una freccia”. Tutti termini (plus) riconducibili
ad un’arma, ad un oggetto capace di offendere; eppure si tratta
di un’auto, di una moto. Veicoli sui quali mettiamo sopra sempre
il bene più prezioso che abbiamo: la nostra vita, quella dei
nostri famigliari, i nostri amici e spesso, per lavoro, il destino della
nostra azienda, della nostra attività. Ecco che l’approccio
anche comunicativo basato sulla muscolatura da HP, sulla aggressività
del messaggio è sbagliato, va modificato. Questa cultura dell’inciviltà
automobilistica, questo stress da redditività, da fretta spesso
neppure motivata, ha fatto molte vittime. Sulla china della violenza
sulle strade, anche solo verbale, non scivolano come si pensa, solo
giovani strafottenti e forti della loro età e delle loro esplosioni
ormonali.
No, anche i cosiddetti buoni padri di famiglia, stimati professionisti,
cittadini altrove esemplari, al volante sovente danno il peggio di sé
con atteggiamenti di impazienza e aggressività molto lontani
dal loro stile quotidiano. Anche le donne un tempo miti esploratrici
dell’universo asfaltato oggi tradiscono frequenti atteggiamenti
di aggressività verbale non proprio consoni alla supposta mitezza
femminile.
Se leggiamo con attenzione le cronache della strada vediamo che nell’arco
di un anno gli episodi di aggressività verbale e anche fisica mossi
da motivi di circolazione sono sempre più frequenti. Diverse decine
i litiganti colpiti da infarto durante un’accesa discussione per
“banali motivi di circolazione”, come li definiscono i giornali.
Non sono affatto rare, poi, le aggressioni con improvvisati corpi contundenti:
ne fanno le spese “le vittime del cacciavite”, la prima arma
impropria a portata di mano dell’automobilista. Questa sottolineatura
non sembri forzata. Una nostra ricerca sulla stampa ha dimostrato quanto
sia frequente, con punte di aggressività che rasentano “Hannibal
Lecter (the cannibal)”. Un episodio per tutti. Ricorderete il fatto
di quel camionista che lo scorso anno, dopo un diverbio con una giovane
ragazza alla guida di una vettura sulla A/4, la bloccò in un’area
di sosta, la aggredì, la legò e successivamente la assassinò
scaraventando il corpo in un campo, senza averla violentata, solo a seguito
di un inspiegabile raptus.
Ma
la violenza stradale e l’autoaggressività toccano punte altrettanto
parossistiche nel mondo giovanile, si pensi alle sconsiderate gare automobilistiche,
all’attraversamento degli incroci con la statale Adriatica in riviera,
per scommessa, senza guardare, solo per dimostrare un incosciente coraggio,
o altri episodi segnalati dalle forze di polizia, come il nascondersi
dentro uno scatolone posizionato lungo una statale e vedere se si viene
schivati da un veicolo in arrivo. Allo stesso modo le gare di velocità,
il fatto di passare con il rosso o andare contromano sono azioni che fanno
trasparire un’esigenza implicita di aggressività verso sé
e verso gli altri e riflettono la ricerca della sensazione di dominio.
Il
fine settimana
E’evidente allora che quando non si dà troppa importanza al
futuro, occuparsi di problemi contingenti assume un senso limitato.
Durante i fine settimana, poi, è possibile fotografare nella nostra
società alcuni atteggiamenti che mostrano una recrudescenza dei
fenomeni di aggressività: gli scontri negli stadi, le risse in
discoteca, l’amplificazione degli incidenti stradali.
La rilevanza di questi dati concentrati negli ultimi giorni della settimana
sembra far trasparire una psicopatologia dell’aggressività
del week-end. Ancora una volta gli attori di tali azioni portano durante
la settimana una maschera ben diversa: volti comuni, non sguardi ringhiosi.
