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Corte di Cassazione 01/07/2006

Giurisprudenza di legittimità - Mano da tenere – Destra rigorosa – Limiti e tutela dei pedoni – Sussistenza

(Cass. pen., sezione IV, 26 aprile 2005, n. 15373)

Giurisprudenza di legittimità
Corte di Cassazione Penale
Sez. IV, 26 aprile 2005, n. 15373


Mano da tenere – Destra rigorosa – Limiti e tutela dei pedoni – Sussistenza.


In tema di circolazione stradale, la regola della destra rigorosa non implica che vi sia obbligo di rasentare il margine destro della carreggiata, ciò che in molte, circostanze può essere fonte di pericolo e va, quindi, considerato come elemento di danno. Ne deriva che il conducente, il quale si accinge a superare un pedone, specialmente di notte, ha l’obbligo non solo di moderare la velocità ma anche quello di assicurare un adeguato margine di sicurezza laterale, essendo comunemente prevedibile la presenza di pedoni sul lato destro e la probabilità di spostamenti di essi.

 

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Svolgimento del processo e motivi della decisione – Con sentenza pronunciata in data 9 gennaio 2002, il Tribunale di Benevento, in composizione monocratico, dichiarava la penale responsabilità di V. R. per il reato di cui all’art. 589 c.p., perché, per colpa consistita nella violazione di norme disciplinati la circolazione stradale (art. 141 c.s.), nonché per negligenza, imprudenza, imperizia, cagionava la morte V. M.; in particolare, alla guida della propria autovettura, percorreva la via Togliatti in direzione S. Leucio del Sannio (Benevento) a velocità non commisurato alle caratteristiche e condizioni della strada (manto stradale bagnato per la pioggia in atto e presenza di centri abitati); pertanto, non avendo moderato la velocità, investiva V. M. che a piedi procedeva nel senso opposto all’autovettura, attingendolo con lo specchietto retrovisore esterno destro all’addome e causandone successivamente la rotazione l’impatto della testa e del corpo contro il parabrezza e il montante anteriore destro del veicolo stesso; a seguito dell’urto V. riportava lesioni e veniva ricoverato presso l’Ospedale civile di Benevento ove decedeva il 29 novembre 1998 (evento morte verificatori a distanza di diciotto giorni dell’evento lesivo). Concesse le attenuanti generiche prevalenti sull’aggravante contestata e la diminuente dell’integrale risarcimento del danno, il R. veniva condannato alla pena di mesi tre di reclusione convertita in pena pecuniaria ai sensi degli artt. 53 ss. L. 689/1981, pari ad euro 3.186,00, oltre al pagamento delle spese processuali; pena sospesa. La Corte di appello di Napoli confermava integralmente la sentenza di primo grado, condannando l’appellante al pagamento delle spese del grado.

Ricorre per cassazione l’imputato, attraverso il difensore di fiducia, deducendo i vizi di cui all’art. 606 lettere b) ed e) c.p.p. in quanto si è pervenuti – sostiene il ricorrente – alla affermazione di responsabilità in assenza di qualsiasi riscontro in ordine alle effettiva e concreta sussistenza di un addebito di responsabilità colposa, generica o specifica, e dunque per una mera responsabilità di posizione, impugnata oggettivamente; l’affermazione di responsabilità sarebbe basata su mere presunzioni, sul mero fatto della morte dell’anziano V., senza l’effettivo accertamento della condotta colposa del R., anche ammesso che una condotta colposa di quest’ultimo potesse sussistere, non vi è stato l’accertamento del nesso causale tra l’urto e l’evento morte, verificatosi solo dopo alcuni giorni di degenza in ospedale e per cause non precisate; si è trascurato che il R. teneva la destra, viaggiava e velocità moderata e non avrebbe dunque in alcun modo potuto prevenire e prevedere la presenza di un pedone sul lato destro della carreggiata; non si è effettuata una precisa ricostruzione dell’accaduto essendo rimasta ignota la esatta collocazione del pedone sulla carreggiata, se all’interno o all’esterno della stessa, e l’esatta localizzazione del punto d’urto.
 

