(ASAPS) PARIGI – In Italia, da qualche anno, anche le moto
sono entrate a far parte del calendario delle revisioni, esattamente come il
resto dei veicoli. Giusto, a parer nostro, ma in Francia la notizia che presto
anche le dueruote potrebbero dover timbrare periodicamente la “carte grise” –
la carta di circolazione – non va molto a genio ai centauri d’Oltralpe, che a
dire la verità non citano nemmeno l’esempio italiano nella vibrata protesta
avanzata al ministro dei trasporti Dominique Perben. Parlano di Tedeschi e
Lussemburghesi, che riterrebbero di essere vittima di un racket gestito dai
tecnici dei servizi di revisione, definita più “un pignolo controllo di
conformità che una visita di controllo tecnico”, tanto che in Germania anche il
semplice montaggio di un bauletto prevede una verifica di conformità da parte
dei tecnici della motorizzazione. I motociclisti “en colère” francesi fanno
anche l’esempio della Svezia, ove la revisione annuale (!) consente di
verificare lo stato del cavallo d’acciaio reduce dal lungo inverno semiartico,
senza che nessuno obietti sulle modifiche effettuate. Ma soprattutto, in
Svezia, ci va chi ha voglia, tanto che non esiste alcun termine ultimo entro il
quale sottoporre la propria amata moto alla visita tecnica. Noi italiani sappiamo
benissimo che una simile filosofia, da noi, non reggerebbe. In ogni caso,
preoccupati dalla possibilità piuttosto concreta che la revisione diventi un
obbligo anche per le moto, i rappresentanti della Federazione Francese dei
Motociclisti in Collera (FFMC), ha incontrato nei giorni scorsi l’ingegner
Dominique Lebrun, incaricato dal delegato interministeriale alla sicurezza
stradale Remy Heitz a tracciare i contorni di uno studio di massima sulla
possibilità che anche le moto mettano il bollino periodico. All’incaricato del
governo i motociclisti hanno fatto notare che sul fronte della sicurezza i
biker sono i primi a curare coscienziosamente il funzionamento della loro
amata, e che le recenti modifiche al codice della strada hanno aumentato il livello
di conoscenze tecniche che un candidato alla patente deve dimostrare di avere
prima di salire in sella. Del resto, la fisionomia stessa della moto consente
un accesso diretto ad ogni sua parte e così controllare freni e pneumatici è
estremamente semplice. “La dimostrazione delle nostre affermazioni – hanno
detto – è che non si vedono per strada pattumiere su due ruote, come invece
accade per altre categorie di veicoli”. A dimostrazione delle proprie ragioni,
i “motociclisti arrabbiati” hanno portato le statistiche sulla sinistrosità,
dalle quali si rileva che non esiste il caso di un incidente stradale provocato
da un cedimento tecnico della moto. “I motociclisti – hanno precisato
all’ingegner Lebrun – sono invece vittima dei loro stessi errori, di quelli
commessi da altri utenti o delle carenze infrastrutturali di strade ed
autostrade, vista la loro instabilità naturale”. Ma allora, ad un maggior coefficiente di sicurezza, qual è
l’opposizione vera alla proposta? Esattamente come nel caso dell’uso dei fari
anche di giorno, la FFMC tira in ballo l’elemento psicologico. All’epoca della
sperimentazione imposta dal governo del precedente governo, i motards
obiettarono che se tutte le categorie di veicoli avessero circolato con i fari
accesi, i motociclisti avrebbero perso la loro classica distinzione e la soglia
di attenzione nei loro confronti sarebbe calata. Nel caso della revisione, invece, l’effetto psicologico
consisterebbe – a loro dire – in una deresponsabilizzazione del motociclista,
che finirebbe col dormire sugli allori ed affidare la propria dueruote ad
altri. Il
colloquio con Lebrun si è concluso con il sospetto che l’idea nasconda ben
altri fini, tra i quali quello di gonfiare ancora di più i bilanci dei centri
revisione. Sarà vero? In Italia, qualche dubbio |
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