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Editoriali 14/05/2003

A proposito di guerra

Finito con alcune migliaia di morti il conflitto in Iraq Continua la guerra sulle strade del pianeta: un milione di morti nel 2002 La provocazione: non potrebbe occuparsene l’ONU?

A proposito di guerra
Finito con alcune migliaia di morti il conflitto in Iraq Continua la guerra sulle strade del pianeta: un milione di morti nel 2002 La provocazione: non potrebbe occuparsene l’ONU?

Giordano Biserni*

Una notizia brutta e una bella.
La brutta: si è combattuta in Iraq una guerra sanguinosa come tutte le guerre. Quella bella: la guerra è durata relativamente poco e il numero delle vittime civili e militari, così come la distruzione del Paese, poteva essere anche peggiore. Rimangono però troppe. Ora si tratterà di vedere, dopo questa guerra stravinta sicuramente dalle forze alleate, se si riuscirà a "vincere" una pace duratura. I vandalismi seguiti per giorni dopo la cessione dei combattimenti, che in qualche caso hanno portato più distruzione degli stessi bombardamenti, stanno a testimoniare le difficoltà del dopo. Rimane l’amaro in bocca e il dubbio di capire se questa guerra fosse stata, si fa per dire, indispensabile oltre che legittima, e anche il timore che, poiché l’appetito vien mangiando, l’attenzione degli U.S.A. possa allargarsi sui Paesi arabi vicini. Il dittatore iracheno, con la sua cricca, spazzato via dalla poderosa spallata dell’esercito made in Usa, forse aveva scommesso sul non intervento delle forze angloamericane. La profonda divisione nell’ONU, la minaccia di veto della Francia, la spaccatura nell’Ue, un pacifismo molto radicato, spesso miscelato da elevate dosi di antiamericanismo (un collettore troppo spesso presente sotto le bandiere arcobaleno), forse aveva tratto in inganno Saddam, anche se alternative all’esilio non ne aveva. E’ noto, perché lo insegna la storia, che i dittatori non mollano mai volontariamente il potere, se ne vanno solo sotto la spinta convincente dei proiettili delle cannonate o delle bombe più o meno intelligenti che cadono dal cielo. Il raìs aveva sottovalutato che la determinazione degli Stati Uniti dopo l’11 settembre era completamente cambiata. Bush ha solo verificato chi ci stava, deciso comunque a partire, a prescindere da chi lo seguiva. Alcune riflessioni. Che pena per quella povera gente, soprattutto donne, bambini e vecchi, che ha subito ferite senza neppure cure adeguate negli ospedali. Ha sofferto la sete e la fame, ha perduto la casa e quel poco che aveva.

Chissà se con i soldi che si sono spesi a lanciare i missili (alcuni raggiungevano il costo di 750.000 dollari a pezzo) si poteva fare qualcosa di diverso per cacciare il tiranno. Certamente molto ci sarà da fare ora per aiutare la popolazione, riportare ordine, e cercare di costruire una salutare democrazia parlamentare. Stupiti e forse ammirati dalla capacità di fuoco e dall’alta tecnologia degli americani, non possiamo non fare un’altra riflessione su questo versante. Dietro alla tecnologia sofisticatissima ci sono comunque uomini e donne giovanissimi che, anche con la divisa degli alleati, hanno dovuto pagare un prezzo molto elevato in vite umane e feriti. Non dimentichiamo che quei soldati sono tutti volontari e pagati con un modesto stipendio di 1200-1300 dollari. Molti di loro hanno imbracciato le armi per pagare gli studi, in un Paese che spende ogni anno 475 miliardi di dollari per il suo esercito, ma che non può concedere un sistema scolastico e sanitario gratuito e generalizzato. Un milione e trecentomila, tanti sono gli uomini e le donne in armi negli Stati Uniti. Si pensi agli effetti che le guerre come quella combattuta in Iraq possono avere per delle generazioni. A prescindere dal fatto che siano giuste o ingiuste, evitabili o inevitabili, un Paese grande come gli Usa le combatte con convinzione. Per una generazione di giovani vestire una divisa, sopportare disagi, correre pericoli, calpestare la sabbia di un deserto anziché quella di Miami Beach, abbronzarsi sotto l’efficace sole iracheno anziché con la lampada a 30 euro a seduta, può rinsaldare il senso dello Stato, della Patria. Può costituire un collante che fa la differenza rispetto alle parallele generazioni che crescono nell’avventura vista al cinema, nella cultura di una TV d’evasione, del non pensiero, nell’emozione della velocità in auto o su potenti moto, nel culto del fisico da esibire a Riccione o a Palma di Maiorca e non per difendere il proprio Paese. Noi intanto la nostra guerra, forse ancor più stupida, continuiamo a combatterla sulle nostre strade. Probabilmente al termine della contabilità di morte scopriamo che in Iraq le vittime totali sono state forse meno delle 7-8 mila che si contano ogni anno sul nostro asfalto. I 150 morti anglo-americani corrispondono ai morti sulle strade di 3 fine settimana in Italia.

Un’idea provocazione

Vista l’incapacità totale dell’ONU di fermare le guerre fatte con bombe e fucili nel nostro pianeta, considerato che secondo le stime ufficiali nel 2002 si sono contati nella terra quasi un milione di morti per incidenti stradali (altro che Iraq!), perché l’ONU non dedica qualche sua straordinaria sessione anche a questa guerra che si combatte senza quartiere, senza soluzione di continuità, strada per strada? Forse otterrebbe qualche miglior e meritorio risultato.L’avevamo detto che era una provocazione. O no?

*Presidente A.S.A.P.S


di Giordano Biserni

Editoriale "Il Centauro"
Mercoledì, 14 Maggio 2003
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