Il ricorso deve essere rigettato risultando infondati i motivi proposti.
 

La sentenza impugnata offre infatti, a differenza di quanto si sostiene con il presente ricorso, una ricostruzione dei fatti fondata su precisi elementi probatori ed assolutamente certa, ed individua correttamente la colpa dell’imputato e il nesso di causalità.

Quanto al primo profilo, deve rilevarsi in primo luogo come la corte di appello abbia fatto propria la ricostruzione del fatti più dettagliatamente compiuta dal giudice di primo grado; da tale decisione, la cui natura complementare e integrativa di quella del grado ulteriore è pacifica, risulta che l’autovettura del R. presentava un rientro verso l’interno dello specchio retrovisore destro, rientro che aveva causato una corrispondente rientranza sui lamierati della porta; sulla base di tale dato di fatto i giudici, del tutto correttamente e senza ricorrere a nessuna presunzione, hanno affermato che l’impatto era avvenuto tra lo specchietto stesso, sporgente di almeno venti centimetri all’esterno dell’autovettura, ed il corpo del pedone, attinto allo stomaco secondo la ricostruzione dei testi assunti, pedone che non poteva dunque che trovarsi lateralmente all’autovettura e non già davanti alla stessa come sosteneva nel giudizio di merito, ed ancora si è sostenuto dalla difesa.

Ricostruita dunque in maniera corretta la dinamica dell’incidente nel senso che il pedone è stato attinto allo stomaco mentre procedeva sul lato della strada in senso inverso all’autovettura, altrettanto correttamente è stata affermata la responsabilità del R. per non avere tenuto una velocità prudenziale, pur avendo il medesimo rispettato i limiti massimi. E’ infatti pacifico che il rispetto del limite di velocità massimo non comporta l’assenza di colpa del conducente essendo il guidatore tenuto ad adeguare la velocità alle condizioni di fatto concretamente esistenti; e nella specie il giudice di merito ha compiutamente e correttamente accertato che la situazione esistente (il R. percorreva una strada comunale e carreggiata unica fiancheggiata da case e divisa due corsie, era uscito da un tratto in curva, la strada era viscida in quanto bagnata, la visibilità scarsa per la pioggia) imponeva una velocità inferiore a quella tenuta ed una particolare cautela.

Né la responsabilità non può essere esclusa sotto il profilo che l’imputato ha rispettato l’obbligo derivante dall’art. 143 del codice della strada di tenere la destra dal momento che, come questa Corte ha già avuto modo di precisare (sez. V, sent n. 4494 del 22 aprile 1991, ud. 11 dicembre 1990, n. 2792, RV 187534) la regola della destra rigorosa non implica che sia obbligo di rasentare il margine destro della carreggiata, ciò che in molte circostanze può essere fonte di pericolo e va, quindi, considerato come elemento di colpa quando un simile comportamento si riveli appunto, per la concreta situazione del caso, imprudente e allo stesso consegua un elemento di danno. Ne deriva che il conducente, il quale si accinge a superare un pedone, specialmente di notte, ha l’obbligo non solo di moderare la velocità, ma anche quello di assicurare un adeguato margine di sicurezza laterale, essendo comunemente prevedibile la presenza di pedoni sul lato destro della destra e la probabilità di spostamenti di essi.

Manifestamente infondate sono le censure relative all’accertamento del nesso di causalità, essendo assolutamente precisa al riguardo la sentenza di primo grado, che sulla base dei traumi riportati dal paziente al momento del ricovero (trauma addominale con rottura della milza e dello stomaco, insufficienza respiratoria e coma) e dell’esame della cartella clinica relativa al ricovero (secondo cui il coma profondo del paziente ha avuto durata permanente e la sopravvivenza è stata possibile solo grazie all’uso della strumentazione medico-scientifica), correttamente ha individuato la causa della morte in una crisi cardiaca-respiratoria derivante dalle condizioni del paziente a seguito dell’incidente e dunque al medesimo riconducibile secondo la nota teoria della canditio sine qua non. (Omissis). [RIV-0602P164]

Sabato, 01 Luglio 2006
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