Natale Giuffré, 46
anni: Il macigno di 41 kg
piombato sull’auto di Giuffré: (ASAPS) FROSINONE – È un colpo che giunge inaspettato
quello della Polizia Stradale e della Squadra Mobile di Frosinone, che dalla
maledetta notte del 13 agosto di un anno fa stavano indagando sull’omicidio di
Natale Giuffré, alla ricerca di chi aveva lasciato cadere un masso da un
cavalcavia della A1, all’altezza del km 666 dell’Autosole. La pesante pietra
colpì in pieno l’auto su cui viaggiavano il 46enne, morto sul colpo, ed il
figlio Francesco, rimasto gravemente ferito ma che riuscì a sopravvivere. Da allora,
diciamolo pure tranquillamente, molti avevano perso le speranze che qualcuno
sarebbe riuscito a proporre un nome alla Procura della Repubblica. Il
fascicolo, invece, ha cambiato numero di registro passando dal modello “ignoti” a quello “noti”, con una sfilza di
nomi che un piccolo frammento di impronta papillare latente è riuscita a
fornire agli investigatori. Loro, i componenti della Squadra di PG della
Stradale e della Squadra Mobile della questura, fecero il loro lavoro alla
perfezione, delimitando come si deve la scena del crimine e consentendo agli
operatori della polizia scientifica di raccogliere gli elementi che poi si sono
dimostrati indispensabili per dare un nome ai killer, tutti minorenni quando
decisero di uccidere qualcuno, non importa chi. Prelevarono il masso di 41
chilogrammi da una discarica e andarono tutti insieme sul cavalcavia 439, tra
Pontecorvo e Cassino. Si arrampicarono sulla spalletta e scelsero il momento
giusto per lasciar cadere il pietrone verso l’asfalto. L’auto su cui viaggiava
il povero Giuffré, originario della Calabria ma residente a Torino, venne
colpita in pieno. Il masso sfondò il parabrezza e l’uccise, poi il veicolo
sbandò, sfondò il guardrail ed uscì di strada ribaltandosi. I poliziotti,
giunti sul posto, avevano ben poche tracce su cui lavorare, ma non si persero
d’animo: la pressione mediatica si fece pesantissima, ma il sopralluogo e le
indagini dei giorni seguenti non lasciarono niente al caso. Tutti i “balordi”
della provincia vennero identificati e sentiti, mentre l’arma del delitto finì
nei laboratori fantascientifici dell’UACV, l’Unità di Analisi del Crimine
Violento. Dalla superficie ruvida e porosa della pietra sembrava non poter
venire fuori nulla, ma alla fine un frammento di impronta digitale è stato
repertato e confrontato con la rosa di sospetti: 10 ragazzi sono risultati aver
fatto parte del commando assassino ed i loro nomi sono stati trasmessi alle
varie procure che nel frattempo assumeranno i vari stralci di competenza.
Saranno i magistrati a decidere eventuali misure cautelari. Ai poliziotti che
hanno contribuito al successo dell’operazione, la riconoscenza di tutti noi.
(ASAPS) |
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