Mettendo poi a fuoco l’ambiente discoteca, è evidente che
sempre più si sta affermando nella sua drammatica prepotenza il
fenomeno delle droghe sintetiche: “le nuove droghe”. I motivi
di questa vasta diffusione, connessi a mode, a situazioni sociali, sono
numerosi e complessi, ma, amaramente, trovano tutti una risposta nell’assunzione
di sostanze psicostimolanti. L’Europa poi ha imparato a sintetizzare
le formule più nuove e strane di pillole e liquidi stupefacenti.
Ecstasy, yaba, cobret, tahi, ketamina sono solo alcuni nomi dei risultati
dei laboratori dei “piccoli chimici” con la passione per le
nuove droghe. Normalmente queste sostanze non scatenano l’aggressività
appena vengono assunte ma quando il loro effetto va scemando. C’
è poi chi, non contento di sperimentare una droga per volta sceglie
di fare dei cocktail di più sostanze o di accompagnarle con qualche
bicchiere di alcolici. Gli effetti sono tragici. La persona, quando sopravvive
o non si sente male, assume la maschera aggressiva e instabile e diventa
una vera mina vagante per chi la incontra sul suo cammino e ancor più
sulla sua strada. Come collochiamo poi i sempre più frequenti episodi
di pirateria stradale che ogni anno causano alcune centinaia di vittime?
In questo caso viene esplicitato chiaramente il minimo valore attribuito
alla vita espresso da quanto accade anche sulla strada.
Ma la violenza sulla strada spesso si manifesta in forme di aggressività
forse meno truculente, ma altrettanto indicative di una deriva amorale
di sfida plateale con comportamenti da Jungla d’asfalto, per i quali
il più debole, cioè il meno protetto, il meno veloce, vive
sotto continua minaccia di pericolo. Alcuni esempi.
Cos’è se non una violenza il suono prolungato di un clacson
spesso con trombe come quelle dei Tir che assomigliano più a un
transatlantico che a un mezzo su ruote? Non è violenza anche molto
pericolosa quella di chi in autostrada si attacca a 5 centimetri dalla
tua targa e lancia insistenti sciabolate di luci abbaglianti per chiedere
di farti da parte? O ancora, quella di chi arriva improvvisamente e altrettanto
improvvisamente sorpassa da destra rientrando poi a sinistra come se nulla
fosse? Da comportamenti di questo tipo spesso si sviluppa la tragedia
stradale. Sembra quasi che le strade e le autostrade in particolare, siano
riservate ai soli professionisti della strada che aggrediscono con la
velocità o si difendono con la stazza. Non è violenza il
non fermarsi davanti a un pedone sulle strisce e al massimo dribblarlo
come un birillo?
La violenza e l’aggressività si sono radicate in una realtà
fatta di abbattimenti costanti degli steccati delle regole, “come
se - per dirla con le parole del Cardinale Tonini - ormai sulla strada
fosse diventato vietato vietare”.
Sono tanti i racconti misti a stupore che ascolto dagli uomini in divisa
nei quali emerge sempre più spesso un plateale disconoscimento
del ruolo dell’autorità, quasi si volesse volutamente confonderlo
con l’autoritarismo. Sempre più frequenti si segnalano gli
episodi di giovani che, magari appena un po’ ebbri, si rifiutano
di consegnare i documenti a una pattuglia, rimangono inchiodati al volante
e tantissimi non si fermano all’alt.
Pochi mesi fa una pattuglia ha intimato l’alt ad una vettura con
due giovani a bordo in autostrada, che viaggiavano oltre i limiti consentiti.
Non si sono fermati. Inseguimento protratto per oltre cento chilometri
(la vettura era veloce), hanno persino colpito più volte a sportellate
la vettura della polizia che li affiancava, con tentativi ripetuti di
speronamento.
Finalmente i poliziotti li fermano, armi alla mano convinti di essere
di fronte a ladri o rapinatori o anche peggio.
Nulla di tutto questo, erano solo figli della nostra buona società
che avevano, come tanti altri, lanciato la loro sfida al sistema, anche
quella era una emozione. Il poliziotto che mi ha riferito l’episodio
mi ha detto: “Almeno fossero stati ubriachi! Erano invece assolutamente
sobri. Volevano sfidarci”. Come nei film, appunto.
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Presidente Asaps
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